REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PALLA Stefano – Presidente
Dott. MAZZITELLI Caterina – Consigliere
Dott. CATENA Rossella – Rel. Consigliere
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere
Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli;
avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Napoli in data 02/03/2020 emessa nei confronti di:
Giaccio Domenico, nato a Marcianise (CE), il 16/02/1954;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rossella Catena;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Antonietta Picardi, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale del Riesame di Napoli accoglieva il ricorso presentato ex art. 309 cod. proc. pen. nell’interesse di Domenico Del Giaccio avverso l’ordinanza del 30/01/2029, con cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli aveva applicato al predetto la misura coercitiva degli arresti domiciliari in riferimento al delitto di cui all’art. 615-ter 1 cod. pen., di cui ai capi T), U), V), W) dell’imputazione provvisoria e, per l’effetto, ne ordinava l’immediata liberazione se non detenuto per altro titolo.
2. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ricorre articolando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.:
violazione di legge, in riferimento agli artt. 266 e 270 cod. proc. pen., ai sensi dell’art. 606 lett. b), cod. proc. pen., in riferimento alla motivazione del provvedimento impugnato, che avrebbe omesso di valutare come, nel caso in esame, sussistesse una connessione, ex art. 12 cod. proc. pen., tra i reati in relazione ai quali era stata originariamente disposta l’intercettazione e quelli per i quali si procede, considerato che, anche volendo diversamente opinare, le conversazioni intercettate costituiscono notizia di reato, oggetto di indagini a seguito delle quali sono stati acquisiti gravi indizi di colpevolezza a carico dell’indagato in riferimento ai reati ascrittigli.
In particolare, si sottolinea che il decreto di intercettazione RR 2494/17 del 12/07/2017 fa espressa menzione a condotte di accesso abusivo a sistema informatico, con evidente connessione dei reati per i quali si procede a quelli oggetto di autorizzazione alle intercettazioni, anche considerando che i reati di cui ai capi B) C) D) dell’imputazione provvisoria risultano commessi tra il 12/07/2017 e il 08/03/2018, quindi in un periodo temporale compreso dal decreto;
peraltro, il Giudice per le indagini preliminari, nell’ordinanza annullata, aveva esplicitamente riconosciuto la connessione, ai sensi dell’art. 12, lett. c), cod. proc. pen., tra le fattispecie di corruzione e quelle di accesso abusivo a sistema informatico, con conseguente utilizzabilità delle intercettazioni.
In ogni caso, si sottolinea come anche la e Sezioni Unite, con la sentenza n. 15 del 2019 riconoscono come le conversazioni captate possano costituire notizia di reato, con la conseguenza che, nel caso di specie, essendo le stesse state riscontrate da attività di indagine, in riferimento al delitto di cui all’art. 615-ter cod. pen., risultano pienamente utilizzabili, unitamente agli altri elementi di prova acquisiti nel corso delle indagini, risultando errata l’affermazione del Tribunale del Riesame – secondo cui la verifica informatica sugli accessi abusivi risulterebbe priva di autonoma valenza senza considerare le conversazioni – proprio in quanto dalle indagini è emerso, al contrario, che gli accessi erano effettuati abusivamente alla banca dati in uso alle FF.PP. per finalità diverse da quelle previste dalla vigente normativa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va ricordato che il Tribunale del Riesame, nella motivazione del provvedimento impugnato, ha rilevato come lo stesso giudice impugnato avesse sottolineato la mancanza di un provvedimento di autorizzazione delle intercettazioni in riferimento all’art. 615-ter cod. pen., ravvisando, tuttavia, un nesso di connessione teleologica, ai sensi dell’art. 12 lett. c), cod. proc. pen., tra i reati per i quali le intercettazioni erano state autorizzate (artt. 110, 319, 321 cod. pen., poi qualificate ai sensi dell’art. 346 cod. pen.) e il reato di cui all’art. 615- ter cod. pen. ascritto all’indagato.
