Giovane si schianta in auto contro un guard-rail e muore sul colpo, nessuna responsabilità per l’ANAS (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 23 marzo 2022, n. 9444).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32655-2019 proposto da:

(OMISSIS) SARA, (OMISSIS) MARIO, (OMISSIS) MARTA, in qualità di eredi del sig. (OMISSIS) Alessandro elettivamente domiciliati in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS), 425, presso lo studio dell’avvocato MARIO (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato ALBERTO (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

ANAS SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE (OMISSIS), 204, presso lo studio dell’avvocato ANNAPAOLA (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1333/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 26/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/02/2022 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO ROSSETTI.

FATTI DI CAUSA

1. L’8 giugno 2009 Alessandro (OMISSIS) perse la vita in conseguenza di un sinistro stradale, allorché – dopo avere perso il controllo del veicolo da lui condotto – impanò contro la barriera laterale, che penetrando all’interno dell’abitacolo, ne sospinse il conducente al di fuori, provocandone la morte.

2. Nel 2011 i genitori e la sorella della vittima convennero dinanzi al Tribunale di Sulmona la società Anas, assumendo che questa dovesse rispondere dell’accaduto, per avere installato un guard-rail non conforme alle prescrizioni di legge e comunque inadeguato alle caratteristiche del tratto stradale che fu teatro del sinistro.

2.1. L’Anas si costituì chiedendo il rigetto della domanda.

3. Con sentenza 7 novembre 2013 n. 626 il Tribunale di Sulmona rigettò la domanda, ritenendo che:

-) cause del sinistro furono l’elevata velocità tenuta dalla vittima, e le condizioni di insicurezza del suo veicolo (pneumatici con caratteristiche diverse tra loro, come tali idonee a compromettere l’aderenza del mezzo);

-) la presenza di un guard-rail con diverse caratteristiche costruttive, diversa forma o presenza di attenuatori d’urto non avrebbe evitato l’evento letale.

La sentenza fu impugnata dai soccombenti.

4. Con sentenza 26 luglio 2019 n. 1333 la Corte d’appello di L’Aquila rigettò il gravame.

La Corte d’appello ha condiviso i rilievi del Tribunale, osservando che:

-) il veicolo condotto dalla vittima, avendo perso aderenza ed assetto, urtò la parte terminale del guard-rail con la fiancata, parte dell’abitacolo priva di protezioni;

-) il guard-rail presente sul posto era conforme alle prescrizioni di legge;

-) una diversa forma della parte terminale della barriera non avrebbe impedito la penetrazione di questa all’interno dell’abitacolo.

5. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai congiunti della vittima, con ricorso fondato su sei motivi ed illustrato da memoria.

6. Ha resistito l’Anas con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo i ricorrenti assumono che la Corte d’appello avrebbe violato l’articolo 2051 c.c.

Sostengono che l’Anas, in quanto “custode” ex art. 2051 c.c., era onerata dalla prova liberatoria posta a suo carico dalla suddetta norma, prova liberatoria che non era stata fornita.

Espongono che l’Anas non aveva affatto dimostrato la conformità della barriera alle prescrizioni di legge, conformità che anzi era stata esclusa dal consulente d’ufficio nominato in primo grado; aggiungono che da tale consulenza era emerso che il terminale iniziale e quello finale del tratto di guard-rail interessato erano esposti al traffico; non vi erano elementi di transizione in grado di contenere i veicoli, né elementi che proteggessero i terminali contro il rischio di urti frontali.

L’illustrazione del motivo prosegue osservando che se la condotta imprudente della vittima fu causa dell’impatto, non fu tuttavia essa la causa della morte, causa che andava ricercata proprio nella difformità del guard-rail rispetto alle prescrizioni di legge.

1.1. Il motivo è inammissibile.

Lo stabilire se il guard-rail fosse conforme o no alle prescrizioni di legge, e se un guard-rail di tipo diverso avrebbe potuto evitare l’evento letale sono altrettante valutazioni di fatto, riservate al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità.

2. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c..

Espongono che dalla morte di Alessandro (OMISSIS) era scaturito un procedimento penale, e nel corso delle relative indagini preliminari il pubblico ministero aveva disposto una perizia, i cui atti erano stati acquisiti nel giudizio civile.

