E’ da considerarsi truffa il transitare attraverso il varco di uscita dell’autostrada accodandosi ad altro automezzo o indicando falsamente all’operatore di non avere soldi (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 9 dicembre 2020, n. 35037).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere –

Dott. PACILLI Giuseppina Anna Rosaria – Rel. Consigliere –

Dott. MESSINI D’AGOSTINI Piero – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MANCUSO JOSEPH, nato ad Ambery En Bugey (Francia) il xx.xx.19xx;

avverso la sentenza n. 1328/2019, emessa dalla Corte d’Appello di Milano il 19 febbraio 2019.

Visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita nell’udienza del 20 novembre 2020 la relazione fatta dal Consigliere Dott.ssa Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;

letta la requisitoria scritta, presentata ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. n. 137/2020 dal Sostituto Procuratore Generale Dott. Stefano TOCCI, che ha chiesto di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Con sentenza del 19 febbraio 2019 la Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza emessa il 7 maggio 2018 dal Tribunale di Pavia, con cui MANCUSO JOSEPH è stato condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui agli artt. 81 cpv, 640, commi 1 e 2 n. 1, c.p. ai danni di SATAP s.p.a.

Avverso la sentenza d’appello il difensore dell’imputato ha proposto ricorso per cassazione, deducendo l’erronea applicazione della legge nonché l’illogicità della motivazione, per avere la Corte territoriale qualificato i fatti come truffa, in difetto dei relativi presupposti, e per avere apoditticamente ritenuto che l’imputato fosse il regista dei numerosi passaggi autostradali, effettuati dai dipendenti della sua società, senza corrispondere il relativo corrispettivo.

In particolare, con riguardo alla qualificazione giuridica dei fatti, premesso che il delitto di truffa contrattuale si consuma qualora l’agente, mediante condotte decettive, induca la controparte a stipulare un contratto, che, in mancanza di tali mezzi fraudolenti, non avrebbe mai concluso, il ricorrente ha dedotto che, nel caso in esame, al momento del perfezionamento del contratto, da identificarsi con il ritiro del biglietto all’ingresso dell’autostrada, alcun artifizio o raggiro fosse individuabile nel comportamento tenuto dai soggetti attivi, del tutto identico a quello degli altri utenti, sicché l’atto di disposizione compiuto dalla società autostradale, consistente nel permettere il transito dell’automobilista, non apparirebbe eziologicamente collegato a una condotta truffaldina del privato, realizzata solo successivamente.

La condotta del conducente, che con stratagemmi vari elude il pagamento del dovuto, non risulterebbe integrare l’espediente decettivo postulato dalla norma incriminatrice, perché successivo alla conclusione del contratto e, dunque, non incidente sulla corretta formazione della volontà negoziale.

Al più, la condotta anzidetta potrebbe integrare il delitto di insolvenza fraudolenta ma ciò solo se si dimostri l’effettività dello stato di insolvenza, ossia l’impossibilità di pagare: circostanza non provata nella specie.

All’odierna udienza è stata verificata la regolarità degli avvisi di rito; all’esito, questa Corte, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da dispositivo in atti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato.

1.1 E’ risultato accertato che gli automezzi della società, di cui il ricorrente era legale rappresentante, si accodavano ad un altro automezzo munito di tessere viacard, ponendosi a distanza minima e così riuscendo a superare il varco dell’autostrada, senza pagare il dovuto; altre volte, l’autista chiedeva l’intervento di un operatore a mezzo citofono ed otteneva l’innalzamento della sbarra posta al casello, previo ritiro del modulo per il pagamento del pedaggio, facendo credere all’operatore che il pagamento sarebbe avvenuto.

In tali condotte la Corte di merito ha correttamente individuato gli estremi del reato contestato.

Costituisce una condotta truffaldina il transitare attraverso il varco di uscita dell’autostrada accodandosi ad altro automezzo o indicando falsamente all’operatore di non avere soldi e così ottenendo l’apertura delle sbarre di uscita. Trattasi, infatti, di consapevoli condotte raggiranti, finalizzate in maniera inequivoca a sottrarsi al pagamento del pedaggio dovuto.

Al riguardo va ribadito l’insegnamento del giudice di legittimità (v. Sez. 2, n. 26289 del 18/5/2007, Rv. 237150) secondo cui il delitto di truffa si distingue da quello di insolvenza fraudolenta per le modalità della condotta, atteso che nella truffa si simulano artificiosamente circostanze e condizioni non vere per indurre altri in errore, mentre nell’insolvenza fraudolenta si dissimula una condizione vera, quale quella di essere insolvente.

Giova poi aggiungere che non è esatto il rilievo difensivo secondo cui gli artifizi e i raggiri devono essere realizzati necessariamente nella fase di conclusione del contratto.

Questa Corte (Sez. 2, n. 29853 del 23/06/2016, Rv. 2680739) ha già avuto modo di affermare che l’attività decettiva, commessa successivamente alla stipula e durante l’esecuzione contrattuale, è penalmente rilevante, qualora determini, da parte della vittima, un’ulteriore attività giuridica che non sarebbe stata compiuta senza quella condotta decettiva.

Ciò è quanto si è verificato nella specie, atteso che proprio mediante i suddetti capziosi espedienti (dare ad intendere di avere dimenticato il relativo titolo di pagamento o accodarsi ad altro automezzo) si è indotta in errore la società SATAP, così ottenendo la prestazione patrimoniale altrimenti non dovuta.

1.2 Quanto poi all’individuazione del ricorrente quale autore del reato, non merita censura la decisione impugnata che si è basata su prova logica, posto che il predetto era il legale rappresentante della società proprietaria degli automezzi in questione, i cui transiti, proprio per la numerosità degli stessi, “evidenziavano una prassi imposta dalla società e, quindi, dal suo legale rappresentante”.

2. Le doglianze sollevate sono quindi infondate, sicché il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Sentenza con motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, udienza del 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 dicembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.