In tema di sequestro preventivo, la Sesta sezione ha affermato che il giudice è tenuto a valutare tale requisito anche in caso di sopravvenuto rinvio a giudizio del soggetto interessato (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 19 gennaio 2021, n. 2181).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Presidente –

Dott. BASSI Alessandra – Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere –

Dott. SILVESTRI Pietro – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso presentato da:

(OMISSIS) Marcello, nato a (OMISSIS) il xx/xx/1960;

avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale della libertà di Roma il 24/01/2020;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Pietro Silvestri;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. Luigi Orsi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udita l’avv.to Irma (OMISSIS), difensore dell’imputato, che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale della libertà di Roma, in sede di giudizio di rinvio ed in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari che aveva rigettato la domanda cautelare, ha disposto il sequestro preventivo di sei immobili e della somma di 14.800 euro nei confronti di (OMISSIS) Marcello, attualmente imputato del delitto di corruzione propria.

Il Tribunale aveva già parzialmente accolto l’appello del Pubblico Ministero, ma la Corte di cassazione con la sentenza della Sesta sezione penale n. 12241 del 12.2.2019 aveva annullato l’ordinanza in relazione al requisito del fumus commissi delicti, ed, in particolare, alla sussistenza della qualifica di incaricato di pubblico servizio ed alla proporzionalità dell’oggetto della misura rispetto all’ipotizzato profitto derivante dal reato.

Il 7.5.2019 il Tribunale, per effetto dell’annullamento, aveva nuovamente accolto parzialmente l’appello del Pubblico Ministero, sostenendo, fra l’altro, che il sequestro fosse stato disposto ai sensi dell’art. 240 bis cod. pen. ma la Corte di cassazione, con la sentenza della Seconda sezione penale n. 45863 del 24.9.2019, aveva nuovamente annullato l’ordinanza, ritenendo che il Tribunale non si fosse uniformato al principio di diritto indicato dalla Sesta sezione della Corte, che aveva peraltro ritenuto necessario compiere alcuni accertamenti al fine di risolvere la questione relativa alla sussistenza della qualifica soggettiva.

Secondo la Seconda Sezione della Corte di cassazione, il Tribunale aveva fondato la decisione sugli stessi elementi già censurati dal giudice di legittimità; nell’annullare l’ordinanza la Corte aveva inoltre chiarito nuovamente che il Tribunale avrebbe dovuto compiere gli accertamenti già in precedenza indicati, “erroneamente ritenuti superflui nel provvedimento impugnato” (così la Corte).

Il 24.01.2020, il Tribunale della libertà di Roma, in sede di secondo giudizio di rinvio, nell’accogliere l’appello del Pubblico Ministero e nel disporre il sequestro dei beni indicati, ha evidenziato come il 25.6.2019 – quindi dopo la sentenza della Sesta Sezione della Corte e dopo la seconda ordinanza dello stesso Tribunale, ma prima della sentenza di annullamento della Seconda Sezione della Corte – fosse stato disposto il rinvio a giudizio dell’imputato; sulla base di tale “fatto” sopravvenuto, il Tribunale ha ritenuto di confermare l’esistenza del fumus del delitto ipotizzato e di escludere la violazione dell’obbligo di uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza della Corte di cassazione.

Secondo il Tribunale, l’intervenuto rinvio a giudizio, consentirebbe di fugare i dubbi sulla sussistenza della qualifica soggettiva dell’imputato.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo si lamenta violazione dell’art. 627, comma 3, cod. proc. pen. e vizio di motivazione; la tesi difensiva è che il sopravvenuto rinvio a giudizio di (OMISSIS) non potesse esonerare il Tribunale dal compiere gli accertamenti indicati dalla Corte di cassazione con la sentenza emessa dalla Sesta sezione prima del rinvio a giudizio; si aggiunge che l’ordinanza poi annullata dalla Seconda Sezione della Corte era intervenuta prima del rinvio a giudizio e che l’accertamento che il Tribunale avrebbe dovuto compiere atteneva al presupposto della configurabilità del reato (la qualifica soggettiva) e non agli indizi di colpevolezza.

