Espropriazione: la sopravvenuta dichiarazione di incostituzionalità dei V.A.M. rende invalido l’accordo sull’indennità (Corte di Cassazione, Sezione I Civile, Sentenza 30 aprile 2024, n. 11608).

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI – Presidente

MASSIMO FALABELLA                                       – Consigliere

ANDREA FIDANZIA                                            – Consigliere

GIUSEPPE DONGIACOMO                                – Consigliere

ELEONORA REGGIANI                                       – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

nel ricorso R.G. n. 10187/2018 promosso da

(omissis) (omissis) (omissis) degli (omissis) e (omissis) (omissis) degli (omissis), in proprio e nella qualità di rappresentante legale della (omissis) di (omissis) e (omissis) (omissis) (omissis) degli (omissis) s.n.c., elettivamente domiciliati in Roma, via (omissis) 11, presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis), che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;

ricorrenti

contro

Società (omissis) per l’Italia s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via (omissis) 95, presso lo studio dell’avv. (omissis) (omissis), che la rappresenta e difende unitamente all’avv. prof. (omissis) (omissis) in virtù di procura speciale in atti;

controricorrente

avverso l’ordinanza n. 2725/2017 della Corte di appello di Ancona, depositata in data 26/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Cons. dott.ssa ELEONORA REGGIANI;

letti gli atti del procedimento in epigrafe;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ordinanza n. 2725/2017, la Corte di Appello di Ancona ha dichiarato inammissibile la domanda proposta, nei confronti di (omissis) per l’Italia s.p.a., da (omissis) (omissis) (omissis) degli (omissis) e (omissis) (omissis) degli (omissis), quest’ultimo in proprio e quale legale rappresentante della “(omissis) (omissis) e (omissis) (omissis) degli (omissis) S.n.c.”, per ottenere la determinazione equa e giusta della indennità di espropriazione relativa a terreni di loro proprietà siti in Comune di (omissis), la determinazione dell’indennità di occupazione temporanea e il risarcimento dei danni conseguenti all’ablazione dei terreni, oltre al pagamento dell’indennità di cui all’art. 40, comma 3, d.P.R. n. 327 del 2001.

La Corte territoriale, accogliendo l’eccezione formulata dalla (omissis) per l’Italia s.p.a., ha rilevato che i proprietari dei terreni avevano accettato l’indennità offerta nell’ambito della procedura espropriativa avviata nei loro confronti in forza del verbale di amichevole accordo, sottoscritto in data 10/10/2009, e del successivo contratto preliminare di trasferimento immobiliare per causa di pubblica utilità, in sostituzione della procedura di esproprio, stipulato in data 17/12/2009.

In particolare, la menzionata Corte ha ritenuto che, una volta accettata l’indennità provvisoria offerta, la misura della stessa diviene definitiva e non più contestabile, restando precluso l’esperimento dell’opposizione alla stima, ferma la possibilità di impugnare detto accordo in un ordinario giudizio di cognizione.

La Corte di merito non ha dato alcun rilievo alla circostanza che, poi, non era stato sottoscritto il previsto contratto di cessione, poiché l’accordo bonario aveva, comunque, avuto l’effetto di precludere ogni futura contestazione sull’importo dell’indennità di espropriazione e ad esso era seguito, in luogo della cessione, il decreto di esproprio.

Nella decisione impugnata, la Corte d’appello ha, poi, negato che potesse assumere rilievo la sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 10/06/2011, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di diverse disposizioni di legge, tra cui, da ultimo, l’art. 40, commi 2 e 3, d.P.R. 327 del 2001, incidente sulla determinazione dell’indennità spettante in caso di espropriazione di terreni non edificabili, poiché lo strumento dell’opposizione alla stima non era congruente allo scopo di far valere i parametri legali, dovendo la pretesa di sostituire l’indennità concordata con quella risultante dall’applicazione dei parametri legali essere fatta valere attraverso un’ordinaria azione diretta a far valere l’invalidità parziale dell’accordo, considerato anche che l’accertamento dell’eventuale nullità dell’accordo amichevole non costituisce un antecedente logico necessario alla determinazione della giusta indennità, ma un fatto impeditivo dell’espropriazione che deve essere fatto valere necessariamente in un diverso giudizio.

