Impugnazioni. Il giudice deve sempre valutare la consulenza tecnica di parte (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 3 agosto 2021, n. 30296).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Luigi – Presidente – 

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –

Dott. DI NICOLA Vito – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto dal

Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Arezzo

nei confronti di

(OMISSIS) Filippo Maria, nato ad (OMISSIS) il 02-09-19xx;

avverso la ordinanza del 10-11-2020 del tribunale della libertà di Arezzo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso trattato ai sensi dell’articolo 23, comma 8, del D.L. N. 137 del 2020;

udita la relazione del Consigliere Dott. Vito Di Nicola;

letta la requisitoria del Procuratore Generale che ha concluso per l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Arezzo ricorre per la cassazione dell’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il tribunale del riesame della stessa città ha annullato il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice per le indagini preliminari, in data 9 ottobre 2020, avente ad oggetto i terreni identificati al NCT del Comune di Capolona foglio 42, particelle n. 102,103,106,107 e 151 ordinandone la restituzione al proprietario Filippo Maria (OMISSIS).

La misura cautelare reale è stata emessa, per quanto qui interessa, sulla base delle seguenti imputazioni provvisorie elevate con riferimento al reato di cui agli articoli 110 del codice penale e 44, comma 1, lettera c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 in quanto, Filippo Maria (OMISSIS), nella qualità di proprietario dei terreni e committente dei lavori del progetto denominato “realizzazione di un bacino ad uso irriguo su l’località area posta nel Comune di Capolona, loc. Castelluccio, lo Spicchio”, in concorso con lido (OMISSIS), in qualità di legale rappresentante della società Inerti (OMISSIS) s.r.l. esecutore materiale dell’opera, Aldo (OMISSIS), in qualità di direttore dei lavori e progettista, eseguivano – in virtù di permesso di costruire n. 10 del 15/11/2019 illegittimo (quanto alle opere insistenti sulle particelle 102, 103) e in assenza di titolo abilitativo (quanto alle opere insistenti sulle particelle 151, 106, 107) – lavori costituiti da realizzazione di strade di cantiere, scasso, sbancamento, movimento ed estrazione di terre e rocce per alcune migliaia di metri cubi nell’area catastalmente censita al foglio 42 particelle nr. 102, 103, 106, 107 e 151 del foglio 42 NCTC di Capolona di valore paesistico, ambientale, storico culturale a vocazione agricola e turistica mediante l’impiego di due ruspe e tre autocarri per trasporti professionali.

Opere che, estendendosi su una superficie di circa 5 Ha e modificando il complessivo assetto del territorio con conseguente trasformazione della destinazione d’uso del suolo (da agricolo a produttivo) determinavano una permanente alterazione del paesaggio e del contesto agricolo e turistico esistente.

Tanto sul presupposto che il permesso di costruire n. 10 del 15/11/2019 fosse da reputare illegittimo perché rilasciato:

a) in violazione, falsa applicazione ed elusione della L.R. n. 64 del 2009 (Disciplina delle funzioni amministrative in materia di progettazione, costruzione ed esercizio degli sbarramenti di ritenuta e dei relativi bacini di accumulo) in quanto l’opera era stata illegittimamente sottratta all’ambito di applicazione della medesima legge, nonostante la stessa fosse situata in pendio ovvero in particolare conformazione da determinare la formazione di un corpo terroso assimilabile ad una struttura di ritenuta, ed in ragione di ciò in violazione dell’articolo 1, comma 5, lettera a), L.R. n. 64 del 2009 laddove prevede l’esclusione dalla disciplina di cui alla predetta legge degli “impianti il cui bacino di accumulo è ricavato mediante semplice escavazione dal piano di campagna e che risultano sprovvisti di rilevato o di altra struttura di ritenuta, ad eccezione dei casi in cui tali impianti sono situati in prossimità di pendii, scarpate, ovvero di particolari conformazioni del terreno che determinano la formazione di un corpo terroso assimilabile ad una struttura di ritenuta”;

b) in violazione dell’articolo 3, comma 3, D.P.G.R. 25/08/2016 n. 63/R (regolamento di attuazione dell’articolo 84 L.R. 10/11/2014 n. 65) in quanto la richiesta del permesso di costruire non conteneva la dichiarazione della specifica attività per cui si rendeva necessaria la realizzazione del manufatto, bensì solo generici riferimenti a colture arboree senza definire le effettive necessità idriche e quindi la possibilità di valutare il dimensionamento dell’opera in funzione di reali necessità;

c) in violazione dell’articolo 3 L.R. 24/07/2018 n. 41 (disposizioni in materia di rischio di alluvioni e di tutela dei corsi d’acqua) perché il permesso di costruire era stato rilasciato in assenza di specifica autorizzazione idraulica regionale nonostante l’opera interferisse con il reticolo idrografico regionale;

d) in violazione, falsa applicazione ed elusione del combinato disposto di cui all’articolo 43 L.R. n. 10/2010 (norme in materia di valutazione ambientale) ed allegato III lettera T) parte Seconda d.lgs. n. 152 del 2006, per aver escluso il progetto dalla procedura di valutazione di impatto ambientale dichiarando una volumetria di progetto, pari a 99.600 metri cubi (circa lo 0,4% inferiore alla soglia di assoggettabilità a VIA) destinata ad eccedere il limite che impone la VIA (100.000 metri cubi) stante l’inevitabile ampliamento dello scavo, insistendo l’opera all’interno di una realizzazione tanto ampia e con terreni n prevalentemente granulari con prevedibili movimenti gravitativi;