In tal senso si argomenta sulla inconferenza al caso di specie dei precedenti giurisprudenziali citati dal Tribunale e sulla irrilevanza del sopravvenuto rinvio a giudizio del ricorrente.

2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla sussistenza del fumus commissi delicti; il motivo è sostanzialmente sovrapponibile al precedente ed è fondato sull’assunto secondo cui il Tribunale avrebbe errato nel non dare attuazione ai principi di diritto affermati dalla Sesta Sezione penale della Corte di cassazione, non potendosi attribuire efficacia “sanante” al sopravvenuto rinvio a giudizio del ricorrente, tenuto conto della circostanza obbiettiva per cui il Giudice per le indagini preliminari aveva rigettato la domanda cautelare reale.

2.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta proporzionalità del sequestro, atteso che la Sesta Sezione aveva annullato anche sotto tale profilo l’originaria ordinanza impositiva del vincolo reale.

Si tratterrebbe, sostiene il ricorrente, di un tema autonomo rispetto a quello del fumus commissi delicti per il quale il Tribunale non avrebbe potuto sottrarsi dall’onere di motivazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

2. Dalla lettura della sentenza di annullamento della Seconda Sezione della Corte di cassazione è agevole rilevare che il provvedimento di rinvio a giudizio non sia stato neppure indirettamente portato alla cognizione della Corte..

Dunque un fatto processuale nuovo, intervenuto dopo la decisione annullata ma prima della sentenza di annullamento della Corte.

La questione attiene al rapporto di interferenza sul giudizio cautelare dello sviluppo del giudizio principale, alla natura diagnostica del rinvio a giudizio, al rapporto tra le regole di giudizio che determinano l’applicazione delle misure cautelari reali rispetto a quelle che governano i passaggi da uno stadio all’altro della sequenza principale, alla consistenza ed alla verifica del requisito del fumus commissi delicti in tema di sequestro preventivo, all’obbligo del giudice di rinvio di uniformarsi al principio di diritto fissato dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento.

3. La Corte costituzionale, già con la sentenza n. 71 del 1996, intervenne sul tema del rapporto tra le regole di giudizio che determinano l’applicazione delle misure cautelari personali e quelle che governano i passaggi da uno stadio all’altro della sequenza principale.

La questione rimessa riguardava la costituzionalità degli artt. 309 e 310 cod. proc. pen. nella parte in cui, secondo l’interpretazione accolta in giurisprudenza, precludevano al tribunale della libertà il controllo del requisito dei gravi indizi di colpevolezza dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio.

Nell’occasione la Corte, pur non accogliendo la impostazione volta ad affermare una rigorosa ed astratta autonomia del procedimento incidentale di libertà rispetto a quello di merito, affermò che l’interferenza in termini preclusivi nel giudizio cautelare dello sviluppo di quello procedimentale poteva configurarsi solo in presenza di una “decisione che in ogni caso contenga in sé una valutazione del merito di tale incisività da assorbire l’apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza”.

In tale contesto si pone la sentenza delle Sezioni unite della Corte di cassazione n. 39915 del 30/10/2002, Vottari, Rv. 222603, chiamate a pronunciarsi sulla questione dopo le modifiche apportate all’udienza preliminare dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479.

Una sentenza, quella delle Sezioni unite, intervenuta dopo che la Corte costituzionale con l’ordinanza n.185 del 2001, aveva escluso che le pur “significative e rilevanti modifiche che la legge indicata aveva apportato alla disciplina della udienza preliminare”, che pure avevano “contribuito a ridefinire, in termini di maggior pregnanza, la struttura, la dinamica ed i contenuti decisori di quella fase,” avessero tuttavia mutato “le connotazioni eminentemente processuali che ne contraddistinguono l’essenza”, atteso che “la funzione dell’udienza preliminare era e resta quella di verificare – sia pure alla luce di una valutazione contenutistica più penetrante rispetto al passato – l’esistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda di giudizio formulata dal p.m., cosicché, ad una richiesta in rito, non può non corrispondere, in capo al giudice, una decisione di eguale natura, proprio perché anch’essa calibrata sulla prognosi di non superfluità del sollecitato passaggio alla fase dibattimentale”.