In realtà – prosegue il Tribunale del Riesame – detto collegamento qualificato non sussiste affatto, nel caso in esame: ed invero, le intercettazioni erano state originariamente autorizzate, a partire dal maggio 2017, per i reati di cui agli artt. 416, 642, 479 cod. pen., ascritti a cinque soggetti diversi dal Del Giaccio;
nel prosieguo il pubblico ministero veniva autorizzato alle attività di intercettazione anche sull’utenza in uso al Del Giaccio, ritenuto coinvolto nell’organizzazione dedita a truffe in danno di istituti di credito, società finanziarie e compagnie di assicurazione;
nel luglio 2017, infine, anche a carico del predetto Del Giaccio venivano autorizzate intercettazioni telematiche in riferimento ai delitti di cui agli artt. 416, 319, 321 cod. pen., dandosi atto, nella richiesta del pubblico ministero, dell’emersione di condotte di accesso abusivo a sistemi informatici, reato per il quale, peraltro, non è mai stata autorizzata alcuna attività captativa e per il quale il Del Giaccio veniva iscritto, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. pen., solo in data 02/10/2018.
In ogni caso – sottolinea il provvedimento impugnato – pur volendo prescindere da detti dati, la sola lettura dei capi di imputazione per i quali è stata avanzata richiesta di misura cautelare evidenzia l’assenza di ogni connessione qualificata tra la contestazione elevata a carico del Del Giaccio e la fattispecie di cui all’art. 346 cod. pen. a carico dei coindagati, condotte, queste ultime, con cui si millantava la possibilità di far ottenere posti di lavoro e superare esami universitari, mentre l’accesso abusivo realizzato dal Del Giaccio – quale intermediario ed in concorso con appartenenti alle Forze di Polizia – risulta finalizzato a scopi del tutto eccentrici, ossia l’ottenimento di dati inseriti nella banca dati delle Forze di Polizia, quali i nominativi degli intestatari di specifiche autovetture, l’acquisizione di informazioni sulla revisione di auto e sui precedenti di polizia di intestatari di veicoli, con evidente eterogeneità delle finalità illecite perseguite dagli indagati attraverso condotte del tutto autonome tra loro ed inconciliabili con il ravvisato collegamento qualificato, potendo, al contrario, ritenersi sussistente solo un’ipotesi di collegamento di indagini, per la quale, alla luce delle Sezioni Unite Cavallo, deve ravvisarsi l’operatività del divieto di utilizzazione delle intercettazioni in relazione a reati diversi da quelli per i quali l’autorizzazione è stata adottata.
Così sintetizzata la motivazione del provvedimento impugnato, va osservato che essa appare del tutto logica, analitica e coerente con il percorso argomentativo illustrato dalle Sezioni Unite Cavallo (Sez. U, sentenza n. 51 del 28/11/2019, dep. 02/01/2020, Rv. 277395).
Queste ultime, dopo un’accurata ed approfondita disamina delle pronunce della Corte costituzionale in tema di bilanciamento tra la libertà di comunicazione e l’esigenza di repressione dei reati attraverso l’impiego di determinati mezzi limitativi della predetta libertà, hanno evidenziato come, proprio alla luce dei principi ribaditi dal Giudice delle leggi, l’atto dell’autorità giudiziaria di autorizzazione allo svolgimento di attività di captazione debba essere sorretto da adeguata e specifica motivazione; di conseguenza, nel caso previsto dall’art. 270 cod. proc. pen., non è possibile l’utilizzazione probatoria dei risultati di un’intercettazione in altro procedimento sulla base di una sorta di “autorizzazione in bianco”.
Il massimo consesso di questa Corte ha osservato che, fatta salva la norma di cui all’art. 270, comma 1, cod. proc. pen. – che del tutto eccezionalmente consente, in casi tassativamente indicati dalla legge, l’utilizzazione delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi, limitatamente all’accertamento di una categoria predeterminata di reati, per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza, presuntivamente capaci di destare particolare allarme sociale – l’autorizzazione del giudice non si limita a legittimare il ricorso al mezzo di ricerca della prova, ma circoscrive anche l’utilizzazione dei suoi risultati ai fatti-reato che all’autorizzazione stessa risultino riconducibili.