e) in violazione dell’allegato V alla Parte Seconda d.lgs. n. 152 del 2006 per aver escluso il progetto quantomeno dalla procedura di verifica di assoggettabilità a VIA trovando applicazione nel caso di specie alcuni dei criteri indicati in detto allegato (utilizzazione di risorse naturali, produzione di rifiuti, inquinamento e disturbi ambientali) tenuto conto anche delle opere di contorno (realizzazione ed ampliamento di strade, quantitativi di produzione di rifiuti di estrazione e lavorazione, rumore in cantiere e lungo i percorsi su cui aumentava il traffico veicolare pesante indotto);

f) in assenza di autorizzazione paesaggistica in quanto parte dell’area era soggetta a vincolo paesaggistico articolo 142, lettera g), D.Igs. 42 del 2004 (bosco);

g) non corredata da asseverazione di rispetto del PIT con valenza di PTF-PPR;

h) in assenza di autorizzazione regionale essendo l’area gravata da vincolo idrogeologico;

i) in violazione degli articoli 141, comma 4, 142, comma 10, L.R. n. 65 del 2014 per non aver convocato la conferenza di servizi necessitando l’opera di atti di assenso presupposti, In Capolona (AR) da marzo 2020 con permanenza attuale.

Al solo (OMISSIS) si rimprovera, poi, di aver (ex articolo 483 del codice penale), in qualità di proprietario dei terreni e committente dei lavori del progetto denominato “realizzazione di un bacino ad uso irriguo sull’area posta nel Comune di Capolona, loc. Castelluccio, lo Spicchio”, attestato al Pubblico Ufficiale dello Sportello SUAP dell’Unione dei Comuni Montani del Pratomagno (e conseguentemente al Comune di Capolona), mediante autocertificazione, circostanze false.

Segnatamente nella richiesta di permesso di costruire attestava falsamente (riquadro c) la non necessità di atti di assenso presupposti laddove questi si rendevano necessari occorrendo infatti:

a) l’autorizzazione idraulica regionale ai sensi dell’articolo 3 L.R. 24/07/2018 n. 41;

b) l’autorizzazione della Regione Toscana ai sensi della L.R. nr. 64 del 2009/ essendo l’opera situata in pendio;

c) la preventiva valutazione d’impatto ambientale ai sensi del combinato disposto di cui all’articolo 43 L.R. n. 10 del 2010 (norme in materia di valutazione ambientale) ed Allegato III, lett. t), Parte seconda, d.lgs. n. 152 del 2006 o quantomeno la preventiva verifica di assoggettabilità a VIA (Allegato V Parte seconda d.lgs. n. 152 del 2006; attestava, poi, falsamente (riquadro e) quale area dell’intervento le sole particelle 102-103 foglio 42 (le particelle catastali nr. 106,107 e 151 del fol. 42 NCTC di Capolona non venivano rappresentate nonostante le stesse facessero parte dell’area dei lavori e di cantiere). In Capolona in data 07/10/2019.

Al (OMISSIS) e a Ildo (OMISSIS) (reato previsto dagli articoli 110 del codice penale e 256, comma 1, lett. a) del d.lgs. 152 del 2006) si addebita anche di aver – il primo, nella qualità di proprietario dei terreni, committente dei lavori del progetto denominato “realizzazione di un bacino ad uso irriguo sull’area posta nel Comune di Capolona, Castelluccio, lo Spicchio” e produttore giuridico del rifiuto, e il secondo, nella qualità di legale rappresentante della società Inerti (OMISSIS) s.r.l. esecutore materiale dell’opera, produttore materiale e destinatario del rifiuto – gestito rifiuti speciali senza autorizzazione.

Nella fattispecie:

1) per le terre e rocce provenienti dalle operazioni di sbancamento di livellazione, sottraevano le stesse alla disciplina della parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 ai sensi dell’articolo 185, comma 1, lettera c), del medesimo decreto, pur attestando il loro reimpiego in situ per rimodellamenti (peraltro omettendo di indicare il volume prodotto, l’esatta allocazione per il loro reimpiego in situ – circostanza quest’ultima peraltro non realizzabile neanche in ipotesi in quanto il luogo di produzione risultava coincidente con quello di conferimento), le stesse venivano destinate all’impianto “Inerti (OMISSIS) s.r.l.” per la produzione e la trasformazione di inerti;

2) per le terre e rocce provenienti dalle operazioni di escavazione del bacino, sottoponevano le stesse alla disciplina delle terre e rocce da scavo ai sensi del d.P.R. n. 120 del 2017, quali sottoprodotti, in mancanza dei requisiti di cui agli articoli 4 e 9 del medesimo decreto e segnatamente:

a) mancanza di un piano di utilizzo attestante l’effettiva quantificazione, impiego e destinazione delle terre e rocce (in ipotesi di cantiere di grandi dimensioni sottoposto a VIA);

b) indicazione di un’area di lavoro inferiore a quella effettiva non essendo indicate nel progetto e conseguentemente nel permesso di costruire le particelle n. 106, 107 e 151 del fol. 42 NCTC di Capolona;

c) omessa indicazione nella dichiarazione di utilizzo (ex art. 21 d.P.R. n. 120 del 2017) di depositi intermedi;

d) mancanza di certezza del loro effettivo riutilizzo una volta giunte nel sito di destinazione (Inerti Cocci s.r.I.);

e) le terre e rocce risultavano generate durante la realizzazione di un’opera il cui scopo primario, ma dissimulato, era in realtà la realizzazione di tale materiale. Il tutto per un quantitativo stimato di circa 100 metri cubi.