Una sentenza, quella delle Sezioni unite, tuttavia pienamente consapevole che la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 224 del 2001, riguardante il tema dell’incompatibilità del giudice, aveva in modo chiaro evidenziato come “a seguito delle importanti innovazioni introdotte, in particolare, dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, l’udienza preliminare ha subito una profonda trasformazione sul piano sia della quantità e qualità di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente attribuiti al giudice, e, infine, per ciò che attiene alla più estesa gamma delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato ad adottare”.

Per effetto dell’incremento della base cognitiva e del contenuto della valutazione dell’oggetto dell’ipotesi accusatoria, le Sezioni unite evidenziarono come la Corte costituzionale, “pure all’interno di un giudizio teso a verificare le condizioni legittimanti un’eventuale incompatibilità per il giudice dell’udienza preliminare, introduce dunque una valutazione dell’udienza stessa che, in quanto suscettibile di essere investita dalla sequenza discendente dell’incompatibilità, comporta la progressiva marginalizzazione della sua configurazione quale momento “processuale”, fondamentalmente orientato al controllo dell’azione penale promossa dal p.m. in vista dell’apertura della fase del giudizio, e, per contro, il suo avvicinamento ai segmenti di uno sviluppo procedimentale in cui, per la completezza del quadro probatorio di cui il giudice deve disporre e per il potenziamento dei poteri riconosciuti alle parti in materia di prova, è stimolata la valutazione del “merito” dell’accusa” (Sul tema anche Corte cost. n. 335 del 2002 e Sez. U., n. 31312 del 26.6.2002, D’Alterio).

Nella consapevolezza della necessaria ridefinizione dei temi riguardanti la funzione dell’udienza preliminare e lo standard probatorio per il rinvio a giudizio, le Sezioni unite chiarirono tuttavia che gli “strappi acceleratori verso un vero e proprio giudizio di merito, rispetto all’originario carattere di momento di impulso meramente processuale, hanno influito sulla struttura dell’udienza preliminare, la regola di diritto per il rinvio a giudizio resta tuttavia qualificata dalla peculiarità dell’oggetto della valutazione e del correlato metodo di analisi.

L’obiettivo arricchimento, qualitativo e quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo decisionale, non attribuisce infatti allo stesso il potere di giudicare in termini di anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato terzo comma dell’art. 425, è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di tipo prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale, utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda”.

Dunque, una valutazione intrisa di componenti di merito, ma pur sempre proiettata non ad una anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato.

Tale conclusione è avallata da ulteriori rilevanti considerazioni.

Si è spiegato come il tema dell’assorbimento e della interferenza nel giudizio cautelare del rinvio a giudizio debba misurarsi alla luce del “rapporto esistente tra i presupposti probatori del primo e del secondo provvedimento, nonché il grado di garanzie assicurato all’imputato, rispettivamente, dai due giudizi”.

Si è dunque evidenziato come la valutazione sui gravi indizi di colpevolezza si fondi su materiale probatorio arricchito nel 2001 con il richiamo ad alcune norme sulle prove (art. 273, comma 1 bis, c.p.p.) e postuli una motivazione particolarmente accurata e modellata sulla struttura dialogica della sentenza, come si evince dall’art. 292 cod. proc. pen.

Una disciplina, per un verso, funzionale ad assicurare il rispetto della libertà personale e, per altro verso e nella medesima ottica, che mira a consentire la sindacabilità del provvedimento cautelare mediante l’impugnazione di merito.