In altri termini, hanno affermato le Sezioni Unite, l’indiscriminato allargamento dell’area dei reati per i quali sarebbero utilizzabili i risultati delle intercettazioni, “incrinerebbe il bilanciamento tra i valori costituzionali contrastanti (il diritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni, da una parte; dall’altra, l’interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire i loro autori) che è assicurato dall’art. 270 cod. proc. pen.: bilanciamento garantito, prima di tutto, dalla riserva assoluta di legge, che, da un lato, comporta la fissazione di limiti di ammissibilità per l’autorizzazione del mezzo di ricerca della prova e, dall’altro, impone al legislatore di individuare i reati ‘ulteriori’ rispetto ai quali riconoscere l’utilizzabilità probatoria dei risultati dell’intercettazione in un ambito ben definito, ossia limitatamente all’accertamento di una categoria predeterminata.”
Tanto premesso, la sentenza Cavallo, sulla scia della precedente giurisprudenza di legittimità, ha rimarcato che “la formale unità dei procedimenti, sotto un unico numero di registro generale, non può fungere da schermo per l’utilizzabilità indiscriminata delle intercettazioni, facendo convivere tra di loro procedimenti privi di collegamento reale», essendo, al contrario, necessaria la verifica della sussistenza di un legame sostanziale tra il reato in relazione al quale l’autorizzazione all’intercettazione è stata emessa ed il reato emerso grazie ai risultati di tale intercettazione, in modo tale da rendere quest’ultimo riconducibile al provvedimento autorizzatorio.
Proprio su detto aspetto, pertanto, le Sezioni Unite hanno esaminato sia la connessione ex art. 12 cod. proc. pen. che la connessione ex art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen.
La prima riguarda procedimenti “tra i quali esiste una relazione in virtù della quale la regiudicanda oggetto di ciascuno viene, anche in parte, a coincidere con quella oggetto degli altri”; detta connessione, in altri termini, è un riflesso della connessione sostanziale dei reati, indipendente dalla vicenda procedimentale, come si evince dai casi di connessione disciplinati dall’art. 12 lett. b) e c).
Ne consegue che “In caso di imputazioni connesse ex 12 cod. proc. pen., dunque, il procedimento relativo al reato per il quale l’autorizzazione è stata espressamente concessa non può considerarsi ‘diverso’ rispetto a quello relativo al reato accertato in forza dei risultati dell’intercettazione.
La parziale coincidenza della regiudicanda oggetto dei procedimenti connessi e, dunque, il legame sostanziale – e non meramente processuale – tra i diversi fatti-reato consente di ricondurre ai «fatti costituenti reato per i quali in concreto si procede» (Corte cost., sent. n. 366 del 1991), di cui al provvedimento autorizzatorio dell’intercettazione, anche quelli oggetto delle imputazioni connesse accertati attraverso i risultati della stessa intercettazione: il legame sostanziale tra essi, infatti, esclude che l’autorizzazione del giudice assuma la fisionomia di un’ autorizzazione in bianco’ “.
Così individuata la base normativa del legame “forte” tra i reati, le Sezioni Unite pervengono a diverse conclusioni con riferimento al criterio basato sul collegamento investigativo di cui all’art. 371 cod. proc. pen., ossia alle ipotesi delineate dalla lett. b) del comma 2, dell’art. 371 cod. proc. pen., in cui il collegamento risponde ad esigenze di efficace conduzione delle indagini, ma le relazioni tra i reati alla base dell’istituto non presuppongono quel necessario legame originario e sostanziale tra gli stessi, atteso che “Con specifico riguardo alle prime due ipotesi della disposizione, infatti, si tratta di relazioni intercorrenti non già tra il reato in riferimento al quale è stata emessa l’autorizzazione e quello messo in luce dall’intercettazione, ma tra le ‘conseguenze’ del primo e il secondo ovvero di relazioni che si risolvono in una mera ‘occasionalità’ tra la commissione dell’uno e dell’altro”.