In Capolona e Arezzo (AR) da maggio 2020 con permanenza attuale (accertamenti del 12, 13, 25 agosto, 15, 17 settembre 2020).

2. Il Procuratore della Repubblica impugna con un unico complesso motivo, articolato sulla base di sette profili, e chiede l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata, denunciando l’inosservanza e/o l’erronea applicazione della legge penale, di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale nonché la violazione di norme processuali in relazione all’articolo 125, comma, 3 del codice di procedura penale per motivazione apparente attestata solo ed esclusivamente sulle argomentazioni difensive.

Preliminarmente, osserva il ricorrente come il Collegio cautelare abbia erroneamente ritenuto che tutto l’impianto accusatorio fosse fondato sull’assunto per il quale i lavori de quibus, sebbene formalmente assentiti dall’autorità comunale per la realizzazione di un bacino idrico, fossero in realtà diretti a realizzare un’attività di natura estrattiva, e ciò al fine di aggirare il divieto di realizzazione di cave nell’area de qua, stabilito dall’amministrazione regionale dopo un iniziale riconoscimento, attraverso un emendamento soppressivo dell’inserimento nel progetto di Piano regionale cave di altra area limitrofa di proprietà di Filippo Maria (OMISSIS).

In realtà, osserva il ricorrente, tutti i capi dell’imputazione cautelare, tranne l’ultimo, attenevano esclusivamente ai lavori di realizzazione del bacino idrico formalmente autorizzato dal Comune, e pertanto l’affermazione del Collegio cautelare non terrebbe conto dell’effettivo contenuto dei capi dell’imputazione cautelare, mentre le vicende, relative alla cava, erano state utilizzate dal pubblico ministero al solo fine di meglio lumeggiare i fatti di causa, ossia come antefatto storico diretto a delineare il contesto complessivo dei singoli fatti contestati.

Peraltro, il Collegio cautelare, nell’escludere che i lavori denunciati simulassero la realizzazione di una cava, aveva fatto riferimento ad una cronologia degli avvenimenti che non trovava alcun riscontro negli atti di indagine.

Da ciò il ricorrente ha tratto argomento per sostenere che la ricostruzione del tribunale del riesame, in ordine alla tematica della cava, sarebbe del tutto erronea e, fondandosi acriticamente sulle sole prospettazioni difensive nonché prescindendo dal contenuto effettivo dei singoli capi dell’imputazione cautelare e dal materiale offerto dall’accusa, l’ordinanza impugnata sarebbe incorsa in evidente violazione di legge processuale, per motivazione apparente e quindi nulla ai sensi dell’articolo 125, comma 3, del codice di procedura penale.

2.1. Tanto premesso, quanto al primo profilo di doglianza, il pubblico ministero osserva come il Collegio cautelare, condividendo un assunto difensivo, abbia ritenuto non applicabile alla fattispecie la L.R. n. 64 del 2009, e ciò in virtù dell’esclusione sancita dall’articolo 1, comma 5, lettera a), in quanto il bacino di accumulo era ricavato mediante semplice escavazione del terreno, senza alcuna realizzazione di strutture artificiali con funzione di ritenuta delle acque.

Obietta il ricorrente che, a tale proposito, il tribunale non avrebbe tenuto in alcun conto le eccezioni esplicite poste dal citato articolo 1, comma 5, tra cui espressamente quella riguardante i bacini “realizzati in prossimità di pendii e scarpate ovvero di particolari conformazioni del terreno che determinano la formazione di un corpo terroso assimilabile ad una struttura di ritenuta”, tra i quali rientrerebbe, ad avviso del ricorrente, pacificamente il bacino in oggetto, secondo gli accertamenti contenuti nella consulenza tecnica preliminare dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), consulenza in alcun modo esaminata e presa in considerazione dal tribunale cautelare, sebbene svolta in modo molto accurato e approfondito dai tecnici incaricati (si cita, a tal proposito, il punto 6 della relazione tecnica al foglio 459 fascicolo p.m.).

Peraltro, il ricorrente osserva che la stessa cartografia, allegata alla richiesta di permesso di costruire (cfr. tav. 1 “inquadramento territoriale”; carta geologica di dettaglio riportata a pag. 15 della relazione geologica del dott. (OMISSIS)), riporta sul lato sud est del bacino in progetto una scarpata rappresentata con il tratteggio perpendicolare al perimetro del bacino e del fosso.