Per contro, si è sottolineato, il decreto che dispone il giudizio è un provvedimento immotivato ed inoppugnabile: «La rilevata asimmetria delle garanzie contenutistiche e procedurali assicurate per i distinti giudizi impedisce pertanto di riconoscerne l’equivalenza e, con essa, la sovrapponibilità logica della valutazione compiuta dal giudice all’esito dell’udienza preliminare, rispetto all’autonomo apprezzamento dei gravi indizi di colpevolezza nel provvedimento de libertate, rischiandosi viceversa di legittimare una grave elusione delle garanzie poste dall’ordinamento a presidio della libertà personale dell’imputato».

In tale senso dunque si comprende e giustifica la giurisprudenza successiva della Corte di cassazione, secondo cui “la regola di giudizio al fine del rinvio a giudizio o, per converso, del proscioglimento nel merito, consiste innanzitutto nella presentazione da parte del PM di elementi probatori che dimostrino allo stato un livello di fondatezza delle accuse, definibile “serio”.

Rispetto a tale precondizione, il giudice, nel contraddittorio delle parti, valuterà che a tale materiale si aggiunga una prospettiva di utile sviluppo delle prove a carico nel corso del dibattimento ovvero la impossibilità che ciò avvenga…..

Il ruolo del gup non è certamente quello di verificare l’innocenza (se non evidente) o la colpevolezza, bensì quello di individuazione di una minima probabilità di colpevolezza, condizione che giustifica la sottoposizione al processo e la assenza di ragioni per ritenere che l’accusa non sia suscettibile di essere definitivamente provata in dibattimento… una valutazione di effettiva consistenza del materiale probatorio a fondamento della accusa a carico dell’imputato, essendo tale condizione minima necessaria a giustificare la sottoposizione al processo” (Così, tra le altre, Sez. 6, n. 33763 del 30/04/2015, Quintavalle, Rv. 264427; nello stesso senso, Sez. 6, n. 17951 del 13/10/2015, dep. 2016, Barone, Rv. 267310; Sez. 6, n. 3726 del 29/09/2015, dep. 2016, Digaetano, Rv. 266132; Sez. 6, n. 7748 dell’11/11/2015, dep. 2016, D’Angelo, Rv. 266157; Sez. 5, n. 2516 del 14/09/2016, dep. 2017, Belotti, Rv. 269009).

Dunque, una valutazione sulla “minima” probabilità di colpevolezza e l’assenza di ragioni per ritenere che l’accusa non sia suscettibile di essere definitivamente provata in dibattimento. Questo pare il senso delle affermazioni delle Sezioni Unite.

Il rinvio a giudizio presuppone una valutazione prognostica sul grado di probabilità logica e di successo della prospettazione accusatoria e di effettiva utilità del dibattimento; il tal senso il giudice dell’udienza preliminare, nel verificare l’utilità del dibattimento e la sostenibilità dell’accusa, si muove necessariamente, ancorchè implicitamente, anche nella prospettiva di una valutazione minima della colpevolezza/innocenza dell’imputato.

Alla luce della ricostruzione indicata, secondo le Sezioni unite della Corte di cassazione “non è dato pertanto riscontrare una convergenza biunivoca della funzione e del giudizio prognostico sottesi al decreto che dispone il giudizio rispetto alla funzione e alla prognosi pertinenti al diverso profilo della gravità indiziaria, ai fini della legittima restrizione della libertà personale, sembrando evidente, nella logica complessiva del sistema processuale, che la valutazione contenutistica degli indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen. abbia ben altra consistenza qualitativa e quantitativa rispetto alla regula iuris propria del rinvio a giudizio” (così le Sezioni unite).

Ciò giustifica il potere/dovere da parte del Tribunale del riesame, anche dopo il decreto di rinvio a giudizio, di valutare l’adeguatezza del quadro indiziario posto a base del provvedimento impugnato.

Si tratta di una conclusione che le Sezioni unite esplicitano ulteriormente nella ipotesi in cui – come nella situazione in esame – la Corte di cassazione abbia annullato, per vizio motivazionale, l’ordinanza del riesame, rinviando allo stesso giudice per un nuovo scrutinio dei profili inerenti al presupposto cautelare dei gravi indizi di colpevolezza.