Avverso tale statuizione hanno proposto ricorso per cassazione i proprietari dei terreni espropriati, affidato ad un unico motivo di impugnazione, articolato in distinti profili.

L’intimata si è difesa con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 e 39 l. n. 2359 del 1865, dell’art. 136 Cost., dell’art. 30 l. n. 87 del 1953, degli artt. 1351, 1362, 1363, 1366, 1372 e 1419 c.c. – in relazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 181 del 10/06/2011, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale degli artt. 5 bis, commi 1 e 2, l. n. 359 del 1992 e dell’art. 40, commi 2 e 3, d.P.R. n. 327 del 2001 – nonché per violazione e falsa applicazione delle medesime norme di diritto nel testo vigente, risultante dalla pronuncia di incostituzionalità (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.).

I ricorrenti hanno censurato la decisione di merito, nella parte in cui ha qualificato l’accettazione dell’indennità provvisoria come atto negoziale irrevocabile e non più modificabile, senza dare rilievo al fatto che, poi, dopo il contratto preliminare, l’atto definitivo di cessione volontaria non era stato stipulato e senza considerare che, dopo la stipula del preliminare, era intervenuta la sentenza n. 181 del 10/06/2011 della Corte costituzionale, che aveva dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 40 d.P.R. n. 327 del 2001, unitamente ad altre norme, nella parte in cui faceva riferimento ai cosiddetti V.A.M. (valori agricoli medi) anche per la determinazione del prezzo in sede di cessione volontaria delle aree.

Secondo i ricorrenti, il giudice di merito ha erroneamente qualificato l’accettazione dell’indennità provvisoria mediante accordo amichevole come un atto negoziale irrevocabile e non più modificabile, richiamando un precedente di legittimità riguardante una ipotesi ben diversa da quella in esame (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19671 del 13/09/2006), senza considerare gli effetti della pronuncia della Corte costituzionale n. 181/2011, intervenuta prima della notifica del decreto di esproprio, analogamente a quanto già statuito con riferimento agli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1983 eseguita il 28/05/2015 (e, in particolare, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19656 del 13 settembre 2006), ove questa Corte ha ritenuto che la pattuizione invalida sul prezzo viene automaticamente sostituita, a norma dell’art. 1419, comma 2, c.c., con il precetto ricavabile dal criterio legale, senza che sia necessario promuovere azione di nullità dell’accordo.

Gli stessi ricorrenti hanno, inoltre, evidenziato che il contratto preliminare conteneva, nella premessa, la specificazione che l’importo determinato a titolo di indennità di esproprio era stato pattuito tenendo conto, tra gli altri, dell’art. 40 d.P.R. n. 327 del 2001 che, però, come sopra evidenziato, era stato dichiarato incostituzionale con la sentenza già richiamata e, pertanto, i proprietari avevano diritto ad ottenere la liquidazione dell’indennità secondo il valore venale, essendo la pattuizione divenuta invalida per effetto della menzionata decisione del Giudice delle leggi.

2. Il motivo è fondato sia pure nei termini di seguito evidenziati.

2.1. Dalle stesse dichiarazioni delle parti, confermate da quanto riportato nella decisione impugnata, emerge con chiarezza che i ricorrenti hanno accettato l’indennità ad essi offerta, stipulando, poi, un “preliminare di trasferimento immobiliare per causa di pubblica utilità in sostituzione della procedura di esproprio”, nel quale hanno previsto la corresponsione della complessiva somma di € 83.010,48 – che comprendeva gli importi dovuti ai sensi dell’art. 45, comma 2, lett. c), d.P.R. n. 327 del 2001, l’indennità per l’occupazione temporanea di cantiere e quella per la perdita di manufatti – con il versamento di € 70.407,38 al momento della stipula del preliminare il pagamento del saldo al momento della sottoscrizione del contratto definitivo (p. 2 e 3 della sentenza impugnata).

È incontestato che, successivamente alla stipula del contratto preliminare, è intervenuta la sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 10/06/2011, a seguito della quale i ricorrenti non hanno più prestato il consenso alla stipula del contratto definitivo.

