In caso di incidente stradale, l’avvocato deve essere sempre pagato anche se nella polizza non rientra tale adempimento (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Ordinanza 23 maggio 2019, n. 14107).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7594-2015 proposto da:

B.A., B.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’avvocato LUISA GOBBI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati CRISTINA COZZI, PAOLA CALCATERRA;

– ricorrenti –

contro

D.F.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE CILIBERTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato D.F.G.;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3178/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 19/08/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

B.A. e B.M. propongono ricorso articolato in quattro motivi avverso la sentenza n. 3178/2014, resa dalla Corte di Appello di Milano il 19 agosto 2014.

Resiste con controricorso D.F.G., che ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.

Con ricorso ex art. 702 c.p.c., depositato il 6 aprile 2011, l’avvocato D.F.G. convenne B.A. e M. dinanzi al Tribunale di Milano, chiedendone la condanna al pagamento del credito professionale relativo alla difesa svolta nel processo civile di primo grado promosso dai familiari di C.R., deceduto a causa di un sinistro stradale, nei confronti dei medesimi B.A. e M., nonchè della compagnia assicuratrice Assicurazioni generali s.p.a.

Il Tribunale di Milano, adito con la domanda risarcitoria dai familiari di C.R., rigettò la stessa, con sentenza n. 1030/2005, ritenendo l’esclusiva responsabilità del C. nella verificazione dello scontro con l’autovettura condotta da B.M. e di proprietà di B.A..

La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata il 16 gennaio 2012, in riforma della decisione di primo grado, ritenne non superata la presunzione di pari responsabilità ex art. 2054 c.c., comma 2, condannando B.A. e M. a risarcire gli eredi di C.R., nonchè a restituire all’appellante incidentale Fondiaria Sai il 50% della somma ricevuta in esecuzione della sentenza di primo grado e la metà delle spese del giudizio di primo grado, regolando conseguentemente le spese.

In particolare, la Corte di Appello di Milano riliquidò le spese legali del primo grado di giudizio in favore di B.M. e A., riducendole da Euro 12.064,89 ad Euro 4.800,00 e ponendone a carico delle controparti la rifusione della sola metà, per Euro 2.400,00 complessivi e, dunque, per Euro 1.200,00 ciascuno. Con sentenza n. 4535 dell’08/03/2016 la Corte di cassazione rigettò il ricorso avverso la sentenza d’appello proposto da B.A. e M..

Nella specie, la sentenza n. 4535/2016 di questa Corte ritenne infondata altresì la censura in tema di regolamento e liquidazione delle spese di lite, chiarendo come la Corte d’appello, nel riformare la sentenza di primo grado, fosse tenuta a riliquidare anche le spese, tenendo conto del diverso accertamento della responsabilità concorrente e non esclusiva di C.R..

Il Tribunale di Milano accolse la domanda ex art. 702 c.p.c. dell’avvocato D.F.G. e condannò B.A. e M. a pagare all’attore la somma di Euro 7.986,65, oltre interessi, ritenendo “congrua e rispettosa della Tariffa Professionale la pretesa dell’attore, che, oltre all’atto costitutivo contenente domanda riconvenzionale, redigette, nell’interesse dei B., anche memorie istruttorie, e partecipò a più udienze (l’ultima nel febbraio 2001)”.

B.M. e A. proposero appello, respinto dalla Corte di Appello di Milano con sentenza n. 3178/14 dell’8 luglio 2014.

Ad avviso dei giudici di secondo grado, avendo gli appellanti B.A. e M. affermato di non essere stati parti del contratto di patrocinio con l’avvocato D.F., incaricato esclusivamente dalla compagnia Assicurazioni generali s.p.a., elementi in senso opposto dovevano trarsi:

1) dal rilascio da parte di B.M. e A. delle relative procure ad litem;

2) dalla revoca da parte dei B., in data 10 luglio 2001, del mandato civilistico conferito all’avvocato D.F.;

3) dalla divergenza delle posizioni e degli interessi della compagnia assicurativa e degli assicurati B., i quali proposero domanda riconvenzionale;

4) dall’adozione di distinte statuizioni da parte del Tribunale di Milano per liquidare le spese in favore dei B. e della Assicurazioni Generali s.p.a.

