Il comportamento minaccioso e violento fosse stato tenuto dall’imputato mentre era in corso il controllo all’interno della sua abitazione (Corte di Cassazione, Sezione VII Penale, Sentenza 28 luglio 2020, n. 22621).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SETTIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere

Dott. GIORDANO Emilia Anna – Consigliere

Dott. APRILE Stefano – Rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

MUZZUPAPPA GIUSEPPE nato a MILANO il 26/03/1973;

avverso la sentenza del 13/05/2019 della CORTE APPELLO di CATANZARO;

dato avviso alle parti;

udita la relazione svolta dal Consigliere ERCOLE APRILE;

premesso che con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro riformava parzialmente la pronuncia di primo grado del 4 luglio 2016, revocando il beneficio della sospensione condizionale della pena, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale di Vibo Valentia aveva condannato Giuseppe Muzzopappa in relazione al reato di resistenza a pubblico ufficiale, commesso a Nicotera Marina il 27 agosto 2012;

che avverso tale sentenza ha presentato ricorso l’imputato, con atto sottoscritto dal suo difensore, il quale, con tre distinti motivi, ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale confermato in assenza di prova circa la colpevolezza del prevenuto;

erroneamente operato un aumento per la continuazione in ragione del numero delle persone offese; e ingiustificatamente negato al prevenuto il riconoscimento delle attenuanti generiche;

doglianze che sono state reiterate con successiva memoria difensiva;

ritenuto che il ricorso sia inammissibile:

il primo motivo è stato presentato per ragioni diverse da quelle consentite dalla legge, dato che l’imputato ha formulato una serie di doglianze, peraltro molto generiche, che, al di là del dato enunciativo, si risolvono in non consentite censure in fatto all’apparato argomentativo su cui fonda la sentenza gravata, prospettando una diversa e alternativa lettura delle acquisite emergenze processuali, cosa che non è consentita in sede di legittimità;

ciò a fronte di una motivazione, quale quella contenuta nella sentenza gravata, nella quale non è riconoscibile alcuna violazione di legge (intesa come erronea interpretazione delle norme applicate ovvero come erroneo riconoscimento della operatività in relazione ad un fatto diverso da quello previsto dalla fattispecie), né alcun vizio di manifesta illogicità, essendo stata la condanna basata sulle attendibili dichiarazioni delle persone offese che avevano chiarito come il comportamento minaccioso e violento fosse stato tenuto dall’imputato mentre era in corso il controllo all’interno della sua abitazione;

che manifestamente infondato è il secondo motivo, posto che è pacifico nella giurisprudenza di legittimità che, in tema di resistenza a pubblico ufficiale, integra un concorso formale di reati, a norma dell’art. 81, comma primo, cod. pen., la condotta di chi, nel medesimo contesto fattuale, usa violenza o minaccia per opporsi a più pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio mentre compiono un atto del loro ufficio o servizio (Sez. U, n. 40981 del 22/02/2018, Apolloni, Rv. 273771);

che l’ultimo motivo è del tutto privo di pregio, in quanto il ricorrente ha dichiarato espressamente di non essere interessato alla verifica delle condizioni per poter beneficiare del riconoscimento delle attenuanti generiche, ma ha solo genericamente lamentato un difetto di motivazione, laddove la Corte catanzarese aveva fatto rinvio alla motivazione della sentenza di primo grado, richiamo in relazione al quale non è stata rappresentata alcuna censura;

che dalla declaratoria di inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo fissare nella misura indicata in dispositivo;

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.

Così deciso il 26/06/2020.

Depositato in Cancelleria il 28 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.