L’Amministrazione ha, quindi, adottato il decreto di esproprio, notificato ai ricorrenti il 28/05/2015, i quali hanno instaurato il presente procedimento ex art. 53 d.P.R. n. 327 del 2001.

2.2. Come sopra evidenziato, il contratto preliminare ha previsto la corresponsione, quale corrispettivo della cessione, tra l’altro, della somma determinata ai sensi dell’art. 45, comma 2, lett. c), d.P.R. n. 327 del 2001, il quale stabilisce quanto segue: «Il corrispettivo dell’atto di cessione: … c) se riguarda un’area non edificabile, è calcolato aumentando del cinquanta per cento l’importo dovuto ai sensi dell’articolo 40, comma 3.»

L’art. 40, comma 2, d.P.R. n. 327 del 2001, appena richiamato, prevede quanto segue: «Per l’offerta da formulare ai sensi dell’articolo 20, comma 1» – e cioè per l’offerta delle indennità spettanti agli espropriati – «e per la determinazione dell’indennità provvisoria, si applica il criterio del valore agricolo medio di cui all’articolo 41, comma 4, corrispondente al tipo di coltura in atto nell’area da espropriare.»

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 181 del 10/06/2011, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 5 bis, comma 4, d.l. n. 333 del 1992, conv. con modif. in l. n. 359 del 1992, in combinato disposto con gli articoli 15, comma 1, secondo periodo, e 16, commi 5 e 6, l. n. 865 del 1971, come sostituiti dall’art. 14 l. n. 10 del 1977, dichiarando, inoltre, l’illegittimità costituzionale, in via consequenziale, dell’art. 40, commi 2 e 3, d.P.R. n. 327 del 2001, così ripristinando la possibilità di far coincidere l’indennità di espropriazione con il valore di mercato per i terreni che, pur non potendo essere considerati edificabili, alla stregua del terzo comma dell’articolo 5 bis e del terzo comma dell’articolo 37 d.P.R. n. 327 del 2001.

In particolare, la menzionata Corte ha ritenuto costituzionalmente illegittimi – per contrasto con l’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del primo protocollo addizionale della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, nell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, e con l’art. 42, comma 3, Cost. – gli articoli sopra menzionati, nella parte in cui prevedevano che l’indennità di espropriazione per le aree agricole e per le aree non suscettibili di classificazione edificatoria fosse commisurata ad un valore (quello agricolo medio della coltura in atto o di quella più redditizia nella regione agraria di appartenenza dell’area da espropriare, annualmente calcolato da apposite commissioni provinciali), che prescindeva dalle effettive caratteristiche dell’area oggetto del procedimento espropriativo ed ignorava ogni dato valutativo inerente ai requisiti specifici del bene.

2.3. La materia del contendere si incentra tutta sulla verifica della incidenza o meno di tale pronuncia d’incostituzionalità sul procedimento espropriativo in questione, essendo intervenuta quando i proprietari del terreno oggetto della procedura espropriativa avevano già dichiarato di accettare le somme ad essi offerte ed avevano persino stipulato un contratto preliminare di cessione volontaria delle aree secondo il criterio stabilito dall’art. 45, comma 2, lett. c), d.P.R. n. 327 del 2001.

2.4. Com’è noto, infatti, ai sensi dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30, comma 3, l. n. 87 del 1953, i criteri di valutazione previsti nelle norma dichiarate incostituzionali non possono più trovare applicazione, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale.

La sentenza dichiarativa dell’illegittimità costituzionale si traduce in un ordine di non applicare più la norma illegittima.

Ciò significa che gli effetti della sentenza di accoglimento non riguardano soltanto i rapporti che sorgeranno in futuro, ma anche quelli che sono sorti in passato ma che non sono ancora esauriti.

