REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente
Dott. DE GREGORIO Edoardo – Consigliere
Dott. MICCOLI Grazia Rosa Anna – Rel. Consigliere
Dott. SCORDAMIGLIA Irene – Consigliere
Dott. FRANCOLINI Giovanni – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) VINCENZO nato a TRAPANI il 22/11/19xx;
avverso la sentenza del 14/01/2020 della CORTE APPELLO di PALERMO;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa GRAZIA ROSA ANNA MICCOLI;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. LUIGI ORSI, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della parte civile Francesco (OMISSIS), avvocato Gaetano Giovanni (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso e depositando nota-spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 14 gennaio 2020 la Corte di Appello di Palermo ha confermato la pronunzia di primo grado, con la quale Vincenzo (OMISSIS), nella qualità di segretario generale del Comune di Erice, era stato ritenuto responsabile del reato di falso ideologico, per avere attestato, contrariamente al vero, che la firma di Francesco (OMISSIS) (stesa in calce ad un documento con il quale il (OMISSIS) si sarebbe impegnato a devolvere periodicamente ad un’associazione di carattere sindacale e sociale, denominata “Noi Consumatori”, una quota parte della pensione di reversibilità della moglie deceduta) fosse stata apposta in ufficio, in sua presenza, in data 4 settembre 2015.
Nel giudizio si è costituito parte civile Francesco (OMISSIS) e i giudici di merito hanno condannato l’imputato al risarcimento del danno subito da quest’ultimo, da liquidarsi nella competente sede civile.
2. Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso il (OMISSIS), con atto sottoscritto dal difensore di fiducia.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione all’articolo 2702 cod. civ.
Deduce che, con l’ultimo motivo di appello, aveva richiesto il rigetto della domanda risarcitoria della parte civile.
In particolare, aveva assunto che la contestazione del fatto illecito sotto il profilo del falso era limitata alla circostanza che la sottoscrizione della scrittura privata, con cui il (OMISSIS) assumeva un obbligo di pagamento, non fosse stata apposta alla presenza del pubblico ufficiale.
La falsità della firma del (OMISSIS) non sarebbe stata mai contestata, sicché quest’ultimo ha assunto l’obbligazione di pagare le somme sottoscrivendo la scrittura privata; qualunque fosse stato il luogo in cui eseguì la sottoscrizione, ai sensi dell’articolo 2702 cod. civ., quella obbligazione era a lui opponibile e, in effetti, sulla base di quella scrittura il creditore ha potuto agire in giudizio.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente denunzia erronea e falsa applicazione degli articoli 185 cod. pen. e 2043 cod. civ., nonché vizi motivazionali sul nesso causale tra azione illecita e danno.
Nonostante che in apposito motivo di appello fosse stata denunziata l’assenza di conseguenzialità tra il fatto illecito contestato all’imputato e il danno presunto ricevuto dal (OMISSIS), la Corte di Appello non ha compiuto alcuna indagine argomentativa, basandosi su elementi di fatto per evidenziare che il fatto illecito abbia inciso sulla posizione giuridica ed economica del (OMISSIS), danneggiandolo.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia violazione di legge in relazione al principio di offensività del fatto illecito e all’articolo 49, comma secondo, cod. pen.
Con il terzo motivo di appello era stata evidenziata l’inoffensività del fatto illecito attribuito all’imputato, giacché la firma autenticata appartiene al Valenza ed è ciò che rileva per gli effetti giuridici dell’atto sottoscritto.
Di contro, il dovere ex art. 2703, secondo comma, cod. civ. è strumentale all’accertamento dell’autenticità, ma tale dovere è un fatto ontologicamente diverso dall’autentica della firma come imputabile ad un determinato soggetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile per genericità e manifesta infondatezza.
2. Le censure articolate nei tre motivi sopra sintetizzati non si confrontano con le argomentazioni articolate dai giudici di merito a fondamento dell’accoglimento della domanda risarcitoria.
Il Tribunale ha fatto correttamente riferimento all’accertata plurioffensività del delitto di falso come ascritto al (OMISSIS), avuto riguardo anche alla circostanza che il documento, con la firma falsamente autenticata, fosse stato utilizzato per avviare una procedura monitoria in danno del (OMISSIS) (pag. 6 della sentenza di primo grado).
Sulle analoghe censure proposte con l’atto di appello, la Corte territoriale (pagg. 3 e 4 della sentenza impugnata), oltre a disattendere correttamente gli argomenti difensivi finalizzati a sostenere l’assenza di lesività della falsa attestazione, ha evidenziato che proprio tale falsa attestazione aveva consentito il ricorso alla procedura monitoria in danno del (OMISSIS).
Del tutto inconferente allora appare il dato (di fatto) dell’autenticità della firma; dato basato su argomentazioni di merito, che, peraltro, non risultano essere corrispondenti alla ricostruzione della vicenda come operata nelle sentenze di primo e secondo grado (si veda in particolare la sentenza di primo grado: pagg. 2 e 3).
Insomma, da nessun passaggio delle motivazioni delle sentenze di merito risulta che la scrittura privata in questione potesse, ai sensi dell’art. 2702 cod. civ., fare piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni di chi l’ha sottoscritta, non emergendo che il (OMISSIS) abbia riconosciuto la sottoscrizione, in relazione alla quale, invece, è certo che vi sia stata la falsa autenticazione da parte del (OMISSIS).
Chiarito ciò, diventa perfino superfluo aggiungere che, a norma dell’art. 2703 cod. civ., si ha per riconosciuta proprio la sottoscrizione autenticata, dal notaio o da altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato; e, alla stregua del secondo comma della citata norma, l’autenticazione consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, dopo aver accertato l’identità della persona che sottoscrive.
Tutto ciò nella specie non si è verificato, per cui è evidente la sussistenza anche del nesso di causalità tra la condotta posta in essere dal (OMISSIS) e i danni subiti dal (OMISSIS).
3. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché, valutati i profili di colpa in relazione al tenore dei motivi proposti, della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Il ricorrente, inoltre, deve essere condannato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, liquidate nella misura qui di seguito indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile che liquida in complessivi euro 3510, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 settembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2022.