4. Alla luce della lunga ricostruzione, restano alcune questioni sullo sfondo. Il tema attiene, da una parte, al se – ed, eventualmente, in che limiti – il principio in questione, fissato in tema di misure cautelari personale, dunque, in funzione dell’accertamento dei gravi indizi di colpevolezza, sia esportabile anche in tema di cautele reali, in relazione alle quali, come è noto, non sono richiesti i gravi indizi di colpevolezza ma solo una valutazione sul piano oggettivo del fumus del reato, e, dall’altra, soprattutto, se il principio indicato dalle Sezioni unite abbia valenza nei casi, come quello in esame, in cui l’ordinanza cautelare, rigettata dal Giudice per le indagini preliminari e disposta solo in sede di appello, sia stata annullata dalla Corte di cassazione per ragioni connesse all’accertamento del fumus.

Il principio consolidato, reiteratamente affermato in ogni occasione dalla Corte di cassazione, è che in materia di misure cautelari reali, la proponibilità della questione relativa alla sussistenza del “fumus” del reato è preclusa se nel frattempo sia stato disposto il rinvio a giudizio del soggetto interessato (tra le altre, Sez. 5, n. 50521 del 20/09/2018, Ponteggi, Rv. 275277; Sez. 2, n. 52255 del 28/10/2016, Olisterno, Rv. 268733).

L’argomento costitutivo a fondamento dell’indirizzo in esame è che la diversa conclusione rispetto alle misure personali trovi giustificazione nelle difformità sostanziali dei due generi di restrizione – personale o patrimoniale – e dei presupposti che le legittimano, in applicazione del principio consolidato, secondo cui il “fumus” di un illecito penale non coincide con la gravita di un quadro indiziario indicativo dell’alta probabilità di commissione del reato da parte del soggetto, cioè con i gravi indizi di colpevolezza, con la conseguenza che il vaglio operato nel decreto dispositivo del giudizio costituisce garanzia sufficiente ad evitare abusive limitazioni della disponibilità di beni (così, tra le altre, Sez. 2, n. 805 del 12/11/2003, dep. 2004, Tuzzolo, Rv. 227802).

4. Il tema è legato alla definizione della consistenza della verifica del requisito del fumus.

In materia di misure cautelari reali va registrata la graduale tendenza della giurisprudenza della Corte di cassazione a valutare con maggiore rigore i presupposti che giustificano l’adozione del sequestro preventivo: si richiede che il giudice verifichi la sussistenza del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione obiettiva e seria di elementi dimostrativi, sia pure sul piano oggettivamente indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato.

Si coglie la consapevolezza che la tesi consolidata, autorevolmente sostenuta, secondo cui, in tema di sequestro preventivo, ai fini della verifica del requisito del fumus, sarebbe sufficiente accertare l’astratta configurabilità del reato ipotizzato (Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, Rv. 193118), ha condotto ad una erosione in senso verticale ed orizzontale del contenuto della motivazione del relativo provvedimento dispositivo del vincolo cautelare; l’impegno argomentativo del giudice è comunemente inteso, per un verso, arretrato al di sotto del limite della verifica della fondatezza prognostica dell’ipotesi chi reato prospettata, e, dall’altro, limitato alla tipicità del fatto materiale prospettato nella sua descrizione da parte del Pubblico Ministero, non essendo richiesta una ricostruzione in concreto delle modalità con cui la ipotizzata condotta criminosa si sia manifestata, cioè, una valutazione fattuale della ipotesi tipica enunciata.

Si tratta di una impostazione in passato già precisata, e in qualche modo rivista, dalla Corte di cassazione che, evidentemente consapevole del rischio di svuotamento della funzione di garanzia insita nella motivazione, ha in più occasioni affermato la necessità di individuare il presupposto del sequestro preventivo nella concretezza degli elementi di reato, pur escludendo la tesi estrema che richiederebbe la presenza dei gravi indizi di colpevolezza (Sez. U, n. 23 del 20/11/1996, Bassi, Rv. 206657; cfr., inoltre, Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella).