Proprio in materia di espropriazione, questa Corte ha più volte esaminato detta questione, con riferimento all’incidenza sui procedimenti in corso della sentenza della Corte costituzionale n. 348 del 24/10/2007, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 bis, commi 1 e 2, d.l. n. 333 del 1992, conv. con modif. in l. n. 359 del 1992, e, in via consequenziale, dell’art. 37, commi 1 e 2, d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327 – per violazione dell’art. 117, comma 1, Cost., in relazione all’art. 1 del primo Protocollo della CEDU, nella interpretazione ad esso data dalla Corte di Strasburgo) – nella parte relativa al criterio ivi individuato per la liquidazione dell’indennizzo espropriativo spettante ai proprietari di suoli edificabili.

In tali occasioni, la Corte ha evidenziato che le sentenze di accoglimento di una questione di legittimità costituzionale pronunciate dalla Corte costituzionale hanno effetto retroattivo, in quanto connesse a una dichiarazione di illegittimità che inficia fin dall’origine la disposizione colpita, con l’unico limite delle situazioni già consolidate, che vanno individuate in quelle situazioni in cui il rapporto si è esaurito attraverso quegli eventi che l’ordinamento riconosce idonei a produrre tale effetto, tra i quali si collocano non solo le sentenze passate in giudicato, ma anche gli altri fatti rilevanti sul piano sostanziale o processuale, che comportano il consolidamento del rapporto medesimo, anche per effetto di preclusioni processuali o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia di incostituzionalità (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 10619 del 20/04/2023; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4778 del 24/02/2020; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 26291 del 06/11/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13515 del 13/06/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10379 del 21/06/2012; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22409 del 05/09/2008).

In tale ottica, questa stessa Corte ha ritenuto non ancora esaurito il rapporto nel caso in cui la pronuncia di incostituzionalità è intervenuta in pendenza di giudizio di opposizione alla stima, anche se la materia del contendere non riguardava le norme divenute incostituzionali, poiché sull’individuazione del criterio legale di stima non è concepibile la formazione di un giudicato autonomo, né l’acquiescenza allo stesso (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4778 del 24/02/2020; Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 26291 del 06/11/2017; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 13515 del 13/06/2014; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10379 del 21/06/2012; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22409 del 05/09/2008).

Inoltre, proprio con riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 10/06/2011, e in relazione al giudizio di rinvio a seguito di una pronuncia di cassazione del giudice di legittimità, questa Corte ha ritenuto che l’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi alla regula iuris, enunciata dalla Corte di cassazione ai sensi dell’art. 384 c.p.c., viene meno quando la norma da applicare in aderenza a tale principio sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens, ovvero dichiarata costituzionalmente illegittima successivamente alla pronuncia rescindente, dovendo, in questo caso, farsi applicazione, rispetto ai fatti già accertati nelle precedenti fasi del processo, del diritto sopravvenuto, che travalica il principio di diritto enunciato dalla sentenza di rinvio (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 26193 del 19/12/2016).

D’altronde, con attenzione alle ipotesi di dichiarazione di incostituzionalità di norme che devono essere applicate nel corso del procedimento amministrativo, questa Corte ha, di recente, affermato, in tema di concorsi pubblici, che la declaratoria di incostituzionalità della norma legittimante la procedura concorsuale espletata travolge la legittimità del concorso, anche ove la relativa graduatoria sia divenuta definitiva, posto che quest’ultima definisce solo la fase prodromica alla costituzione del rapporto, che, anche successivamente, resta condizionato alla validità dall’atto presupposto (Sez. L, Ordinanza n. 20943 del 18/07/2023).

2.5. Com’è noto, l’art. 20 del menzionato d.P.R. n. 327 del 2001, applicabile alla fattispecie in esame, disciplina la determinazione provvisoria dell’indennità di espropriazione e prevede che il proprietario del bene oggetto della procedura espropriativa può accettare tale indennità, manifestando un consenso che non è revocabile, a cui può seguire la cessione volontaria del bene o l’adozione del decreto di esproprio.