Ad identiche conclusioni si deve giungere per le altre figure di collegamento delineate dalla lett. b) del comma 2 dell’art. 271 cod. proc. pen., considerate fin dalla formulazione originaria della disposizione codicistica nella sola prospettiva dell’efficace conduzione delle indagini.
In tali casi, quindi, ivi incluso il criterio dell’identità del “filone investigativo”, si tratta di relazioni definite dalle Sezioni Unite come “deboli”, il che esclude la loro suscettibilità di individuare quel legame oggettivo, necessario per assicurare la riconducibilità del “nuovo” reato all’autorizzazione giudiziale, così da non eludere la garanzia costituzionale della motivazione del provvedimento autorizzatorio, con conseguente divieto probatorio dell’utilizzazione di intercettazioni in presenza di un rapporto tra i reati riconducibile – fuori dai casi di connessione – alle ipotesi di collegamento tra indagini.
In conclusione “Alla luce della nozione di ‘procedimenti diversi’ delineata, deve pertanto concludersi che – ferma restando l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non rientrano nella sfera del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate solo i reati, accertati in virtù dei risultati delle intercettazioni, connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta: quando hanno ad oggetto reati connessi, i procedimenti non sono ‘diversi’ a norma dell’art. 270 cod. proc. pen.”
Benché all’epoca in cui è stato formulato il ricorso del pubblico ministero in esame la sentenza Cavallo fosse già stata pubblicata, nell’incedere argomentativo dell’impugnazione si è del tutto omesso di spiegare in cosa consisterebbe il collegamento qualificato ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen. tra i reati oggetto dell’autorizzazione alle captazioni ed il reato “nuovo” per le quali le stesse sono state utilizzate, ossia il reato di cui all’art. 615-ter cod. pen., tanto più a fronte di una chiara ed ineludibile motivazione fornita dal Tribunale del Riesame su detto specifico punto.
In sostanza, la critica svolta appare del tutto generica ed avulsa da una confutazione anche minimamente argomentata del provvedimento impugnato, da cui traspare una sostanziale mancata comprensione del percorso ermeneutico seguito dalle Sezioni Unite Cavallo, di cui si cita, in maniera del tutto inconferente e non rispondente alla vicenda processuale in esame, il passaggio in cui le Sezioni Unite affermano come non sia in discussione l’orientamento consolidato secondo cui il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni telefoniche in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state disposte, attiene solo alla valutazione di tali risultati come elementi di prova, ma non preclude la possibilità di dedurre dagli stessi notizie di nuovi reati, quale punto di partenza di nuove indagini.
Anche l’affermazione contenuta in ricorso – secondo la quale il materiale indiziante risulterebbe grave anche a prescindere dal contenuto delle captazioni – risulta del tutto apodittica: non solo non si indica quale sarebbe detto materiale, il che induce a sospettare che il ricorrente non abbia chiaro il perimetro entro cui si svolge il giudizio di legittimità, ma, ancora una volta, non ci si confronta affatto con la motivazione del Tribunale del Riesame, secondo cui le sole verifiche sugli accessi abusivi effettuate dal pubblico ministero in sede di indagini preliminari perdono ogni valenza probatoria, se non lette unitamente alle specifiche richieste rivolte al Del Giaccio nel corso delle conversazioni intercettate.
Su detto aspetto, infatti, il Tribunale del Riesame ha affermato che anche laddove volessero ritenersi utilizzabili gli esiti delle captazioni riferibili all’unico decreto in cui si fa menzione della condotta di accesso abusivo a sistema informatico (RR 2494 del 12/07/2017), i messaggi whatsapp intercettati, al più, circostanzierebbero pregresse richieste, il cui contenuto emerge chiaramente solo dalle conversazioni precedentemente intercettate.
Anche in tal caso nessuna critica congrua risulta emergere dal ricorso in esame, di cui, pertanto, va dichiarata l’inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Pubblico Ministero.
Così deciso in Roma, il 07/09/2020.
Depositato in Cancelleria il 19 ottobre 2020.