Sempre ad avviso della Corte di Milano, era frutto di “mero errore materiale” il fatto che la nota spese dell’avvocato D.F., depositata “nell’interesse di Assicurazioni Generali”, riportasse alcune attività in realtà svolte in favore dei B.; nè rilevava che la compagnia assicurativa avesse conferito l’incarico all’avvocato D.F. in relazione al procedimento penale che vedeva coinvolti B.M. e A., essendo i compensi richiesti dal professionista riferiti al successivo giudizio civile.

Sprovvista di prova era invece rimasta la deduzione degli appellanti secondo cui i compensi per prestazioni professionali richiesti risultavano già pagati dalla compagnia assicurativa.

Gli appellanti avevano altresì lamentato, in ordine al quantum del compenso riconosciuto all’avvocato D.F., come questi si fosse limitato a “demandare” al riguardo alla metà di quanto liquidato nella sentenza del Tribunale di Milano n. 1030/2005. Si sarebbe per di più dovuto liquidare un unico onorario per tutti gli assistiti, D.M. n. 127 del 2004, ex art. 5, comma 4.

Su tale profilo, la Corte d’Appello replicò che l’avvocato D.F. avesse fatto riferimento, per la quantificazione dei propri corrispettivi, alla nota spese depositata nel relativo processo dagli attori, che ricomprendeva l’attività da lui svolta, nonchè alle spese vive anticipate per i B., tenendo poi correttamente conto della liquidazione a suo tempo disposta dal Tribunale di Milano nella sentenza n. 1030/2005, riducendo proporzionalmente di conseguenza la propria pretesa (Euro 232,41 per spese, ed Euro 5.800,00 per diritti ed onorari, oltre spese generali, Iva e Cpa).

Per la Corte d’Appello, la liquidazione operata a suo tempo dal Tribunale costituiva garanzia di controllo ed imparzialità, ed inoltre la pretesa del legale, pari a circa la metà dei compensi a suo tempo liquidati dal Tribunale di Milano, appariva congrua in relazione all’attività difensiva svolta nell’interesse dei B. (atto di costituzione contenente domanda riconvenzionale, memorie istruttorie, partecipazione a più udienze fino alla revoca del mandato), nonchè rispettosa dei limiti tariffari professionali vigenti, alla stregua del D.M. n. 127 del 2004.

Si trattava, inoltre, di attività difensive non interamente coincidenti con quelle svolte dall’avvocato in favore dell’altra assistita Assicurazioni Generali, come confermato dalle distinte liquidazioni operate dal giudice.

Nel prosieguo della sua motivazione, la sentenza della Corte di Milano giudicò corretto il rigetto dell’eccezione di prescrizione presuntiva, avendo B.M. e A., per le difese svolte, ammesso di non aver estinto l’obbligazione dedotta in lite, ovvero allegato di essere obbligati solo al pagamento di una somma minore di quella domandata.

Circa la contemporanea eccezione di prescrizione decennale, la Corte di Milano reputò la stessa inammissibile alla luce della mancata tipizzazione rispetto all’eccezione di prescrizione presuntiva, oltre che comunque infondata, comunque essa decorrendo solo dal momento di revoca del mandato (10 luglio 2001) e non dall’ultima attività processuale individuata dagli appellanti (l’udienza del 7 febbraio 2001), avendo riguardo poi alla data di proposizione della domanda giudiziale in esame (6 aprile 2011).

La prescrizione ordinaria rimaneva, inoltre, interrotta per effetto delle richieste di pagamento dell’avvocato D.F. mediante raccomandate del 4 maggio 2006, del 9 novembre 2006 e del 29 giugno 2009.

