Credito ricerca e sviluppo e indebita compensazione, la Cassazione sul concorso del professionista (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 5 maggio 2025, n. 16532).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

TERZA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Gastone Andreazza – Presidente –

Dott. Cinzia Vergine – Consigliere –

Dott. Giovanni Giorgianni – Relatore –

Dott. Alessandro Andronio – Consigliere –

Dott. Fabio Zunica – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS), nata a (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 06/05/2024 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Giovanni Giorgianni;

udite le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Aldo Esposito, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi gli avvocati (OMISSIS) (OMISSIS) e (OMISSIS) (OMISSIS), difensori di fiducia di (OMISSIS) (OMISSIS), che hanno concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 22 giugno 2023, il Tribunale di Milano condannava (OMISSIS) (OMISSIS) alla pena di due anni di reclusione, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante ex art. 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74/2000, in quanto ritenuta responsabile di quattro violazioni del reato di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000 ascritte ai capi B.2), C), E.2), F), avendo costei, quale commercialista revisore contabile certificato i crediti inesistenti denominati ricerca e sviluppo, utilizzati in compensazione, in concorso con i componenti del Consiglio di amministrazione della (OMISSIS) s.p.a. e con il legale rappresentante della (OMISSIS) s.r.I., oltre che con altri professionisti, concedendo i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, applicando le pene accessorie di legge e disponendo la confisca per equivalente dei beni in sequestro, oltre statuizioni civili.

Con sentenza del 6 maggio 2024, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di primo grado.

2. Avverso la sentenza della Corte di appello di Milano, (OMISSIS) (OMISSIS), tramite i difensori di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando tre motivi.

2.1.1 Con la prima doglianza del primo motivo, la difesa lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. c) ed e), cod. proc. pen., inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità (artt. 521, 522 – 604 cod. proc. pen.) e carenza e contraddittorietà della motivazione. In sintesi, la difesa deduce che, a fronte della condotta ascritta in rubrica, vale a dire attività di certificazione dei crediti portati in compensazione, la ricorrente sarebbe stata condannata per aver svolto attività di certificazione dei costi sostenuti dalle società (OMISSIS) e (OMISSIS) per attività di ricerca e sviluppo.

Aggiunge che la Corte di appello aveva motivato la responsabilità concorsuale della ricorrente per aver attestato l’effettività dei costi sostenuti per attività di ricerca e sviluppo dalle due menzionate società e per aver supervisionato la predisposizione della documentazione contabile attraverso una attività di audit.

Lamenta, conseguentemente, la violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen., poiché tale attività non è corrispondente a quella descritta nel capo di accusa.

2.1.2 Con la seconda doglianza del primo motivo di ricorso la difesa lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b) cod. proc. pen., violazione della legge penale ex art. 110 cod. pen.

Deduce la difesa carenza di motivazione sulla prova della esistenza di una reale partecipazione nella fase ideativa o preparatoria del reato, avendo peraltro la Corte di appello contraddittoriamente affermato che l’attività della ricorrente (certificazione dei crediti di ricerca e sviluppo dopo l’attività di audit nella predisposizione della documentazione contabile delle due società) era necessaria per conservare l’agevolazione fiscale all’esito del controllo dell’Autorità, dunque non per commettere il reato, ma per evitare, in un momento successivo, di perdere il vantaggio patrimoniale già conseguito.

2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., contraddittorietà, illogicità e carenza di motivazione.

Deduce la ricorrente che il Procuratore generale presso la Corte di appello di Milano aveva chiesto l’accoglimento del secondo motivo di appello sul presupposto che le certificazioni a firma dell'(OMISSIS) fossero state redatte dopo la presentazione dei modelli F24 e, dunque, dopo la consumazione dei reati.

Sostiene, infatti, la difesa che, nella sentenza di primo grado, era stato ritenuto che tutte le certificazioni erano state redatte a valle della consumazione delle ipotesi delittuose, sicchè l’unica ipotesi astrattamente configurabile era quella del favoreggiamento personale.