Le misure cautelari, civili e penali, hanno tutte una funzione strumentale, quella cioè di evitare fatti tali da pregiudicare l’efficacia del provvedimento definitivo; i provvedimenti cautelari sono cioè funzionali ad assicurare la fruttuosità pratica di un ulteriore provvedimento, quello finale e di merito.

Il sequestro preventivo, salvo rarissimi casi (art. 240, comma 2, n. 2 cod. pen.), è una misura di coercizione reale connessa e strumentale allo svolgimento del procedimento penale ed all’accertamento del reato per cui si procede, nel senso che è suo scopo quello di evitare che il trascorrere del tempo possa pregiudicare irrimediabilmente l’effettività della giurisdizione espressa con la sentenza di condanna (Sez. U., n. 12878 del 29/01/2003, De Luca).

Un reato, tuttavia, deve essere configurabile ed il giudice deve poter esercitare un controllo effettivo che, pur coordinato e proporzionale con lo stato del procedimento e con lo stato delle indagini, non può essere meramente formale, apparente, appiattito alla mera prospettazione astratta della esistenza di un reato da parte della Pubblica accusa.

Si giustifica, dunque, il senso dell’affermazione giurisprudenziale secondo cui ciò che deve essere verificato ai fini della sussistenza del requisito del fumus commissi delicti è la congruità degli elementi di fatto indicati dall’accusa rispetto al fatto-reato ipotizzato; il Giudice non deve limitarsi a “prendere atto” della tesi accusatoria, senza svolgere alcuna altra attività, ma è tenuto ad assolvere un indispensabile ruolo di garanzia, tenendo nel debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie dedotta ed esaminando sotto ogni aspetto l’integralità dei presupposti che legittimano il sequestro. In ordine a tale verifica il Giudice è tenuto a motivare.

Il fumus richiesto per l’adozione del sequestro preventivo è dunque costituito dalla oggettiva esistenza di indizi di reato, cioè dalla esistenza di elementi concreti che facciano apparire verosimile che un reato sia stato commesso; non si richiedono gravi indizi di colpevolezza, cioè dimostrativi di una elevata probabilità di responsabilità, ma obiettivi indizi di reato.

Si comprende il principio per cui, con particolare riferimento al controllo effettuato in sede di riesame, nella valutazione del fumus non può ritenersi sufficiente la sola “astratta configurabilità del reato”, dovendo invece il giudice apprezzare in modo puntuale e coerente le risultanze processuali e l’effettiva situazione emergente dagli elementi eventualmente forniti dalle parti, indicando le ragioni che rendono allo stato seriamente sostenibile l’impostazione accusatoria (Sez. 6, n. 18183 del 23/11/2017, dep. 2018, Polifroni, Rv. 272927; Sez. 6, n. 49478 del 21/10/2015, Mecchione, Rv. 265433; Sez. 5, n. 49595 del 16/09/2014, Armento, Rv. 261677; Sez. 3, n. 37851 del 04/06/2014, Parrelli, Rv. 260945; Sez. 5, n. 28515 del 21/05/2014, Ciampani, Rv. 260921).

Si tratta di un principio che deve essere posto in connessione con un i ulteriore considerazione e cioè che mentre la compressione dei diritti derivante dalla adozione di un provvedimento di sequestro consegue ad una valutazione solo di tipo statico sulla sussistenza del requisito del fumus commissi delicti, il rinvio a giudizio, come detto, è fondato su un dato prognostico, prospettico e, per ciò stesso, diverso perché dinamico.

5. Dunque, se è astrattamente condivisibile l’assunto secondo cui il rinvio a giudizio può precludere la valutazione del fumus commissi delicti in tema di sequestro preventivo, è altrettanto vero che il principio in questione deve essere conformato ed esplicitato in relazione ai casi in cui detta valutazione sia stata compiuta, come nel caso di specie, in modo errato prima del “fatto sopravvenuto”, cioè, del rinvio a giudizio.