In particolare, la norma appena richiamata stabilisce quanto segue: «Omissis… 3. Valutate le osservazioni degli interessati, l’autorità espropriante, anche avvalendosi degli uffici degli enti locali, dell’ufficio tecnico erariale o della commissione provinciale prevista dall’ articolo 41 , che intenda consultare, prima di emanare il decreto di esproprio accerta il valore dell’area e determina in via provvisoria la misura della indennità di espropriazione. 4. L’atto che determina in via provvisoria la misura della indennità di espropriazione è notificato al proprietario con le forme degli atti processuali civili e al beneficiario dell’esproprio, se diverso dall’autorità procedente. 5. Nei trenta giorni successivi alla notificazione, il proprietario può comunicare all’autorità espropriante che condivide la determinazione della indennità di espropriazione. La relativa dichiarazione è irrevocabile. …Omissis… 8. Qualora abbia condiviso la determinazione della indennità di espropriazione e abbia dichiarato l’assenza di diritti di terzi sul bene il proprietario è tenuto a depositare nel termine di sessanta giorni, decorrenti dalla comunicazione di cui al comma 5, la documentazione comprovante, anche mediante attestazione notarile, la piena e libera proprietà del bene. In tal caso l’intera indennità, ovvero il saldo di quella già corrisposta a titolo di acconto, è corrisposta entro il termine dei successivi sessanta giorni. Decorso tale termine, al proprietario sono dovuti gli interessi, nella misura del tasso legale anche ove non sia avvenuta la immissione in possesso. 9. Il beneficiario dell’esproprio ed il proprietario stipulano l’atto di cessione del bene qualora sia stata condivisa la determinazione della indennità di espropriazione e sia stata depositata la documentazione attestante la piena e libera proprietà del bene.

Nel caso in cui il proprietario percepisca la somma e si rifiuti di stipulare l’atto di cessione del bene, può essere emesso senza altre formalità il decreto di esproprio, che dà atto di tali circostanze, e può esservi l’immissione in possesso, salve le conseguenze risarcitorie dell’ingiustificato rifiuto di addivenire alla stipula. 10. L’atto di cessione volontaria è trasmesso per la trascrizione, entro quindici giorni presso l’ufficio dei registri immobiliari, a cura e a spese dell’acquirente. 11. Dopo aver corrisposto l’importo concordato, l’autorità espropriante, in alternativa alla cessione volontaria, può procedere, anche su richiesta del promotore dell’espropriazione, alla emissione e all’esecuzione del decreto di esproprio. 12. L’autorità espropriante, anche su richiesta del promotore dell’espropriazione, può altresì emettere ed eseguire il decreto di esproprio, dopo aver ordinato il deposito dell’indennità condivisa presso la Cassa depositi e prestiti qualora il proprietario abbia condiviso la indennità senza dichiarare l’assenza di diritti di terzi sul bene, ovvero qualora non effettui il deposito della documentazione di cui al comma 8 nel termine ivi previsto ovvero ancora non si presti a ricevere la somma spettante. 13. Al proprietario che abbia condiviso l’indennità offerta spetta l’importo di cui all’ articolo 45 , comma 2, anche nel caso in cui l’autorità espropriante abbia emesso il decreto di espropriazione ai sensi dei commi 10 e 12. …Omissis.» L’art. 45 d.P.R. n. 327 del 2001 stabilisce poi che «Fin da quando è dichiarata la pubblica utilità dell’opera e fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio, il proprietario ha il diritto di stipulare col soggetto beneficiario dell’espropriazione l’atto di cessione del bene o della sua quota di proprietà …Omissis… L’accordo di cessione produce gli effetti del decreto di esproprio … Omissis.»

2.6. Dalle disposizioni appena riportate si desume chiaramente che l’accordo sull’ammontare dell’indennità, di cui all’art. 20 d.P.R. n. 327 del 2001, è cosa diversa dall’atto di cessione volontaria, i cui contenuti sono meglio disciplinati nell’art. 45 d.P.R. cit.

Entrambi hanno natura negoziale pubblica, nel senso che si tratta di accordi che si inseriscono nel procedimento ablatorio, come atti integrativi del procedimento stesso, e determinano gli effetti giuridici tipici previsti dal d.P.R. cit. Essi seguono all’offerta di una indennità provvisoria, che deve essere determinata alla stregua dei criteri inderogabili di liquidazione previsti dal legislatore (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15159 del 11/06/2018).