Lamenta la ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata era contraddittoria perché, pur sostenendo che l’attività di certificazione sarebbe intervenuta in una fase successiva alla consumazione dei reati, attribuiva rilievo penale all’attività di audit svolta prima della presentazione dei modelli F24.

L’attività di audit, tuttavia, non era stata oggetto di contestazione e non era idonea ad offrire un contributo causale alla consumazione del reato.

Lamenta, inoltre, la ricorrente che la Corte di appello aveva anche travisato una prova con riferimento alle dichiarazioni rese da (OMISSIS) (OMISSIS), il quale aveva riferito che la (OMISSIS) fosse andata in azienda prima della consegna al commercialista del prospetto per le compensazioni e non che fu ella ad effettuare questa consegna, come invece affermato dalla Corte di appello.

Conclude, pertanto, la difesa che la motivazione offerta dalla Corte di appello era totalmente insufficiente per superare il dubbio in ordine al dato temporale in cui sarebbe stata tenuta la condotta della (OMISSIS).

2.3 Con il terzo motivo, la difesa lamenta, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., violazione dell’art. 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74/2000 e carenza di motivazione. In sintesi, la difesa si duole dell’aver la Corte di merito omesso di pronunciarsi sulla richiesta di acquisizione della sentenza n. 3113 dell’11/11/2021, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Milano a carico dell’originario coimputato (OMISSIS) (OMISSIS), che aveva escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 13-bis, comma 3, d.lgs. n. 74/2000, affermando che non fossero rinvenibili modelli di evasione fiscale, né motivato sul contrasto di decisioni.

Osservava che, nel caso in esame, mancasse un coinvolgimento della ricorrente nella elaborazione e nella commercializzazione del “modello di evasione”, essendosi la condotta tenuta dall’imputata limitata alla certificazione dei costi sostenuti dalle società (OMISSIS) e (OMISSIS) in attività di ricerca e sviluppo per soli tre anni di imposta, rappresentando detta attività un tassello postumo e/o collaterale (rispetto alla presentazione dei modelli F24) di una più ampia attività di compensazione già programmata dagli altri coimputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I primi due motivi di ricorso, da trattare congiuntamente perché connessi, sono fondati, mentre il terzo motivo è assorbito.

1.1 Giova preliminarmente, per la migliore comprensione della vicenda e l’adeguato apprezzamento delle censure della ricorrente, riassumere brevemente la normativa posta alla base dei crediti di imposta che le società (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.r.l. hanno utilizzato in compensazione.

La legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015) aveva introdotto un’agevolazione fiscale per le società che sostenevano spese per attività di ricerca e sviluppo, prevedendo che i costi a tal fine sostenuti generassero dei crediti di imposta, da indicare nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui i predetti costi venivano sostenuti e nella dichiarazione dei redditi degli anni in cui i crediti venivano utilizzati in compensazione.

La compensazione avveniva automaticamente, a seguito della presentazione, da parte del beneficiario, dei crediti del modello F24, mentre il controllo dell’Agenzia delle Entrate era solo eventuale e limitato alla verifica della documentazione contabile certificata dal soggetto incaricato della revisione legale, tra cui la certificazione attestante la regolarità formale della documentazione contabile e l’effettività dei costi sostenuti che doveva essere già preparata prima della compensazione e certamente disponibile al momento dell’eventuale successivo controllo.

La società beneficiaria era, infatti, tenuta a conservare tutta la documentazione utile a dimostrare l’ammissibilità e l’effettività dei costi sostenuti, in assenza della quale il credito di imposta sarebbe stato revocato, con applicazione di una sanzione pecuniaria.

1.2 Giova, inoltre, precisare che, in entrambe le fattispecie di reato previste dall’art. 10-quater, commi 1 e 2, d.lgs. n. 74 del 2000, vengono in rilievo atti di compensazione di tipo commissivo, che si perfezionano nel momento in cui viene presentato all’Amministrazione erariale il modello di versamento unificato contenente la compensazione di crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1) o inesistenti (art. 10-quater, comma 2), per un importo complessivamente superiore a euro cinquantamila per ogni anno d’imposta.

