Delitto successivo al ritorno illecito in Italia: negata la speciale causa di non punibilità (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 26 agosto 2021, n. 32254).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZAZA Carlo – Presidente

Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere

Dott. PISTORELLI Luca – Consigliere

Dott. CAIRO Antonio – Rel. Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) TARIK nato il 01/01/19xx, Marocco;

avverso la sentenza del 08/02/2021 della CORTE APPELLO di TORINO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANTONIO CAIRO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. LUIGI BIRRITTERI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Torino, con sentenza in data 8/2/2021, in parziale riforma della decisione di primo grado, esclusa la contestata recidiva, rideterminava nei confronti di Tarik (OMISSIS) la pena inflitta in quella di mesi cinque giorni dieci di reclusione.

Si contestava e riteneva provato a carico dell’imputato il delitto di cui all’art. 13, comma 13, D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286.

La condotta era costruita sub specie di reingresso nel territorio dello Stato ed era ritenuta la legittimità del provvedimento amministrativo afferente all’applicata espulsione, con iscrizione al S.I.S.

Era, indi, provato il ritorno, almeno nella data del 24/1/2013 e, dunque, anteriormente alla scadenza del periodo di divieto, di dieci anni, durante i quali era inibito a Tarik di fare accesso in Italia.

Alla data anzidetta il (OMISSIS) non era in possesso né del no al ricongiungimento familiare, né della speciale autorizzazione del Ministro dell’Interno e ciò bastava, secondo i Giudici territoriali, a far ritenere integrato il reato di cui all’anzidetto art. 13, comma 13, D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286.

Riteneva la Corte d’appello che facesse, poi, difetto una delle condizioni essenziali per l’applicazione dell’art. 131-bis cod. pen.

La norma sarebbe stata applicabile ai soli reati per i quali era prevista una pena non superiore a cinque anni nel massimo ovvero una pena pecuniaria sola o congiunta a pena detentiva con quel limite e tale requisito risultava rispettato, oltre al fatto che non fosse stato commesso un reato della stessa indole di quello per cui si procedeva. Ciò che faceva difetto era, piuttosto, la tenuità dell’offesa.

Il comportamento era stato tenuto in piena consapevolezza di violare la normativa di riferimento.

Tarik (OMISSIS) aveva, del resto, iniziato la procedura per ottenere il nulla osta, dimostrando di conoscere la strada legittima per il reingresso, ma aveva scelto volontariamente di uscire dalla legalità e di fare ritorno prima che la procedura amministrativa si fosse completata.

La stessa condotta di tentato furto, in data posteriore al rientro (2017), induceva un giudizio negativo sulla personalità e sulla affermata tenuità dell’offesa, tale da porsi in condizione di incompatibilità con la particolare tenuità del fatto.

2. Ricorre per cassazione Tarik (OMISSIS), con il ministero del suo difensore di fiducia, e deduce la violazione dell’art 131-bis cod. pen. e il vizio di motivazione.

La Corte d’appello aveva indicato che il reingresso era stato mosso dal fine di ricongiungersi alla moglie ed era un elemento da valutare favorevolmente.

Tuttavia, la medesima Corte lo aveva, poi, inspiegabilmente considerato come un dato ostativo, giacché, pur avendo egli dimostrato di conoscere la strada per far rientro nel Paese in cui soggiornava la moglie, si era volontariamente messo nella condizione di uscire dalla legalità.

La stessa condotta, in data successiva al reingresso, che aveva comportato una condanna per furto tentato, sottintendeva uno sviluppo argomentativo illogico.

Era, invero, contraddittoria la decisione nella parte in cui, pur ritenendo di non giudicare il fatto meritevole della speciale causa di non punibilità, aveva poi riconosciuto l’esclusione della recidiva e le circostanze attenuanti generiche nella massima estensione.

OSSERVA IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va respinto.

Si duole il ricorrente del vizio di motivazione e della violazione di legge per il mancato riconoscimento della non punibilità del fatto per sua particolare tenuità.

1.1. Immune da censure di illogicità e contraddittorietà risulta la motivazione della sentenza impugnata e va, pertanto, respinto il motivo di doglianza articolato sul punto.

La Corte d’appello ha indicato che il reingresso è stato mosso dal fine di ricongiungersi alla moglie ed è, secondo il ricorrente, un elemento da valutare favorevolmente.

Tuttavia, la medesima Corte lo avrebbe richiamato in questa logica e lo ha, poi, inspiegabilmente considerato come un dato ostativo, giacché, pur avendo egli dimostrato di conoscere la strada per far rientro nel Paese in cui soggiorna la moglie, si è volontariamente messo nella condizione di uscire dalla legalità.

Non sussiste nessuna contraddittorietà o inconciliabilità del ragionamento operato dalla Corte territoriale.

Invero, i Giudici di merito hanno evidenziato come lo scopo dell’azione, di ricongiungersi alla moglie, fosse eticamente apprezzabile, ma con ciò non hanno affatto legittimato né avallato un ritorno in violazione delle disposizioni di legge.