Tuttavia, l’accordo sull’ammontare dell’indennità produce solo effetti obbligatori (l’obbligo della P.A. di corrispondere l’indennità come concordata), mentre la stipula dell’atto di cessione volontaria, ai sensi dell’articolo 45 d.P.R. cit., determina anche l’effetto traslativo della proprietà in favore della P.A.

In sintesi, l’accordo sull’indennità di espropriazione, per effetto di accettazione da parte dell’espropriando dell’ammontare offerto dall’espropriante, non ha alcun effetto traslativo della proprietà del bene, ma si inserisce nel procedimento ablativo, nel senso che le pattuizioni in esso contenute si connotano come atti integrativi del procedimento stesso, ma sono condizionate alla sua conclusione, cioè alla stipulazione di una cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio, i quali realizzano il trasferimento della proprietà dall’espropriato all’espropriante.

È evidente, dunque, che un accordo sull’ammontare dell’indennità non costituisce mai l’atto terminale del procedimento espropriativo, che può concludersi solo con la cessione volontaria delle aree ovvero con il decreto di esproprio. In tale ottica, questa Corte ha evidenziato che l’accordo sull’ammontare dell’indennità di espropriazione (nella specie ai sensi dell’art. 12, comma 2, l. n. 865 del 1971), ha, come la cessione volontaria, natura negoziale pubblica.

La natura negoziale deriva dall’inserimento dell’accettazione nel procedimento ablatorio essendo le relative pattuizioni integrative del procedimento stesso e condizionate alla sua conclusione ovvero alla stipulazione della cessione volontaria o all’emanazione del decreto di esproprio.

La natura pubblica assume, invece, rilievo perché l’accordo è inserito nella procedura espropriativa ed è successivo all’offerta di un’indennità provvisoria, determinata alla stregua dei criteri inderogabili di liquidazione previsti dal legislatore, cosicché l’ammontare del corrispettivo deve essere correlato in modo vincolante ai tali parametri, non essendo consentito alle parti discostarsene (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15159 del 11/06/2018).

2.7. Nel caso di specie è intervenuto l’accordo sull’indennità, ma non la cessione volontaria delle aree, pure inizialmente prevista con un contratto preliminare.

L’accertamento si limita, dunque, alla verifica della valenza dell’accordo sull’ammontare dell’indennità di espropriazione, essendo oramai definitivamente esclusa l’eventualità della cessione volontaria delle aree, per effetto dell’adozione del decreto di esproprio.

Come sopra evidenziato, la declaratoria di illegittimità costituzionale dei criteri impiegati per la determinazione dell’indennità è intervenuta tra l’accettazione dell’indennità e l’adozione del decreto di esproprio. In altre parole, la pronuncia della Corte costituzionale è intervenuta in pendenza del procedimento, quando ancora non era stato concluso il contratto di cessione volontaria, che poi non è stato più stipulato, e prima che venisse adottato il decreto di esproprio.

Deve, pertanto, escludersi che la menzionata decisione del giudice delle leggi sia intervenuta quanto il rapporto giuridico tra le parti si era esaurito, poiché il procedimento espropriativo era ancora in corso, non essendo stata effettuata la cessione e non essendo stato ancora adottato il decreto di esproprio.

Né può ritenersi che la previsione contenuta nell’art. 20, comma 5, d.P.R. n. 327 del 2001, ove è stabilito che la dichiarazione di accettazione dell’indennità determinata in via provvisoria è irrevocabile, precluda alla pronuncia di illegittimità costituzionale di produrre i suoi effetti nel procedimento ablativo ancora in corso, quando cioè il decreto di esproprio non è ancora stato ancora adottato, tenuto conto che, ai fini della determinazione del valore dei beni espropriati, occorre guardare proprio al valore degli stessi al momento dell’adozione del decreto di esproprio (v. tra le tante, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 18556 del 21/09/2015; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15412 del 06/06/2019).

Nel caso di specie, come sopra evidenziato, la sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 10/06/2011 ha inciso sulla determinazione del prezzo di cessione dei terreni agricoli, come quelli oggetto del presente giudizio, nella parte in cui l’art. 45, comma 2, lett. c), d.P.R. n. 327 del 2001 rinvia all’art. 40, comma 3, d.P.R. cit.