Aggiungono che mentre il perito del pubblico ministero aveva ritenuto non difforme il guard-rail dalle prescrizioni regolamentari, il consulente del giudice civile era pervenuto a conclusioni opposte, ma la Corte d’appello aveva nondimeno fondato la sua decisione unicamente sulle considerazioni della perizia penale, “sena tenere in alcun conto le conclusioni della c.t.u. esperite nel giudizio civile”, e per di più senza indicare le ragioni per le quali la perizia penale andava preferita rispetto alla consulenza svolta in sede civile.

2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza.

La Corte d’appello, infatti, ha rigettato la domanda sulla base di due distinte rationes decidendi: da un lato la conformità delle barriere laterali alle prescrizioni regolamentari; dall’altro il rilievo secondo cui anche una diversa conformazione del guard-rail non avrebbe impedito l’evento letale (pagina 9, secondo capoverso).

Pertanto, quand’anche il giudice di merito avesse privilegiato le conclusioni del c.t.u. circa la non rispondenza del guard-rail alle prescrizioni normative, tale valutazione non avrebbe influito sull’esito del giudizio.

3. Col terzo motivo il ricorrente prospetta il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

Il motivo consta della giustapposizione di due massime di questa Corte.

Deve ritenersi che, con esso, i ricorrenti intendano censurare la sentenza di merito nella parte in cui non ha tenuto conto della c.t.u.

3.1. Così qualificato il motivo, esso è inammissibile, in quanto censura la ricostruzione dei fatti e la valutazione delle prove.

4. Col quarto motivo i ricorrenti tornano a censurare la sentenza d’appello per avere trascurato le conclusioni del c.t.u., secondo cui le barriere “non risultavano idonee ad evitare le conseguenze del sinistro, verificatosi per l’elevata rigidità della struttura stessa e per l’assenza di sistemi di dissipazione dell’energia cinetica dei veicoli”.

4.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello ha spiegato, alle pagine 9-11, le ragioni per le quali ha ritenuto di preferire le conclusioni del perito del pubblico ministero rispetto a quella del consulente d’ufficio: e cioè la “precisione” con cui era stata spiegata la conformità del guard-rail rispetto alla tipologia di strada e di traffico (pagina 8, ultimo capoverso); e la circostanza che di quella perizia il Tribunale, con condivisibile giudizio, aveva utilizzato solo i rilievi oggettivi, e non i giudizi in essa contenuti (pagina 11, primo capoverso).

La Corte d’appello dunque non ha trascurato di valutare e sottoporre a vaglio le conclusioni dei due periti; lo stabilire poi se abbia visto giusto nel privilegiare quella del giudizio penale è valutazione non sindacabile in questa sede.

5. Col quinto motivo i ricorrenti tornano a prospettare la violazione dell’articolo 2051 c.c..

Espongono che nel giudizio di primo grado il consulente tecnico d’ufficio aveva chiesto all’Anas di fornire la documentazione dimostrativa delle caratteristiche tecnico-costruttive del guard-rail presente sul luogo del sinistro, senza ricevere alcuna collaborazione dalla società convenuta.

Deducono che la Corte d’appello non avrebbe “tenuto in debito conto tale negligente comportamento dell’Anas”, e che così facendo avrebbe violato l’articolo 116 c.p.c., il quale impone al giudice di desumere argomenti di prova dalla condotta processuale delle parti.

5.1. Anche questo motivo è inammissibile. Innanzitutto dalla condotta delle parti il giudice “può”, ma non “deve” trarre elementi di giudizio. In ogni caso il “se” e il “come” debba essere valutata la condotta delle parti sono anch’esse valutazioni di merito non censurabili in sede di legittimità.

6. Con l’ultimo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’articolo 2043 c.c.

Deducono che la Corte d’appello, esclusa la responsabilità dell’Anas ai sensi dell’articolo 2051 c.c., “nulla ha detto circa la possibile applicabilità della fattispecie in esame” dell’articolo 2043 c.c., invocato dagli attori sin dal primo grado.

6.1. Il motivo è infondato.

La Corte d’appello, per quanto detto, ha escluso sia l’illiceità della condotta dell’Anas, sia l’esistenza di un valido nesso di causa fra la condotta ascritta all’Anas ed il danno. L’accertamento di tali circostanze rendeva di per sé insussistente la configurabilità stessa d’una responsabilità dell’Anas ai sensi dell’articolo 2043 c.c.

7. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.

P.q.m.

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) condanna Sara (OMISSIS), Mario (OMISSIS) e Marta (OMISSIS), in solido, alla rifusione in favore di ANAS s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 3.000, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, addì 2 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria, oggi 23 marzo 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.