Il recesso unilaterale dal contratto di locazione commerciale in assenza di gravi motivi non produce effetti (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 9 settembre 2022, n. 26623).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Rel. Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22424/2019 R.G. proposto da:

(OMISSIS) GROUP, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al ricorso, dall’avv. Giuseppe (OMISSIS), elettivamente domiciliata in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte suprema di Cassazione

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa, giusta procura in calce al controricorso, dall’avv. Federico (OMISSIS) e dall’avv. Cristina (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio dell’avv. Massimo (OMISSIS), in Roma, via (OMISSIS), n. 19

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 540/2019, pubblicata in data 27 febbraio 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 giugno 2022 dal Consigliere dott.ssa Pasqualina A. P. Condello

Rilevato che:

1. Con quattro decreti ingiuntivi, su istanza della (OMISSIS) s.p.a., il Tribunale di Milano ingiungeva, in relazione a diversi periodi, alla (OMISSIS) Group s.r.l. il pagamento dei canoni rimasti impagati in relazione all’immobile adibito ad uso commerciale, sito in Milano (OMISSIS), n. 5, in forza di contratto di locazione stipulato in data 14 luglio 2010.

La società conduttrice proponeva distinte opposizioni, deducendo che il mancato pagamento trovava giustificazione nel recesso dal contratto per gravi motivi ex art. 27, ultimo comma, della I. n. 392 del 1978, comunicato con lettera del 31 luglio 2013, avente effetto dal 1° febbraio 2014.

Evidenziava, in particolare, che nell’anno 2013 aveva sottoscritto un contratto di appalto, con il quale aveva ottenuto l’incarico da una società estera per lo sviluppo, la progettazione, commercializzazione e gestione di 50 strutture commerciali su tutto il territorio della Repubblica Popolare cinese, assumendo l’obbligo di assumere nuovo personale, nonché di ampliare i propri uffici, il che aveva reso impossibile una soluzione che ipotizzasse di ricavare i nuovi spazi necessari nei locali oggetto di locazione, già interamente occupati da altri dipendenti e consulenti.

Il Tribunale di Milano, riuniti i procedimenti relativi alle diverse opposizioni, esclusa la sussistenza dei dedotti «gravi motivi», respingeva le opposizioni, confermando i decreti ingiuntivi.

2. La sentenza, impugnata dalla (OMISSIS) s.r.I., è stata confermata dalla Corte d’appello di Milano.

I giudici di appello, dopo avere respinto il primo motivo di gravame, sottolineando che la scadenza naturale del contratto cadeva nel 2016 e che, pertanto, era legittima l’aspettativa della locatrice di ricevere il pattuito canone locativo fino a tale scadenza, hanno rilevato che non era in discussione la illegittimità del recesso, avvenuto in assenza dei gravi motivi previsti dalla legge, e che non era condivisibile la tesi difensiva della «efficacia risolutoria» del recesso illegittimo, considerato che la prescrizione della sussistenza dei gravi motivi ex art. 27 I. n. 392/78 non poteva essere «aggirata» considerando comunque produttivo di effetti il recesso privo di tale requisito essenziale.

Confermando, poi, che (OMISSIS) Group s.p.a. (ora (OMISSIS) Group s.p.a.) non aveva assunto personale aggiuntivo, avendo anzi ridotto il numero degli addetti, e che il progetto di collaborazione con l’impresa cinese non era riferibile all’appellante, ma ad altra società facente parte del gruppo, la (OMISSIS) s.p.a., la Corte territoriale ha posto in evidenza che la circostanza che, in pendenza dei giudizi, fosse intervenuta la fusione tra le società (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) group s.p.a. non aveva rilevanza, atteso che i motivi giustificanti il recesso anticipato dovevano esistere al momento della comunicazione stragiudiziale inoltrata alla parte locatrice, a nulla rilevando la deduzione di circostanze insorte dopo la comunicazione del recesso.