In ordine alla doglianza sulla ravvisata obbligazione solidale al pagamento dei corrispettivi professionali, la Corte d’Appello ha spiegato, da ultimo, come i B. si trovassero in una situazione processuale di litisconsorzio facoltativo attivo, dovendosi perciò ritenersi unitaria la prestazione difensiva svolta dall’avvocato D.F. a loro vantaggio.

1. Il primo motivo di ricorso di B.A. e B.M. deduce l'”omesso esame del fatto decisivo costituito dalla mancata allegazione e prova del contratto di patrocinio”; violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., art. 115 c.p.c., art. 82 c.p.c. e artt. 2229 c.c. e ss., “in materia di distinzione tra procura alle liti e contratto di patrocinio”.

Si assume l’identità degli interessi e delle posizioni processuali dei ricorrenti e della compagnia assicuratrice, correlati all’accertamento della dinamica del sinistro stradale, e si evidenzia la mancata allegazione, da parte dell’avvocato D.F., dell’avvenuta stipulazione di un contratto di patrocinio con i signori B., prevedendo, piuttosto, la polizza assicurativa del veicolo di B.A. la tutela giudiziaria a carico della compagnia, da ritenersi perciò unica obbligata al pagamento degli onorari del legale.

Viene anche censurata la qualificazione come “errore materiale” della presentazione alla compagnia di assicurazione, da parte dell’avvocato D.F., della parcella delle proprie competenze anche per l’attività svolta in favore dei B., cui fece seguito un effettivo pagamento.

Il secondo motivo di ricorso di B.A. e B.M. denunzia la “violazione e falsa applicazione nel quantum della normativa costituita dalla tariffa professionale e dall’art. 2697 c.c.; omesso esame del fatto, dibattuto dalle parti ma ignorato nella sentenza della Corte di merito, dell’intervenuta pronuncia della sentenza n. 74/2012 della Corte d’Appello di Milano”.

Il terzo motivo di ricorso lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2956 c.c. e ss., artt. 2946 e 1219 c.c. nonchè l’omessa considerazione di un fatto dibattuto dalle parti (le “Assicurazioni Generali SpA hanno pagato”). Si critica altresì il dies a quo ravvisato in sentenza per la decorrenza della prescrizione decennale.

Il quarto motivo di ricorso di B.A. e B.M. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1292 e 1294 c.c. in materia di solidarietà tra condebitori e “l’immotivata difformità della sentenza impugnata rispetto alla giurisprudenza di legittimità”, non essendo affatto il litisconsorzio facoltativo attivo fonte di obbligazioni solidali.

Non è ravvisabile l’ipotesi di cui all’art. 348 ter c.p.c., comma 5, che esclude che possa essere impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la sentenza di appello “che conferma la decisione di primo grado”, come invece eccepito dal controricorrente, in quanto la pronuncia della Corte di Appello di Milano non è fondata unicamente sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione del Tribunale.

Neppure sussiste l’eccepita inosservanza dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto il ricorso indica con sufficiente specificità gli atti e i documenti sui quali si fonda.

II. Il primo motivo di ricorso è fondato, nei termini di seguito specificati, sulla base di una ragione giuridica comunque individuabile in questa sede alla stregua dei fatti accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nello stesso provvedimento impugnato.

L’accoglimento del primo motivo comporta l’assorbimento degli altri tre motivi, i quali perdono di conseguenza immediata rilevanza decisoria.

E’ consolidata l’interpretazione di questa Corte, secondo cui, al fine di individuare il soggetto obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore, occorre distinguere tra rapporto endoprocessuale nascente dal rilascio della procura “ad litem” e rapporto che si instaura tra il professionista incaricato ed il soggetto che ha conferito l’incarico, il quale può essere anche diverso da colui che ha rilasciato la procura. In tal caso, spetta a chi agisce per il conseguimento del compenso l’onere di provare il conferimento dell’incarico da parte del terzo (Cass. Sez. 3, 28/03/2012, n. 4959; Cass. Sez. 2, 27/12/2004, n. 24010).

