Evade dagli arresti domiciliari poi si pente presentandosi dai Carabinieri. Arrestato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 8 maggio 2019, n. 23228).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente –

Dott. MOGINI Stefano – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Anna – Consigliere –

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –

Dott. Maria Silvia Giorgi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da F.G.i, nato il  a C.

avverso la sentenza del 04/07/2018 della Corte d’appello di Catanzaro;

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Maria Silvia Giorgi;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Roberta Maria Barberini, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Catanzaro confermava la sentenza in data 24/6/2016 del tribunale di Cosenza, che aveva condannato G.F. per il delitto di cui all’art. 385, comma 3, cod. pen., perché, sottoposto alla misura della detenzione domiciliare presso la Fondazione San Francesco di Assisi, se ne era allontanato arbitrariamente, condannandolo, con le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, alla pena di un anno di reclusione.

La Corte d’appello ripercorreva nel merito le motivazioni svolte dal primo giudice in ordine alla consistenza in fatto del reato contestato e riteneva non fondato il rilievo in ordine all’asserito rientro volontario nel luogo di esecuzione della misura, ai fini dell’attenuante di cui all’art. 385 comma 4 cod. pen., nè meritevole di accoglimento la richiesta di applicazione della riduzione della pena al minimo edittale e di riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante ex art. 99 cod. pen.

2. Il difensore di fiducia del F. ha presentato ricorso avverso la citata sentenza della Corte d’appello e ne ha chiesto l’annullamento, con due motivi:

A) la violazione dell’art. 385, comma 4, cod. pen., quanto alla denegata concessione della relativa attenuante, essendosi il F. consegnato al rientro al soggetto incaricato della custodia presso la Fondazione cui era affidato;

B) la mancanza, la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione circa il trattamento sanzionatorio, quanto al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche sull’aggravante ex art. 99 cod. pen. e del contenimento della pena nel minimo edittale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi di ricorso si palesano entrambi inammissibili, siccome manifestamente infondati e aspecifici.

2. Quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 385, comma 4, cod. pen., a fronte delle argomentate risposte già offerte dal giudice di appello in ordine alla specifica doglianza dell’appellante, questi si limita a riproporla benché già proposta e motivatamente disattesa.

Va ribadito innanzitutto che il dolo del reato di evasione per abbandono del luogo degli arresti domiciliari è generico, essendo necessaria e sufficiente – in assenza di autorizzazione – la volontà di allontanamento nella consapevolezza del provvedimento restrittivo a proprio carico, non rilevando la durata o la distanza dello spostamento, né i motivi alla base della determinazione dell’agente; sicché integra il reato di evasione la condotta di volontario allontanamento dal luogo di restrizione domiciliare pure seguita dalla presentazione presso la stazione dei Carabinieri per chiedere di essere ricondotto in carcere (da ultimo Sez. 6, n. 52496 del 3/10/2018, Felice, Rv. 274295).

Come pure va rimarcato che, ai fini dell’attenuante della costituzione dell’evaso in carcere prima della condanna, di cui al quarto comma dell’art. 385 cod. pen., rileva sicuramente anche un comportamento assimilabile alla costituzione in carcere, quale il consegnarsi a un’autorità che abbia l’obbligo di provvedere alla successiva traduzione in carcere dell’agente (Sez. U, n. 11343 2 Corte di Cassazione del 12/11/1993, Regazzoni, Rv. 195240, seguita da giurisprudenza conforme).

E però, tale non può certo considerarsi la condotta consistente (come nel caso in esame) nel mero pur volontario rientro dell’agente nell’istituto ove egli è sottoposto alla misura della detenzione domiciliare.

3. Quanto all’ulteriore motivo concernente il trattamento sanzionatorio sotto il duplice profilo del diniego della prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata recidiva e della mancata applicazione della pena nel minimo edittale, il ricorrente si limita a riproporre col ricorso la medesima doglianza già avanzata e disattesa dal giudice di appello, il quale, per contro, con motivazione in fatto insindacabile da parte della Corte di legittimità, ha ritenuto che non sussistono i presupposti fattuali per un diverso e più mite trattamento sanzionatorio.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed a versare a favore della Cassa delle ammende una somma, che si ritiene congruo determinare in duemila euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, nella sede della VI Sezione Penale della Cassazione, il giorno 4 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il giorno 8 maggio 2019.