Quindi, pacificamente l’opera, almeno in parte, era collocata in prossimità di scarpate e pendii. In ciò il pubblico ministero coglie un primo profilo di violazione di legge che sarebbe, pertanto, ravvisabile nella ritenuta inapplicabilità da parte del Collegio cautelare della disciplina della L.R. n. 64 del 2009, opzione da ritenersi erronea per avere il Tribunale tenuto conto solo dell’esclusione di cui all’articolo 1, comma 5, lettera a), per i bacini di mero scavo e non anche dell’eccezione sancita dalla medesima norma per i bacini realizzati in prossimità di pendii e scarpate, in ordine alla quale i Giudici cautelari si sarebbero limitati a enunciare una mera proposizione assertiva (“né si trova in prossimità di pendii e scarpate”), priva di qualsivoglia motivazione e peraltro contraddetta dalle carte geologiche in atti e dai puntuali accertamenti dei consulenti del pubblico ministero.

2.2. Quanto al secondo profilo di doglianza, il ricorrente assume che il tribunale della libertà avrebbe escluso che l’estensione dell’area oggetto dei lavori fosse più ampia di quella assentita dal permesso di costruire, ritenendo che già in sede di richiesta del permesso di costruire erano state indicate le particelle numeri 106, 107, 151.

Osserva il ricorrente come tale affermazione sia palesemente erronea e abnorme, attribuendo rilevanza alla indicazione riportata alla tavola 11 denominata “sistemazione agrarie” e non al contenuto del permesso di costruire, che era invece limitato alle sole particelle 102 e 103, e non ricomprendeva in alcun modo le particelle 151, 106, 107 (sulle quali era stata pacificamente accertata l’esecuzione dei lavori).

Invece, come evidenziato dai consulenti del pubblico ministero e comprovato dalle immagini captate con drone, le particelle 151, 106, 107 avevano subito importanti e irreversibili modificazioni dello stato del luoghi, con la conseguenza che sarebbe erroneo sostenere che il permesso di costruire fosse estensibile anche a dette particelle (peraltro non indicate né nella richiesta di permesso di costruire, né nella relazione di progetto, né nello stesso permesso di costruire), sul rilievo che la tavola 11 “sistemazione agrarie” indicasse le predette e altre particelle come quelle in cui avrebbe dovuto essere redistribuito il materiale derivante dallo sbancamento preliminare per migliorare la lavorabilità del terreno a fini agricoli.

Obietta il ricorrente che, dalle indagini svolte ed in particolare dalla consulenza tecnica e dalle immagini del drone, sarebbe risultato, con tutta evidenza, che la tipologia dei lavori in corso era del tutto estranea alla prospettata “sistemazione agraria” dei terreni, trattandosi di superfici utilizzate per il mero deposito di materiali terrosi, con accumuli di terreno sterile di vari metri di spessore tanto da modificarne in modo assai consistente la morfologia.

Sulla base di ciò, il tribunale del riesame sarebbe incorso, ad avviso del pubblico ministero ricorrente, nella violazione dell’articolo 44, comma 1, lettera c), d.P.R. n. 380 del 2001 laddove, per le particelle 151, 106, 107, ha ritenuto di ravvisare l’esistenza di un titolo autorizzativo non già nel contenuto del permesso di costruire, bensì in un atto di parte (Tav. 11), peraltro concernente interventi del tutto estranei all’attività di modificazione morfologica del territorio.

2.3. Quanto al terzo profilo di doglianza, il ricorrente evidenzia come i Giudici cautelari abbiano escluso l’insussistenza nel caso di specie di un vincolo idrogeologico.

Al riguardo il Collegio cautelare si sarebbe limitato a fare un riferimento del tutto generico alle cartografie allegate alla relazione del dott. (OMISSIS), mentre non avrebbe in alcun modo considerato ed esaminato la nota del 26 agosto 2020 dei Carabinieri Forestali di Arezzo ove risultava che, nella particella 103 del foglio 42 del Comune di Capolona, erano presenti aree sottoposte a vincolo idrogeologico al cospetto di aree boscate cartografate nel 2016, così come non avrebbe considerato le immagini captate con il drone ove si apprezzava in maniera chiara l’interferenza del perimetro di scavo e dei lavori con la campitura del vincolo idrogeologico.

Analoghe considerazioni varrebbero, secondo il pubblico ministero ricorrente, per l’esclusione dell’interferenza con il reticolo idrografico regionale.

2.4. Quanto al quarto profilo di doglianza, relativo all’esclusione del procedimento di V.I.A. ex articolo 43, comma 1, L.R. 10 del 2010 “per le dighe e altri impianti destinati a trattenere, regolare le acque in modo durevole, ai fini non energetici di altezza superiore ai 10 metri e/o capacità superiore a 100.00. mc”, osserva il pubblico ministero come il Collegio cautelare abbia parimenti accolto acriticamente gli assunti della difesa, omettendo ogni valutazione degli elementi fattuali raccolti nel corso delle indagini, incorrendo così in error in procedendo nel vaglio di legalità del decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip.

Il Collegio cautelare avrebbe attribuito rilevanza alla capacità di riempimento del bacino, assumendo che questa, sulla base di ricalcoli effettuati dalla difesa, si sarebbe attestata intorno agli 84.000 mc, quindi ben al di sotto del valore limite di cui al citato articolo 43, laddove la relazione geologica del dott. (OMISSIS) conteneva solo una generica raccomandazione di non riempire l’invaso per tutta l’altezza di scavo ma di lasciare uno spazio di almeno un metro tra il ciglio di scarpata e il pelo dell’acqua (peraltro senza alcun progetto di opere di gestione del flusso idrico in ingresso e in uscita del bacino di accumulo): raccomandazione che, tuttavia, non sarebbe stata recepita dal progettista geometra (OMISSIS), il quale infatti indicava, esplicitamente nell’elaborato progettuale, la capienza del bacino di 99.600 mc.