Più in generale, secondo l’interpretazione giurisprudenziale, il rapporto di prestazione d’opera professionale, la cui esecuzione sia dedotta dal professionista come titolo del diritto al compenso, postula l’avvenuto conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare inequivocabilmente la volontà di avvalersi della sua attività e della sua opera da parte del cliente convenuto per il pagamento di detto compenso.

Ciò comporta che il cliente del professionista non è necessariamente colui nel cui interesse viene eseguita la prestazione d’opera intellettuale, ma colui che, stipulando il relativo contratto, ha conferito incarico al professionista ed è conseguentemente tenuto al pagamento del corrispettivo.

La prova dell’avvenuto conferimento dell’incarico, quando il diritto al compenso sia dal convenuto contestato sotto il profilo della mancata instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore (Cass. Sez. 3, 03/08/2016, n. 16261; Cass. Sez. 2, 29/09/2004, n. 19596; Cass. Sez. 1, 02/06/2000, n. 7309; Cass. Sez. 3, 04/02/2000, n. 1244).

Al riguardo, la Corte d’Appello di Milano ha affermato che B.A. e M. erano stati parti del contratto di patrocinio con l’avvocato D.F., relativo all’azione di risarcimento promossa dai familiari di C.R., ed essi erano perciò tenuti al pagamento degli onorari professionali, non rilevando in senso contrario che fosse stata la Assicurazioni generali s.p.a., compagnia assicuratrice della responsabilità civile automobilistica, ad aver conferito l’incarico al legale in relazione al precedente procedimento penale.

Tale conclusione è stata raggiunta dalla Corte di Milano sulla base del rilascio delle procure ad litem, della revoca del mandato effettuata direttamente dai B., delle differenti posizioni della compagnia assicuratrice e degli assicurati, nonchè della separata liquidazione delle spese adottata dal Tribunale di Milano.

I ricorrenti hanno però dedotto l’esistenza di un patto di gestione della lite nella polizza prodotta come documento 1 nel giudizio di primo grado (“tutela giudiziaria”), patto che avrebbe comportato il diritto dell’assicuratore di pretendere dall’assicurato un mandato ad litem da rilasciare ad un legale scelto dalla compagnia.

L’avvocato D.F. nel controricorso deduce di aver ricevuto incarico dalla Assicurazioni Generali s.p.a. in data 25 marzo 1996 per la sola difesa in sede penale di B.M., mentre l’attività in sede civile a favore di B.A. e M. sarebbe stata iniziata ben prima del promovimento della causa da parte degli eredi di C.R..

L’esistenza, i limiti e gli effetti, nel caso in esame, di un patto di gestione della lite nella polizza stipulata con Assicurazioni Generali s.p.a., come desumibile dal richiamato documento, non sono stati presi in considerazione dalla Corte d’Appello di Milano, pur trattandosi di fatti che, se esaminati, avrebbero potuto determinare un esito diverso della controversia.

A norma dell’art. 1917 c.c., comma 3, l’assicuratore della responsabilità civile è obbligato a tenere indenne l’assicurato delle spese di difesa erogate per resistere all’azione del danneggiato (nei limiti fissati in tale disposizione e anche in caso di contraria clausola di polizza, stante l’invalidità della medesima, ai sensi dell’art. 1932 c.c.). Tale obbligo opera, peraltro, pure indipendentemente dalla stipulazione di un patto di gestione della lite, giacchè è fondato sulla attualità della domanda del terzo danneggiato e sul perseguimento di un risultato utile per entrambe le parti, interessate nel respingerla.

L’obbligo di pagare il legale dell’assicurato indicato dall’assicuratore nel giudizio promosso dal danneggiato (indipendentemente dal rilascio della procura ad litem da parte dell’assicurato, che occorre per attribuire al difensore scelto dall’assicuratore lo ius postulandi, nonchè per attuare l’eventuale diritto pattizio dell’assicuratore di gestire la causa) concreta, dunque, a norma dell’art. 1917 c.c., comma 3, un debito proprio dell’assicuratore (Cass. Sez. 1, 17/11/1976, n. 4276; Cass. Sez. 3, 26/08/1985, n. 4554; Cass. Sez. 1, 15/01/1985, n. 59; Cass. Sez. 3, 06/05/1978, n. 2194).