Si richiede, pertanto, la compilazione e il successivo invio di un modello F24, che attesti l’impiego di crediti “non spettanti” o “inesistenti”, essendo questa la condotta con la quale si realizza l’indebita compensazione, ai sensi della normativa fiscale relativa (art. 17, d.lgs. n. 241 del 1997): infatti, ciò che penalmente rileva è il momento del mancato versamento causato dall’indebita compensazione e non già quello della successiva dichiarazione reddituale, perfezionandosi la condotta decettiva del contribuente proprio per effetto dell’utilizzo del modello di versamento in questione (Sez. 3, n. 4958 del 11/10/2018, dep. 2019, Cappello, Rv. 274854).

La fattispecie integra un reato proprio (in cui l’agente-intraneus viene descritto dalla norma come “chiunque” e viene identificato in colui che, nell’esercizio dei poteri di competenza, non versa le somme dovute utilizzando in compensazione crediti inesistenti o non spettanti), che può realizzarsi mediante l’intervento in concorso di un soggetto terzo, quale l’intermediario professionale, di cui il contribuente si avvalga per la redazione e l’inoltro dei modelli di pagamento telematici.

E’, dunque, certamente configurabile il concorso dell’extraneus nel reato proprio, nel caso in cui questi rivesta un ruolo nell’operazione, che potrà essere anche soltanto materiale “laddove si provveda (o comunque si collabori) alla compilazione e/o trasmissione del Modello F24”.

1.3 Tanto premesso, risulta che la ricorrente aveva assunto la responsabilità di attestare l’effettività dei costi sostenuti da (OMISSIS) s.p.a. e da (OMISSIS) s.r.l. per attività di ricerca e sviluppo, nonché di supervisionare la predisposizione della documentazione contabile, attraverso una attività di audit: ciò emerge dalle lettere di incarico delle due società, dalle mail scambiate con Davide Spitale, nonché da una fattura pro-forma emessa dalla stessa ricorrente.

E, dunque, a fronte delle obiezioni difensive secondo le quali l’attività svolta dalla ricorrente non fosse corrispondente a quella descritta nel capo di accusa e che, comunque, non fosse necessaria per conseguire l’agevolazione fiscale, ma solo per conservarla all’esito del controllo dell’Autorità erariale, la Corte territoriale ha affermato che l’attività svolta dalla ricorrente era essenziale nella procedura intrapresa dalle due società e finalizzata all’ottenimento ed all’utilizzo del credito fiscale, avendo ella assunto il compito, innanzitutto, di supervisionare la predisposizione della documentazione contabile, attraverso un’attività di audit, per poi certificarne la regolarità.

E, secondo la normativa sopra sinteticamente riassunta, l’attività certificatoria di regolarità contabile era necessaria per poter beneficiare del credito di imposta: il contributo concorsuale della ricorrente è allora integrato, ad avviso della Corte di merito, proprio dalla attività certificatoria di regolarità contabile, quale presupposto normativo necessario per l’utilizzo dei crediti di imposta in compensazione e la consapevolezza di certificare una regolarità contabile inesistente al fine di utilizzare in compensazione crediti di imposta inesistenti, consapevolezza desumibile dal numero e dalla consistenza delle lacune documentali, nonché dagli errori riscontrati nelle attestazioni.

Del resto, prosegue la Corte di Milano, la ricorrente aveva sostenuto di aver eseguito una verifica “a campione” delle spese, senza che tuttavia di tale modalità operativa vi fosse traccia nella certificazione rilasciata, per cui si conclude nel senso che l’imputata aveva adottato tale forma di verifica al solo fine di giustificare il mancato rilievo che i costi esposti per alcuni lavoratori coinvolti nei progetti superavano il numero di ore pagate ai dipendenti, come accertato dall’Agenzia delle Entrate. In sintesi, la Corte di appello ha, dunque, ritenuto che all’imputata il delitto fosse contestato in concorso con i soggetti indicati nella imputazione e ha qualificato il contributo di costei nell’aver certificato i crediti di ricerca e sviluppo.