Si è, piuttosto, sottolineato come (OMISSIS) fosse a conoscenza della procedura amministrativa per ottenere il n.o. al reingresso e ciò nonostante avesse violato la normativa, in pendenza del procedimento.

Si intende, dunque, come non vi sia illogicità attenendo i due aspetti del ragionamento a profili diversi della fattispecie, l’uno, in sostanza etico, e l’altro tecnico-giuridico, operando sul terreno della tipicità.

Né il primo, né il secondo sono stati, tuttavia, ritenuti effettivamente esistenti. Il ricorrente, pur affermando di volersi ‘ricongiungere alla moglie, dopo il ritorno in Italia, ha ripreso l’attività delittuosa e, per l’altro aspetto, nessun dato materiale realizzava un’esimente o era idoneo a escludere la tipicità del fatto, essendo ancora in atto il procedimento che avrebbe dovuto, sul piano amministrativo, riconoscere il titolo al ricongiungimento e al reingresso.

2. Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto si deve osservare quanto segue.

Al riguardo occorre considerare che l’art. 131-bis cod. pen. è stato introdotto dall’art. 1, comma 2, d. Igs. 16 marzo 2015, n. 28, disposizione che ha inserito, con valenza di norma sostanziale, la speciale causa di non punibilità.

Il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza.

Le Sezioni Unite di questa Corte hanno già avuto occasione, recentemente, di evocare le radici e le inespresse potenzialità ermeneutiche del principio di offensività (Sez. U, n. 40354 del 18/07/2013, Sciuscio, Rv. 255974), oramai costituzionalizzato nella cd. Costituzione materiale.

In realtà il nuovo istituto persegue finalità connesse ai principi di proporzione ed extrema ratio; con effetti anche in tema di deflazione.

Lo scopo primario è quello di espungere dal circuito penale fatti marginali, che non mostrano bisogno di pena e, dunque, neppure la necessità di impegnare i complessi meccanismi del processo.

Per stabilire quando un fatto possa ritenersi non punibile per tenuità, occorre porre mente all’entità, all’oggetto, agli effetti della condotta e a ogni altro elemento significativo.

Il richiamo mette in campo, oltre alle caratteristiche dell’azione e alla gravità del danno o del pericolo, anche all’intensità del dolo e al grado della colpa.

Nel disciplinare la graduazione dell’illecito, si è fatto riferimento non solo al disvalore di azione e di evento, ma anche al grado della colpevolezza.

La rilevanza del profilo soggettivo implica una ponderazione sul grado della colpa e sull’intensità del dolo; da ciò l’introduzione del richiamo esplicito all’art. 133, primo comma, cod. peri. che compare nella norma di richiamo.

Da un lato, dunque, il legislatore ha compiuto una graduazione qualitativa, astratta, basata sull’entità e sulla natura della pena e vi ha aggiunto un elemento d’impronta personale, pure esso tipizzato, relativo alla abitualità o meno del comportamento.

Dall’altro, l’abitualità stessa è stata intesa come specchio di un dolo di intensità particolare richiamato dagli artt. 131-bis e 133 cod. pen.

2.1. Ciò posto deve osservarsi che la sentenza affronta diversi aspetti sulla causa di non punibilità e si confronta in maniera adeguata con la critica contenuta in ricorso.

Il motivo, d’altro canto, è, in parte, anche eccentrico, poiché si sofferma sul solo aspetto della condotta relativa al post-fatto.

Il ricorrente lamenta che la determinazione di non concedere la misura invocata della speciale causa di non punibilità si sia concentrata sul solo comportamento di Tarik (OMISSIS) tenuto dopo la condotta oggetto di processo.

Al contrario, la decisione esamina una serie di elementi che inducono a una valutazione complessiva della condotta e che hanno indotto ad escludere la concessione del beneficio.

Valorizzando, poi, tutti gli elementi che caratterizzano la causa di non punibilità il Giudice a quo enuclea i dati materiali a disposizione, facendo leva non sul tentativo di furto in se, commesso nell’anno 2017, come dato ostativo al riconoscimento della speciale causa di non punibilità, ma valorizzandone la portata alla luce della condotta posta in essere.

Invero, quel delitto si collega alla condotta di reingresso, in un finalismo obiettivo, che genera in punto logico una continuità nell’attività delittuosa, attestando che al reingresso nel territorio dello Stato ha fatto seguito un persistere di azioni devianti che hanno, appunto, indotto ad escludere che all’accesso in violazione dell’art. 13 comma 13 del D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, si potesse riconoscere una valenza offensiva di struttura minimale.

Si intende, allora, come anche una condotta delittuosa successiva al ritorno illecito nel territorio italiano può rilevare ai fini del diniego della speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis cod. pen., quando l’attività postuma, collegandosi concettualmente al reingresso, ne segni il finalismo obiettivo, facendo intendere come la violazione dell’art. 13 comma 13 D.L.vo 25 luglio 1998, n. 286, non si colleghi a condotte essenzialmente lecite, ma ad atteggiamenti d’obiettiva finalizzazione al delitto, anche non definite nella specifica individualità, ma definite nella sola portata generale.

3. Alla luce di quanto premesso il ricorso va respinto. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in data 1 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 26 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.