La difesa dell’assicurato – rendendosi necessaria per il solo fatto dell’instaurazione di un giudizio da parte di chi assuma di aver subito un danno – viene, invero, svolta anche nell’interesse dell’assicuratore, inteso come interesse all’obbiettivo e imparziale accertamento dell’esistenza dei presupposti del suo obbligo all’indennizzo, sicchè lo stesso assicuratore non può essere esonerato dal sopportarla, sia pure nei limiti fissati dall’art. 1917 c.c., comma 3, anche nell’ipotesi in cui rimanga accertato che nessun danno debba essere risarcito al terzo che ha promosso l’azione di risarcimento contro l’assicurato (così Cass. Sez. 2, 01/06/1977, n. 2227).

L’art. 1917 c.c., comma 3, si riferisce, peraltro, alle spese sostenute “per resistere” (cfr. Cass. Sez. 3, 04/05/2018, n, 10595), restando pertanto fuori dall’ambito di diretta applicabilità della norma le spese che siano state sostenute non per attività di resistenza alle pretese del terzo ma per attività complementari ad essa.

Ove si sia in presenza, però, di un patto di gestione della lite accessorio al contratto di assicurazione, è l’impresa che assume, di regola, la gestione delle vertenze in sede stragiudiziale come giudiziale, e tanto in sede civile che penale, a nome dell’assicurato, designando, ove occorrano, legali e periti.

Secondo un ormai risalente precedente di questa Corte, “il patto con cui l’assicuratore assume la gestione della lite configura un negozio atipico, ma è accessorio al contratto di assicurazione e rappresenta un mezzo attraverso il quale viene data esecuzione al rapporto assicurativo (Cass. Sez. 3, 24/04/1994, n. 9744). In particolare, il patto di gestione della lite costituisce una lecita modalità di adempimento sostitutiva dell’obbligo di rimborso delle spese di resistenza posto dall’art. 1917 c.c., comma 3.

La qualificazione del patto di gestione della lite come modalità esecutiva dell’obbligo di cui all’art. 1917 c.c., comma 3, letta in combinato con gli ultimi due commi dell’art. 1914 c.c., implica per l’assicuratore, che assuma la lite, l’onere di anticipare o di concorrere direttamente alle spese di giudizio, restando l’assicurato esonerato dal dover anticipare le stesse proprio perchè immediatamente corrisposte dalla compagnia al legale o al perito da essa nominati.

La Corte d’Appello di Milano ha desunto che l’incarico all’avvocato D.F. per la difesa in sede civile fosse stato conferito da B.A. e M. e non dalla Assicurazioni Generali s.p.a., e ciò, come visto, sulla base del rilascio delle procure ad litem, della revoca del 10 luglio 2001, delle diverse posizioni della compagnia assicurativa e degli assicurati B. e delle distinte liquidazioni adottate dal Tribunale.

Nessuno di tali indizi rivela, in realtà, univoca significatività ai fini della decisione, in quanto l’assicurato, proprio per dare adempimento al patto di gestione della lite (non esaminato dai giudici di secondo grado), deve nominare l’avvocato indicato dall’assicuratore e rilasciargli apposito mandato, mentre la stessa revoca del difensore proveniente dall’assicurato, senza il consenso dell’assicuratore, si rivela unicamente quale eventuale inadempimento del patto di gestione.

Una volta designato il legale e intrapreso il giudizio con la costituzione dell’assicurato, l’avvocato di quest’ultimo, poi, non può che svolgere le proprie difese a tutela dell’interesse del proprio assistito, non dovendosi postulare una assoluta convergenza di iniziative e di posizioni processuali con l’assicuratore.

Conseguono l’accoglimento del primo motivo del ricorso, l’assorbimento dei restanti motivi e la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano, che deciderà la causa attenendosi ai principi richiamati e tenendo conto dei rilievi svolti.

Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 12 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2019