Il carattere imperativo delle disposizioni che fissano inderogabilmente il parametro per la determinazione dell’indennità provvisoria si riverbera anche sul prezzo della prevista cessione volontaria, dovendo entrambi rispettare la normativa vigente al momento della conclusione della procedura, con la conseguenza che l’accordo che prevede un’indennità diversa, per effetto della pronuncia della Corte costituzionale, non può più produrre effetti.

Non assumono rilievo, ai fini di una diversa soluzione, le pronunce di questa Corte in cui si è affermato, in via generale, che, a seguito dell’accettazione dell’indennità, non è più possibile proporre opposizione alla stima, non essendo in tali pronunce affrontato il problema dell’intervento della menzionata pronuncia di illegittimità costituzionale nel corso del procedimento (v. da ultimo Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3549 del 14/02/2014; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 21029 del 12/10/2011; v. anche Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19671 del 13/09/2006 richiamata dal giudice di merito).

Con riguardo all’ipotesi in cui le parti abbiano già stipulato la cessione volontaria delle aree oggetto del procedimento di esproprio, questa Corte ha rilevato che tale cessione, effettuata ai sensi dell’art. 45 d.P.R. n. 327 del 2001, non è un contratto di diritto privato, ma di diritto pubblico, che si inserisce nel procedimento espropriativo, con la conseguenza che, ai fini del calcolo dell’indennità dovuta all’espropriato, non può tenersi conto della clausola convenzionale, ove essa sia ancorata a parametri legali dichiarati incostituzionali o non più vigenti nel corso della procedura, tant’è che ha consentito l’impugnazione dell’accordo con cui è stata effettuata la cessione (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 10619 del 20/04/2023, ove è stata cassata la sentenza di merito, ove si era affermato che, al momento della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 5 bis, commi 1 e 2, d.l. n. 333 del 1992, introduttivo di criteri riduttivi dell’indennità di espropriazione, l’accordo di cessione del fondo, in quanto avente natura privatistica, fosse ormai esaurito in virtù della prestazione del consenso ai sensi dell’art. 1376 c.c.).

Nel caso in cui il procedimento sia definito con il decreto di esproprio, che tenga conto dell’indennità concordata, invece, il privato può agire ai sensi dell’art. 54 d.P.R. cit. per ottenere la determinazione giudiziale dell’indennità, previo accertamento della invalidità sopravvenuta dell’accordo per effetto della pronuncia della Corte costituzionale, in conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 40, commi 2 e 3, d.P.R. n. 327 del 2001 (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 10446 del 27/04/2017 e Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 15705 del 14/06/2018; v. anche Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 13405 del 28/04/2022; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 4369 del 10/02/2022).

3. In conclusione, il ricorso deve essere accolto in applicazione del seguente principio:

In tema di espropriazione per pubblica utilità, l’intervento della sentenza della Corte costituzionale n. 181 del 2011, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche dell’art. 40, commi 2 e 3, d.P.R. n. 327 del 2001, nel corso del procedimento di esproprio, ma prima dell’atto ablativo, comporta la sopravvenuta invalidità dell’accordo sull’indennità, riguardante aree non edificabili, raggiunto prima che venisse pubblicata la sentenza della Corte costituzionale, sicché il proprietario del bene può agire per chiedere la determinazione della giusta indennità ai sensi dell’art. 54 d.P.R. n. 327 del 2001 previo accertamento dell’invalidità sopravvenuta dell’accordo sull’indennità.»

L’ordinanza impugnata deve essere cassata, nei limiti sopra indicati, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche per la decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte

accoglie l’unico motivo di ricorso e cassa, nei limiti sopra indicati, l’ordinanza impugnata con rinvio della causa alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, anche sulla decisione sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione Civile della Suprema Corte di cassazione, in data 14/12/2023.

Depositato in Cancelleria il 30 aprile 2024. 

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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Per completezza, si allega la sentenza della Corte Costituzionale del 2011, a cui si fa riferimento nella sentenza ut supra.

Corte Costituzionale, Sentenza n. 181 del 2011