Conseguentemente, assume il ricorrente che il ricalcolo della capienza del bacino nella misura di 84.000 mc configurerebbe un valore del tutto ipotetico ed astratto, privo di qualunque valenza tecnica, poiché frutto di una rielaborazione effettuata ex post dalla difesa, che non avrebbe mai fatto parte degli elaborati tecnici allegati a supporto della richiesta di permesso di costruire, i quali avevano indicato solo ed esclusivamente il diverso valore di 99.600 mc (cfr. foglio 279 fascicolo p.m.), incorrendo, pertanto, il tribunale del riesame nella violazione dell’articolo 43, comma 1, L.R. n. 10 del 2010, per aver ritenuto non necessaria la VIA, e in ogni caso incorrendo nella violazione della la legge processuale per la natura meramente apparente della motivazione.

2.5. Quanto al quinto profilo di doglianza, strettamente collegato al terzo, il ricorrente deduce un ulteriore profilo di violazione di legge in relazione al passaggio motivazionale con cui il Collegio cautelare ha escluso, nel caso di specie, la necessità della previa convocazione della conferenza dei servizi, a causa della ravvisata assenza dei vincoli paesaggistici e idrogeologici prospettati dall’accusa.

Ciò posto, quanto al vincolo idrogeologico, osserva il ricorrente come sia stato accertato in modo inequivocabile che, quantomeno nella particella 103, sarebbero presenti aree sottoposte a vincolo idrogeologico al cospetto di aree boscate cartografate nell’anno 2016; dalle immagini captate con il drone e dalla consulenza tecnica del pubblico ministero si apprezzerebbe poi in maniera chiara l’interferenza del perimetro di scavo e dei lavori con la campitura del vincolo idrogeologico (vengono citati i fogli da 161 a 199 fascicolo p.m. nonché fogli da 456 a 468 fascicolo p.m.).

Inoltre, il ricorrente sottolinea la presenza dell’interferenza con il reticolo idrografico regionale, avendo i consulenti accertato, in modo inequivocabile, anche sulla base delle riprese captate con il drone, che i lavori interferiscono con tale rete e con le distanze minime di rispetto (si cita, in proposito, il punto 4 della relazione tecnica e immagine 2 fogli 458, 464 fascicolo p.m.).

Errata sarebbe, poi, in diritto l’affermazione del Collegio cautelare secondo la quale l’omessa convocazione della conferenza di servizi non determini, in alcun modo, l’abusività dell’opera realizzata, trattandosi di mera irregolarità procedimentale.

2.6. Quanto al sesto profilo di doglianza, il pubblico ministero ricorrente lamenta la violazione dell’articolo 3, comma 3, del D.P.G.R. n. 63 del 2016, sul rilievo che il tribunale della libertà, condividendo le argomentazioni difensive, ha ritenuto assolutamente esaustive le indicazioni riportate nella relazione a firma del dott. (OMISSIS) in ordine alla specifica attività per cui si rendeva necessaria la realizzazione del manufatto, nonché, quanto alle necessità idriche, quelle contenute nella relazione del dott. (OMISSIS).

Al riguardo si osserva che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa, la relazione del dott. (OMISSIS) conterrebbe solo generici riferimenti a colture arboree, senza alcuna specifica dichiarazione in ordine alla “attività per cui si rende necessaria la realizzazione del manufatto”, così come richiesto dalla citata disposizione normativa.

Il Collegio cautelare avrebbe, inoltre, ritenuto che le necessità idriche fossero compiutamente descritte nella relazione difensiva del dott. (OMISSIS), senza tuttavia avvedersi che siffatta relazione non era stata presentata unitamente alla richiesta di permesso di costruire, bensì introdotta nel procedimento di riesame tra i documenti della difesa, trattandosi pertanto di una relazione che non aveva mai fatto parte dell’istruttoria finalizzata al conseguimento del titolo autorizzativo e che non era pertanto mai stata conosciuta e vagliata dall’ente locale ai fini del rilascio del permesso di costruire.

Inoltre, il Collegio cautelare avrebbe errato laddove ha evidenziato come la dichiarazione della specifica “attività per cui si rendeva necessaria la realizzazione del manufatto” non fosse richiesta nel caso di specie poiché, trattandosi di opera indispensabile alla conduzione aziendale, ai sensi dell’articolo 70, comma 3, lettera b), L.R. n. 65 del 2014, non era assoggettata alle previsioni che prescrivono l’esistenza di piani di miglioramento agricolo.

Ne consegue che proprio perché si trattava di manufatto non soggetto al programma aziendale ex articolo 70, comma 2, lettera b), L.R. n. 65 del 2014, doveva trovare applicazione, ad avviso del ricorrente, l’articolo 3, commi 1 e 3, del D.P.G.R. n. 63 del 2016, la quale norma prescrive, per le ipotesi di esclusione dall’onere di predisposizione del programma aziendale, che la richiesta di permesso di costruire debba contenere la “dichiarazione della specifica attività” per cui si rende necessaria la realizzazione del manufatto.