Respinte tutte le altre doglianze e le richieste istruttorie, la Corte milanese ha condannato l’appellante al pagamento delle spese di lite dei due gradi di giudizio.

3. (OMISSIS) Group s.r.l. ricorre per la cassazione della suddetta decisione, con un unico motivo.

(OMISSIS) s.p.a. resiste con controricorso.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380- bis.1. cod. proc. civ. Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero presso la Corte.

In prossimità dell’adunanza camerate la controricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1. cod. proc. civ.

Considerato che:

1. Con l’unico motivo di ricorso la (OMISSIS) Group s.r.l. deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la «violazione e falsa applicazione degli artt. 1334 cod. civ. e 27 della I. n. 392 del 1978 in merito all’efficacia risolutoria del recesso privo dei requisiti di cui all’art. 27 della legge n. 392 del 1978».

Evidenzia, sotto un primo profilo, che nel corso del giudizio di merito aveva sottolineato la natura di atto unilaterale e recettizio del recesso contrattuale, il quale, ai sensi dell’art. 1334 ccd. civ., produce i suoi effetti dal momento in cui perviene a conoscenza della persona alla quale l’atto è destinato; il che determina una chiara distinzione tra illegittimità del recesso (determinata in base alle previsioni contrattuali o di legge) ed inefficacia del medesimo, «laddove mentre quest’ultima impedisce all’atto di sortire i suoi effetti risolutori, la prima consentirebbe comunque all’atto di conseguirli, lasciando al soggetto eventualmente danneggiato dalla violazione, non già il diritto all’adempimento di obbligazioni relative ad un contratto ormai risolto, bensì unicamente un semplice diritto risarcitorio per il danno eventualmente e conseguentemente subito».

Sotto un secondo profilo, la ricorrente sottolinea l’esistenza di altre ipotesi di recesso, come quelle operanti nell’alveo dei rapporti di lavoro e di mandato a tempo indeterminato (artt. 2118 e 1725 cod. civ.), in ordine alle quali il recesso anticipato e privo del consenso dell’altra parte, ancorché non consentito, determina comunque gli effetti risolutivi, riservando alla parte che ha subito il recesso non già il diritto di richiedere comunque l’adempimento, bensì unicamente quello risarcitorio.

L’applicazione del medesimo principio al caso di specie, secondo la ricorrente, comporta che, ricevuta la comunicazione di recesso inviata dalla conduttrice e disposto l’avvenuto rilascio, il contratto di locazione deve intendersi in ogni caso risolto, restando unicamente di valutare, in presenza di eventuale richiesta risarcitoria da parte del conduttore, il comportamento colposo del danneggiante (ossia del locatore).

Poiché nel giudizio di merito era mancata una domanda di siffatta natura da parte del locatore, che si era limitato a richiedere il pagamento di canoni e spese, la pretesa della locatrice, ad avviso della ricorrente, era del tutto infondata, essendo venuto meno il titolo contrattuale su cui la stessa si fondava, stante anche l’inesistenza delle prestazioni – godimento dell’immobile – che poteva legittimarne il pagamento.

2. La censura è infondata.

2.1. Occorre preliminarmente chiarire che il riferimento contenuto nell’illustrazione del motivo alla sentenza di questa Corte n. 6895 del 2015 non è pertinente perché essa riguarda una fattispecie in cui era stata accertata la ricorrenza dei gravi motivi di cui all’art. 27 della legge n. 392 del 1978.

Affrontando la questione se l’efficacia del recesso legittimamente esercitato debba spiegarsi solo a seguito del giudiziale accertamento di tali motivi o, se piuttosto, l’efficacia debba operare sin dal momento della ricezione, da parte del locatore, della dichiarazione di recesso inoltrata dalla parte conduttrice, questa Corte ha ritenuto corretta la statuizione del giudice di merito il quale, accertata la sussistenza dei giusti motivi invocati dalla conduttrice, aveva ritenuto risolto il contratto con decorrenza dalla scadenza del sesto mese successivo alla manifestazione della volontà di recesso, reputando irrilevante al fine del differimento degli effetti del recesso l’opposizione della società locatrice.

