La pronuncia della commissione tributaria non vincola il giudice penale (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 16 ottobre 2020, n. 28725).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IZZO Fausto – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Rel. Consigliere

Dott. Gianni Filippo Reynaud – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SCORZA ANTONIO nato a EBOLI il 11/07/1977;

avverso l’ordinanza del 24/02/2020 del TRIB. LIBERTA’ di SALERNO;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca SEMERARO;

sentite le conclusioni del Procuratore Generale, Dott. Marilia DI NARDO;

Il P.G. conclude: inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale del riesame di Salerno, con l’ordinanza del 24 febbraio 2020, ha rigettato l’appello proposto nell’interesse di Antonio Scorza avverso l’ordinanza del giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Vallo della Lucania del 24 dicembre 2019, con la quale è stata rigettata la richiesta di revoca del sequestro preventivo disposto nei confronti di Antonio Scorza per i reati di cui agli artt. 4 e 10 d.lgs. 74/2000 e finalizzato alla confisca per equivalente dei beni dell’indagato fino alla concorrenza di un valore complessivo di euro 345.484,69.

2. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Salerno ha proposto ricorso per cassazione il difensore di Antonio Scorza deducendo l’erronea applicazione dell’art. 4 d.lgs. 74/2000 ed il vizio di motivazione.

2.1. I giudici del riesame avrebbero rigettato l’appello ritenendo erroneamente che fossero state prospettate analoghe argomentazioni già in precedenza rigettate.

Il Tribunale avrebbe omesso di valutare la consulenza tecnica di parte la quale avrebbe ribadito la natura agraria del reddito prodotto dalla ditta del ricorrente nonché precisato il mancato superamento della soglia di punibilità prevista dalla legge.

Il Tribunale avrebbe errato nel ritenere la sentenza della commissione tributaria provinciale generica e svincolata da dati concreti non precisando, in modo apodittico ed immotivato, le ragioni per le quali il reddito della società non avrebbe natura agraria.

Pur essendo vero che la pronuncia della commissione tributaria non vincola il giudice penale, tale decisione sarebbe determinante per la valutazione dell’oggetto della norma penale avendo la commissione tributaria, sulla base della documentazione fornita dalla Guardia di Finanza, classificato il reddito della società quale agrario, annullando conseguentemente l’accertamento fiscale.

2.2. Con la memoria pervenuta il 21 settembre 2020, il difensore a sostegno della tesi difensiva che il reddito della società dovesse essere assoggetto alla categoria del reddito agrario, ha prodotto 3 sentenze della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno che hanno annullato gli accertamenti fiscali.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

1.1. Il Tribunale del riesame di Salerno ha rilevato che avverso il decreto genetico si era già pronunciato in sede di riesame, con l’ordinanza del 7 giugno 2019, ed in sede di appello, con l’ordinanza del 16 gennaio 2020; con l’appello del 10 gennaio 2020 la difesa aveva riproposto le stesse argomentazioni già valutate.

1.2. Correttamente il Tribunale del riesame di Salerno ha ritenuto sussistente il giudicato cautelare poiché, secondo quanto risulta dal testo dell’ordinanza impugnata, la consulenza tecnica della difesa è stata già valutata in sede di riesame: a fronte di tale chiara argomentazione, con il ricorso si è affermata l’omessa valutazione della consulenza tecnica, senza in alcun modo dimostrare l’erroneità della decisione impugnata.

1.3. La sentenza della Commissione Tributaria è stata prodotta solo con la nota del 18 febbraio 2020 direttamente nella procedura incidentale di impugnazione; tale decisione pertanto non risulta essere stata sottoposta al giudice per le indagini preliminari e neanche è stata oggetto dei motivi di appello; pertanto, il Tribunale del riesame ha correttamente ritenuto inammissibile la questione dedotta.

1.4. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, nell’appello cautelare reale, stante la natura devolutiva del giudizio, la cognizione del giudice è circoscritta entro il limite segnato non solo dai motivi dedotti dall’impugnante, ma anche dal decisum del provvedimento gravato, sicché con l’appello non possono proporsi motivi nuovi rispetto a quelli avanzati nell’istanza sottoposta al giudice di primo grado, né al giudice ad quem è attribuito il potere di estendere d’ufficio la sua cognizione a questioni non prese in esame dal giudice a quo.

1.5. La decisione è in ogni caso corretta perché il Tribunale del riesame ha applicato l’orientamento della giurisprudenza, che va qui ribadito, per cui in tema di prova documentale, le sentenze del giudice tributario, ancorché definitive, non vincolano quello penale, in quanto l’art. 238-bis cod. proc. pen. consente l’acquisizione in dibattimento delle sentenze divenute irrevocabili, disponendo peraltro che esse siano valutate a norma degli artt. 187 e 192, comma terzo, dello stesso codice, ai fini della prova del fatto in esse accertato (Sez. 3, n. 1628 del 28/10/2015 – dep. 2016, Campedelli, Rv. 26632801).

1.6. Infine, deve rilevarsi che con il ricorso si contesta la valutazione della sentenza della commissione tributaria: si deduce quindi un vizio della motivazione, non proponibile ex art. 325 cod. proc. pen., dovendo escludersi che sul punto la motivazione dell’ordinanza impugnata sia apparente, essendo articolata e fondata sul contenuto di tale decisione.

Per altro, il ricorso è anche del tutto generico, perché le argomentazioni a sostegno dell’apparenza della motivazione si fondano sulla «autorevolezza» dell’organo da cui proviene la decisione e sulla sua emissione nel nome del popolo italiano.

2. Deve poi essere dichiarata inammissibile la produzione dei tre nuovi documenti allegati alla memoria pervenuta il 21 settembre 2020.

2.1. L’art. 327-bis cod. proc. pen., nell’attribuire al difensore la facoltà di svolgere in ogni stato e grado del processo investigazioni in favore del proprio assistito, non può essere interpretato come una deroga ai principi generali del procedimento e del giudizio avanti la Corte di Cassazione, nel senso, cioè di consentire la produzione di nuovi documenti, anche diversi ed ulteriori da quelli che la parte non sia stata in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio (Sez. 3, n. 41127 del 23/05/2013, D’A., Rv. 25685201).

Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, nel giudizio di legittimità non è consentita la produzione di documenti che non costituiscano una «prova nuova» e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (Sez. 2, n. 42052 del 19/06/2019, Moretti, Rv. 27760901).

3. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell’art.616 cod. proc. pen. si condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, si condanna altresì il ricorrente al pagamento della somma di euro 3.000,00, determinata in via equitativa, in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 23 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.