2.7. Quanto al settimo e ultimo profilo di doglianza, il ricorrente denuncia la violazione della legge sostanziale e processuale relativamente al passaggio motivazionale con cui il Collegio cautelare ha dubitato della fondatezza dell’assunto accusatorio e, quindi, del fumus dei reati attinenti alla illecita sottrazione alla parte IV del d.lgs. n. 152 del 2006 delle terre e rocce da scavo provenienti dalle operazioni di sbancamento di livellazione e di escavazione del bacino.

Assume il ricorrente che il Collegio cautelare ha ritenuto di evidenziare, in accoglimento di un rilievo difensivo in parte qua, una asserita carenza di indagini sulla natura del materiale trasportato, sul suo volume e sulla effettiva destinazione dello stesso, assumendo che la polizia giudiziaria si fosse limitata, sul punto, ad accertare la presenza nel cantiere di alcuni mezzi pesanti.

In particolare, il Tribunale del riesame avrebbe omesso completamente di verificare la fondatezza o meno di tale asserita carenza di prova, non avendo in alcun modo proceduto al vaglio del materiale probatorio che il pubblico ministero aveva acquisito su tale specifico aspetto; vaglio che, ove condotto, avrebbe portato ad acclarare che la polizia giudiziaria, lungi dall’essersi limitata ad appurare la presenza in loco di mezzi pesanti, aveva invece accertato, mediante numerosi servizi di OCP e riprese aeree tramite drone, sia la natura del materiale trasportato (ossia terre e rocce da scavo, avendo la polizia giudiziaria assistito de visu alle operazioni di scavo con mezzi pesanti), sia il volume dello stesso (che risulta quantificato nel capo di imputazione in circa 100 mc, ricavato dalla capienza e dal numero dei mezzi pesanti che la polizia giudiziaria aveva rilevato tramite l’osservazione diretta), sia la destinazione del medesimo (ovvero presso lo stabilimento della Inerti (OMISSIS) s.r.I., come accertato sempre in via diretta dalla polizia giudiziaria) (si citano, in particolare, le indagini di cui ai fogli 162, 482, 483 del fascicolo p.m.).

Il Collegio cautelare, inoltre, avrebbe recepito del tutto acriticamente anche l’ulteriore rilievo difensivo per il quale, in sede di richiesta di permesso di costruire, era stato indicato che una parte del materiale scavato, ossia quello di tipo “argilloso”, sarebbe stato impiegato in situ per la impermeabilizzazione del bacino.

Anche tale assunto non sarebbe stato minimamente verificato dal Collegio, che avrebbe omesso, sul punto, qualsivoglia analisi e vaglio del materiale probatorio acquisito al procedimento.

Verifica che, ove effettuata, avrebbe portato ad accertare che in nessuna parte della citata relazione di progetto del geometra (OMISSIS) era previsto che i materiali argillosi sarebbero stati utilizzati in siti per impermeabilizzare il bacino, e che tale reimpiego non era previsto neppure dalla relazione geologica del dott. (OMISSIS), che a tal riguardo risulta impropriamente ed erroneamente citata dalla difesa, con la conseguenza che, anche in questo caso, il tribunale del riesame sarebbe incorso in evidente violazione di legge processuale per motivazione apparente.

3. Il Procuratore generale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza sul rilievo della fondatezza del ricorso sotto il profilo della sostanziale carenza di motivazione, per il carattere meramente apparente della stessa, in quanto viziata in radice dalla omessa considerazione degli argomenti a sostegno dell’accusa, limitatamente:

a) al capo d’imputazione n. 1 per violazione dell’articolo 1, comma 5, lettera a), L.R. n. 64 del 2009 e conseguente illegittimità del permesso di costruire n. 10 del 2019, avendo l’ordinanza omesso di indicare, ed adeguatamente considerare, come era necessario, che in atti vi è una consulenza tecnica in base alla quale il bacino in questione è da considerarsi realizzato in prossimità di pendii e scarpate, si da includere l’opera nell’ambito applicativo della legge regionale citata e, sul punto, l’ordinanza impugnata si limita a richiamare genericamente la posizione della difesa;

b) allo stesso modo, con riferimento alla questione dell’oggetto del permesso di costruire, se esso abbia o meno riguardato tutte le particelle interessate dall’intervento, osserva il Procuratore generale come l’ordinanza si limiti a richiamare la documentazione prodotta dalla difesa con modalità espositiva tale da minare questa parte della motivazione, rendendola meramente apparente in quanto il Tribunale rimarrebbe del tutto silente rispetto a quella che in tesi accusatoria sarebbe stato un vero e proprio stratagemma ad opera degli indagati, quello di fare apparire le particelle come interessate da opere dirette a favorire il deflusso delle acque e, conseguentemente, la lavorabilità del terreno a fini agricoli (‘sistemazione agraria’) per utilizzarle, poi, in concreto, per ricevere ingenti quantità di terreno sterile.

Quella che secondo la difesa sarebbe stata non altro che un’attività funzionale rispetto alle opere concesse e, comunque, diretta a migliorare i terreni interessati, secondo l’accusa, sarebbe la dimostrazione della difformità dell’opera dall’oggetto del titolo abilitativo sicché, anche sotto questo specifico profilo, la motivazione sarebbe inesistente.

Non sarebbero ravvisabili, invece, rilievi quanto alla ritenuta inesistenza del vincolo idrogeologico e alla questione di attivazione del procedimento di valutazione dell’impatto ambientale.