Il principio affermato dalla richiamata pronuncia, secondo cui, in materia di locazioni di immobili destinati ad uso diverso da quello abitativo, il recesso del conduttore per gravi motivi ex art. 27, ottavo comma, della legge 27 luglio 1978, n. 392, attesa la sua natura di atto unilaterale recettizio, produce effetto – ex art. 1334 cod. civ. – per il sol fatto che la relativa dichiarazione pervenga al domicilio del locatore, non occorrendo anche la mancata contestazione, da parte di quest’ultimo, circa l’esistenza o rilevanza dei motivi addotti, non vale dunque a supportare la tesi difensiva dell’odierna ricorrente.

2.2. Piuttosto, come questa Corte ha già avuto modo di osservare (Cass., sez. 3, 5/02/1996, n. 954; conforme, Cass., sez. 3, 3/11/2020, n. 24266), fatta eccezione del recesso convenzionalmente stipulato con il contratto di locazione, l’art. 27, ultimo comma, della legge richiamata è di derivazione diretta dal recesso unilaterale disciplinato dall’art. 1373 cod. civ. ed inquadra il recesso unilaterale non convenzionalmente convenuto come deroga eccezionale al principio secondo il quale tale rapporto può essere sciolto solo per concorde volontà delle parti.

La deroga è, tuttavia, subordinata a due condizioni, ossia la presenza di gravi motivi che investano la posizione del conduttore e il preavviso anteriore di sei mesi.

Tale forma di recesso può, dunque, essere validamente esercitata solo in presenza di «gravi motivi», la cui valutazione è rimessa al giudice di merito (Cass., sez. 3, 24/09/2002, n. 13909).

L’atto di recesso del conduttore, anche se condizionato da una giustificazione obiettiva, produce l’effetto di sciogliere il rapporto di locazione attraverso il meccanismo proprio degli atti unilaterali descritto dall’art. 1334 cod. civ. (Cass., sez. 3, 07/04/2015, n. 6895) e, quindi, dal momento in cui pervengono a conoscenza della persona cui è indirizzato.

Ciò comporta che nella legge dell’equo canone è contenuto un principio di vincolatività della dichiarazione, la quale non può essere più revocata dopo la conoscenza da parte del destinatario, per cui, una volta espressa la volontà di recesso, il conduttore non può affidarne l’effetto ad elementi causali non contenuti nell’atto di preavviso richiesto dai ricordati articoli della legge n. 392 del 1978 ed il giudice chiamato a verificare la legittimità del recesso del conduttore deve verificare che questo corrisponda ai motivi, che devono essere gravi, espressi nell’atto di preavviso.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, pertanto, l’onere, per il conduttore, di specificare i gravi motivi contestualmente alla dichiarazione di recesso in parola deve ritenersi insito nella facoltà di recesso, la cui comunicazione, in quanto trattasi di recesso «titolato», non può prescindere – in ciò distinguendosi dal recesso ad nutum – dalla specificazione dei motivi, che valgono a dare alla dichiarazione di recesso la precisa collocazione nell’ambito della fattispecie normativa in parola, sicché tale specificazione inerisce al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso e, al contempo, risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi di recesso addotti sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo (Cass., sez. 3, 26/11/2002, n. 16676; Cass., sez. 3, 29/03/2006, n. 7241; Cass., sez. 3, 24/04/2008, n. 10677; Cass., sez. 3, 17/01/2012, n. 549; Cass., sez. 3, 3/11/2020, n. 24266).