È possibile cioè che, per effetto dell’annullamento disposto dalla Corte di cassazione e del principio di diritto a cui il Tribunale è tenuto ad uniformarsi, la valutazione sul fumus, relativo alla consistenza obiettiva degli elementi fattuali ed agli indizi dimostrativi della esistenza oggettiva del fatto, sia, come nel caso concreto in esame, diversa e più peculiare rispetto alla regola di giudizio che è a fondamento del decreto che dispone il giudizio, cioè, come detto, la minima probabilità di colpevolezza e la utilità dell’accertamento dibattimentale.

Nel caso di specie, ciò che si sarebbe dovuto compiere da parte del Tribunale era un accertamento qualitativamente più stringente rispetto a quello giustificativo del rinvio a giudizio; detta verifica costituiva l’oggetto specifico del duplice annullamento da parte della Corte di cassazione, che, peraltro, aveva annullato per mancanza di gravi indizi di colpevolezza la corrispondente misura cautelare personale e che aveva imposto al Tribunale peculiari oneri accertativi al fine di verificare la sussistenza della qualifica soggettiva in capo al ricorrente.

Il vincolo del giudice di rinvio nel giudizio cautelare in esame s’incentrava sull’adempimento del dovere di puntuale e logica motivazione in ordine al presupposto del fumus, eliminando i difetti delle precedenti due decisioni, in modo da conformare la decisione allo schema delibativo delle risultanze probatorie esplicitamente enunciato nelle sentenze di annullamento.

Il giudice di rinvio, invece, ha ritenuto di sottrarsi al vincolo derivante dalla sentenza di annullamento attraverso la valorizzazione di un fatto processuale nuovo – l’emissione del decreto di rinvio a giudizio – a cui si è attribuita una valenza preclusiva ed una decisiva rilevanza formale, fondata sul presupposto che ciò che il Tribunale avrebbe dovuto specificamente verificare fosse stato “assorbito” dalla valutazione, ritenuta strutturalmente sovrapponibile, compiuta dal Giudice in sede di udienza preliminare.

Si tratta di un ragionamento che non può essere condiviso in ragione del fatto che, come detto, l’oggetto dell’accertamento demandato al Tribunale era nella specie più specifico e stringente rispetto a quello di cui era stato investito il G.u.p.

A ragionare diversamente, si dovrebbe ritenere che anche in casi come quello in esame, in cui il sequestro preventivo è stato disposto solo a seguito dell’appello del Pubblico Ministero e l’ordinanza cautelare sia stata annullata per due volte dalla Corte di cassazione (che, si legge, aveva annullato anche le corrispondenti misure cautelari personali) per ragioni legate alla verifica del fumus commissi delicti, cioè sostanzialmente per violazione di legge, il sopravvenuto, immotivato ed inoppugnabile decreto che dispone il giudizio, surrogherebbe l’obbligo del giudice dei rinvio di uniformarsi al principio di diritto affermato dalla Corte.

Una soluzione, quella adottata dal Tribunale, che, in realtà, ha fatto transitare alla fase processuale il vizio riscontrato per due volte dalla Corte di cassazione; in tal modo, da una parte, si è sanato, attraverso il riferimento ad un provvedimento immotivato e non oppugnabile, il riscontrato difetto strutturale del provvedimento cautelare genetico – relativo alla sussistenza di un elemento fondante quale quello del fumus commissi delicti – e, dall’altra, si è svuotato quel momento di controllo ritenuto per contro ineludibile dalle precedenti pronunce della Corte di cassazione.

Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata; il Tribunale, in sede di rinvio, verificherà, alla luce dei principi indicati e di quelli fissati in precedenza dalla Corte di cassazione, se ed in che limiti sia sussistente il requisito del fumus commissi delicti con riguardo alla qualifica soggettiva attribuita al ricorrente rispetto al fatto corruttivo ipotizzato e verificherà anche se ed in che misura la misura cautelare sia conforme ai principi di proporzionalità ed adeguatezza, così come aveva disposto la Sesta Sezione Penale di questa Corte.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Roma, Sezione Riesame.

Così deciso in Roma, l’8 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2021.

SENTENZA – copia conforme -.