1.4 Ora, il concorso di persone nel reato proprio non determina, in forza del principio di atipicità che governa l’istituto, alcuna restrizione dell’area dei contributi che possono essere prestati dai concorrenti che non rivestono la qualifica soggettiva richiesta dalla legge per il perfezionamento del reato, avendo il codice vigente optato per il criterio dell’efficienza causale della condotta di ciascun concorrente, a cui non sfugge affatto l’ipotesi in cui l’estraneo contribuisce col suo comportamento di partecipe alla lesione del bene protetto realizzata dal soggetto qualificato (Sez. 2, n. 286 del 10/12/2024, dep. 2025, Arabia, non mass.).

Tuttavia, poiché i modelli F24 risultano pacificamente trasmessi dalla società e non dalla ricorrente quale intermediario professionale (cfr. capo di imputazione), e poiché, come pacificamente ritenuto, il reato contestato si consuma con la trasmissione dei predetti modelli, colgono nel segno le censure difensive, non essendo stato allora ben chiarito dalla Corte di appello il contributo concorsuale dell’imputata, dal momento che la sentenza impugnata, nel concordare con la ricostruzione materiale del Tribunale – secondo cui la condotta della ricorrente sarebbe stata finalizzata ad aiutare gli autori materiali del reato ad eludere le verifiche da parte dell’Agenzia delle Entrate – offre argomenti contraddittori per spiegare che la condotta della (OMISSIS) integri un concorso nel delitto di indebite compensazioni.

Si legge, infatti, da un lato, a pag. 49 e a pag. 54 della sentenza impugnata, che tutti i crediti di ricerca e sviluppo sono stati certificati a posteriori e che le attestazioni della ricorrente non si sono nemmeno coordinate con quelle di (OMISSIS) e (OMISSIS), tanto da non essere realizzate in logica successione; dall’altro lato, alla pag. 56 della decisione ricorsa, a fronte della contestazione della mancanza di efficacia causale del contributo concorsuale nella compilazione e presentazione dei modelli F24, si legge che il contributo concorsuale della ricorrente è consistito nella certificazione dei crediti di ricerca e sviluppo, dopo l’attività di audit nella predisposizione della documentazione contabile delle società in questione, ribadendosi che l’attività certificatoria era necessaria per conservare l’agevolazione fiscale all’esito del controllo dell’Autorità e che la compensazione dei crediti era avvenuta, pur in assenza dei presupposti costitutivi.

In altri termini, la responsabilità della ricorrente è stata affermata sulla base di un contributo concorsuale – certificazione dei crediti di ricerca e sviluppo, dopo l’attività di audit nella predisposizione della documentazione contabile delle società in questione – che, oltre a non essere perfettamente sovrapponibile alla condotta ascritta in imputazione, è anche fondato sulla base di una motivazione all’evidenza contraddittoria e priva di coerenza logica, poiché lo sviluppo argomentativo della sentenza impugnata addebita all’imputata, per un verso, una condotta comportamentale di carattere certificatorio che dichiara, al contempo, essere posteriore al momento di perfezione del reato (trasmissione del modello F24), tanto da affermare che la finalità della stessa era quella di conservare l’agevolazione fiscale all’esito del controllo dell’Autorità, e, per altro verso, un’attività di audit nella predisposizione della documentazione contabile che non chiarisce adeguatamente in cosa sia consistita.

2. In conclusione, si impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano che provvederà a riesaminare la vicenda, attenendosi a quanto deciso da questa Corte.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Così deciso il 21/2/2025

Depositato in Cancelleria il 5 maggio 2025.

SENTENZA – copia non ufficiale -.