4. Filippo Maria (OMISSIS), tramite il difensore, ha presentato memoria con la quale chiede il rigetto del ricorso sul presupposto che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo, non avrebbe adeguatamente precisato, nel proprio ricorso, le violazioni di legge in cui sarebbe incorso il giudice del riesame, di fatto limitandosi a lamentare una asserita generica ed errata valutazione del Tribunale di Arezzo delle risultanze processuali, adducendo quindi censure che, attenendo al merito della vicenda, sono sottratte al sindacato di legittimità.

Nelle conclusioni della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, con intento di porre inutilmente riparo, sarebbe stata accreditata quella parte del ricorso rispetto alla quale l’ordinanza impugnata è stata censurata per la asserita carenza di motivazione per il carattere ritenuto meramente apparente della stessa.

Invece, il Collegio cautelare, ritenendo quanto meno dubbia la ipotesi della accusa, avrebbe esattamente colto che il progetto, il quale ha poi condotto al permesso di costruire il bacino, era iniziato già dall’anno 2018 con delle condotte e dei fatti concreti e documentati, ossia con l’incarico all’agronomo Dott. Stefano (OMISSIS) che aveva dato esito ad una accurata relazione datata 18 luglio 2018 non validamente contestabile.

Il Tribunale del riesame non sarebbe perciò caduto in alcun errore fornendo una argomentata motivazione (dovendosi escludere ogni nullità per apparenza).

La valutazione del giudice del riesame risulta, ad avviso dell’indagato, ancorata al contenuto dei singoli capi di imputazione cautelare e al materiale offerto dall’accusa (pagine da 4 a 7 della ordinanza).

La difesa ha poi contestato nella memoria i singoli profili di doglianza mossi dal ricorrente nei confronti dell’impugnata ordinanza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato nei limiti di cui alle seguenti considerazioni.

2. La Corte ha affermato che, in tema di impugnazione di misure cautelari reali, l’omesso esame di punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l’emissione del provvedimento di sequestro, si traduce in una violazione di legge per mancanza di motivazione, censurabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 325, comma primo, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 28241 del 18/02/2015, Baronio, Rv. 264011 – 01).

La giurisprudenza di legittimità è infatti, ferma nel ritenere che, in tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen., rientrano la mancanza assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, la quale può denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice (Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004, Bevilacqua, Rv. 226710 – 01).

Il ricorrente, nell’articolare plurime censure nei confronti dell’impugnata ordinanza, fondatamente rileva come il provvedimento gravato non abbia tenuto conto dei risultati della consulenza tecnica del pubblico ministero sulla quale, unitamente ai connessi accertamenti investigativi, era stata fondata l’accusa cautelare, così come enunciata nei capi delle provvisorie imputazioni.

Il rilievo è fondato perché, essendo gli esiti della consulenza tecnica del pubblico ministero diametralmente opposti rispetto a quelli conseguiti dalla difesa, il tribunale del riesame ha immotivatamente accordato preferenza ai secondi, senza alcun confronto con i primi e senza fornire, nei limiti propri del giudizio cautelare, spiegazione dei criteri di scelta adottati, cosicché il tribunale cautelare ha eluso l’obbligo di motivazione, radicando la “violazione di legge” denunciata e conseguendo da ciò l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza.

3. A questo proposito, e prima di enunciare il principio di diritto al quale il giudice di rinvio si dovrà attenere, va innanzitutto chiarito che, come risulta dal testo del provvedimento impugnato, il Collegio cautelare ha soltanto dato atto, nel riassumere i postulati dell’accusa, dell’attività svolta dai consulenti del pubblico ministero a supporto degli accertamenti investigativi secondo i quali l’area oggetto dei lavori risultava sottoposta a vincolo idrogeologico e a vincolo paesaggistico (pag. 6 dell’ordinanza impugnata), omettendo qualsiasi altro riferimento al contenuto degli accertamenti tecnici posti a base della domanda cautelare, accolta dal primo giudice.

In altri termini, il tribunale cautelare non ha mai menzionato, nel provvedimento impugnato, né preso in considerazione la consulenza del pubblico ministero.

Ciò posto, il ricorrente – lamentando l’omessa motivazione su punti decisivi per l’accertamento del fatto, sui quali è stata fondata l’emissione del decreto di sequestro preventivo soprattutto al fine di comprovare la sussistenza del fumus commissi delicti – ha osservato gli oneri a suo carico, allegando al ricorso per cassazione gli elementi indiziari, desunti nel caso di specie dagli esiti della pretermessa consulenza, di cui ha perciò eccepito l’omesso esame, dando prova della loro effettiva esistenza agli atti del procedimento e spiegandone la natura decisiva (Sez. 3, n. 38850 del 04/12/2017, dep. 2018, Castiglia, Rv. 273812 – 01).

Il ricorrente ha infatti dedotto come il Collegio cautelare non abbia tenuto conto degli accertamenti contenuti nella consulenza tecnica preliminare dei dottori (OMISSIS) e (OMISSIS), a proposito delle eccezioni esplicite poste dall’articolo 1, comma 5, L.R. n. 64 del 2009 (si cita il punto 6 della relazione tecnica al foglio 459 fascicolo del pubblico ministero).