Da quanto detto discende che il recesso del conduttore di cui si discute, attesa la sua natura di atto unilaterale recettizio, produce l’effetto, come già osservato – ex art. 1334 cod. civ. – per il sol fatto che la relativa dichiarazione pervenga al domicilio del locatore, non occorrendo anche la mancata contestazione, da parte di quest’ultimo, circa l’esistenza o rilevanza dei motivi addotti; con l’ulteriore precisazione che l’eventuale contestazione del locatore circa l’esistenza o la rilevanza dei «giusti motivi» invocati dal conduttore non introduce un’azione costitutiva finalizzata ad una sentenza che dichiari sciolto il recedente dal contratto, ma introduce una mera azione di accertamento, il cui scopo è stabilire se esistessero al momento del recesso i giusti motivi invocati dal conduttore (Cass., sez. 3, 07/04/2015, n. 6895; Cass., sez. 3, 9/07/2009, n. 16110 e Cass., sez. 3, 20/02/1993, n. 2070, in motivazione).

Naturalmente, il dire che l’effetto che il recesso in discorso determina si produce ai sensi dell’art. 1:334 cod. civ., ossia mediante la manifestazione di volontà unilaterale di recesso da parte del conduttore, connotata dall’indicazione dei gravi motivi, non deve indurre confusione con la produzione degli effetti di tale manifestazione negoziale sul contratto.

Tali effetti, ossia la cessazione della locazione, se ricorrono i giusti motivi, o perché non contestati dal locatore o perché accertati a seguito di contestazione e lite, si determinano dal momento in cui scade il relativo termine, in quanto la idoneità della volontà negoziale motivata a produrre è per legge differita.

Va, tuttavia, ribadito che trattasi in ogni caso di recesso «titolato» che non può prescindere dalla specificazione dei motivi, la quale inerisce al perfezionamento stesso della dichiarazione di recesso e risponde alla finalità di consentire al locatore la precisa e tempestiva contestazione dei motivi sul piano fattuale o della loro idoneità a legittimare il recesso medesimo; alla necessità dell’indicazione, nella dichiarazione di recesso, dei motivi posti a fondamento dello stesso dalla parte conduttrice non può non corrispondere l’onere, della parte locatrice, di una contestazione tempestiva e specifica degli stessi, e ciò anche in chiave di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti del contratto, in una prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche.

Di qui l’irrilevanza della esistenza di norme che prevedono ipotesi in cui il recesso, disposto anticipatamente rispetto al termine contrattualmente pattuito, sortisca comunque gli effetti risolutivi del rapporto, non potendo ravvisarsi alcuna analogia tra la disciplina dettata dagli invocati artt. 2118 e 1725 cod. civ. e la fattispecie normativa speciale disciplinata dall’ultimo comma dell’art. 27 della legge n. 392 del 1978.

L’evocazione della norma sul mandato e di quella sul rapporto di lavoro, per le quali si privilegia la conseguenza del risarcimento del danno è fuori luogo, in quanto in quei contratti una delle prestazioni ha ad oggetto un’opera e, dunque, il rimedio del risarcimento, comunque previsto dal legislatore, si spiega per questo, dovendosi considerare che gli effetti del contratto non potrebbero continuare come se nulla fosse in conseguenza del recesso.

Nella locazione, invece, si è in presenza di una prestazione di conferimento del godimento che resta insensibile di fronte al recesso illegittimo.

3. Alla luce della interpretazione della normativa di cui all’art. 27, ultimo comma, della legge n. 392 del 1978 sopra delineata, l’accertata – e non contestata – assenza, nel caso in esame, dei gravi motivi previsti dalla legge non può che condurre, come correttamente ritenuto dalla Corte d’appello, a far ritenere fondata la pretesa creditoria azionata dalla locatrice a titolo di adempimento, non potendosi considerare intervenuta la risoluzione del rapporto contrattuale.

La sentenza impugnata va, pertanto, esente dalle censure ad essa rivolte.

4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del comma 1-bis del predetto art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio il 21 giugno 2022.

Depositato in Cancelleria, addì 9 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.