E’ stato inoltre dedotto che, come evidenziato dai consulenti del pubblico ministero e comprovato dalle immagini captate con il drone, le particelle 151, 106, 107 avevano subito importanti e irreversibili modificazioni dello stato dei luoghi (si cita il punto 8 della relazione tecnica e immagine 1, fogli 459 e 464 fascicolo del pubblico ministero), tanto che, dalle indagini svolte ed in particolare proprio dalla consulenza tecnica e dalle immagini del drone, era risultato che la tipologia dei lavori in corso era del tutto estranea alla prospettata “sistemazione agraria” dei terreni, trattandosi di superfici utilizzate per il mero deposito di materiali terrosi, con accumuli di terreno sterile di vari metri di spessore, tanto da modificarne in modo assai consistente la morfologia (si cita immagine 1 – foglio 464 fascicolo del pubblico ministero: immagini di cui ai fogli da 176 a 182).

Quanto all’esclusione dell’interferenza con il reticolo idrografico regionale, esclusione cui il Collegio cautelare è pervenuto sulla sola base del materiale difensivo, è stato dedotto come non sia stata presa in alcun modo in considerazione la consulenza del pubblico ministero, che invece aveva ravvisato detta interferenza con il reticolo idrografico regionale e con le distanze minime di rispetto (si cita il punto 4 della relazione e immagine 2 – fogli 458, 464 fascicolo del pubblico ministero).

4. In sede di impugnazioni de libertate, il tribunale cautelare è obbligato a valutare il contenuto della consulenza tecnica di parte, eventualmente presentata, e deve indicare, sia pure sommariamente, la sua pertinenza o meno rispetto all’oggetto dell’indagine nonché i dati tecnici che si sottraggono alla diretta verifica in tale momento procedimentale, in assenza di un accertamento peritale, che è incompatibile con l’incidente cautelare.

Se infatti i r il tribunale della libertà non ha il potere di compiere accertamenti tecnici, questo tuttavia non lo esonera dall’obbligo di valutare il contenuto dell’eventuale consulenza tecnica presentata dalle parti, tanto dall’accusa quanto dalla difesa, perché, pur essendo privo di poteri istruttori, incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale “de libertate“, il tribunale del riesame “decide” in base agli atti eventualmente prodotti dalle parti sicché, se non può svolgere attività istruttorie “nuove”, non può pretermettere l’esame di elaborati tecnici prodotti dalle parti con riferimento ai quali, sussistendo un contrasto di posizioni su punti decisivi del tema cautelare, deve dare conto, quantunque sinteticamente, per non incorrere nel vizio di omessa motivazione, dei criteri di scelta adottati e, dunque, dei riferimenti ai contenuti e alle ragioni della prevalenza dei rilievi di carattere difensivo su quelli posti a fondamento del provvedimento cautelare o viceversa, essendo insufficiente tanto il solo generico richiamo alla consulenza tecnica del pubblico ministero e agli altri atti di polizia giudiziaria, quanto il solo generico richiamo, come nel caso di specie, a consulenze della difesa.

Ne consegue che il tribunale cautelare deve compiere, primariamente, una ponderata valutazione sulla sussistenza o meno del “fumus commissi delicti“, quale indefettibile, quantunque non unico, requisito del sequestro preventivo di cui all’art. 321, comma primo, cod. proc. pen., in forza del quale il giudice del riesame (o dell’appello cautelare) non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pure sommariamente, le ragioni che, allo stato degli atti e fatto salvo il regime della progressione processuale, rendono sostenibile o meno l’impostazione accusatoria, con la sottolineatura che al giudice cautelare non può essere demandato un giudizio anticipato sulla responsabilità e che, ai fini dell’integrazione del fumus criminis, sono richiesti sufficienti indizi del reato (cd. serietà degli indizi), e non i gravi indizi di colpevolezza.

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere accolto, con conseguente annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

6. Il Giudice di rinvio, nel porre riparo al vizio di omessa motivazione come in precedenza ravvisato, si atterrà al principio di diritto in forza del quale, in sede di impugnazioni de libertate, il tribunale cautelare deve valutare il contenuto della consulenza tecnica di parte, eventualmente presentata, e deve indicare, sia pure sommariamente, la sua pertinenza o meno rispetto all’oggetto dell’indagine nonché i dati tecnici che si sottraggono alla diretta verifica in tale momento procedimentale, in assenza di un accertamento peritale, che è incompatibile con l’incidente cautelare, non potendo, per il resto, pretermettere l’esame di elaborati tecnici prodotti dalle parti con riferimento ai quali, sussistendo un contrasto di posizioni su punti decisivi del tema cautelare, deve dare conto, quantunque sinteticamente, per non incorrere nel vizio di omessa motivazione, dei criteri di scelta adottati e, dunque, dei riferimenti ai contenuti e alle ragioni della prevalenza dei rilievi di carattere difensivo su quelli posti a fondamento del provvedimento cautelare o viceversa, essendo insufficiente tanto il solo generico richiamo alla consulenza tecnica del pubblico ministero e agli altri atti di polizia giudiziaria quanto il solo generico richiamo a consulenze della difesa.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al tribunale di Arezzo competente ai sensi dell’articolo 324, comma 5 del codice di procedura penale.

Così deciso il 25/05/2021.

Depositato in Cancelleria il 3 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.