La responsabilità del produttore di farmaci difettosi (Corte di Cassazione, Sezione III Civile, Sentenza 10 maggio 2021, n. 12225).

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE TERZA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo –  Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso 19446-2018 proposto da:

(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA (OMISSIS) n. 18, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO FABIO (OMISSIS) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) ROBERTO;

– intimati –

nonché da:

(OMISSIS) ROBERTO, elettivamente domiciliato in ROMA, (OMISSIS) (OMISSIS) 1, presso lo studio dell’avvocato RENATO (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato LUIGINO MARIA (OMISSIS);

– ricorrenti incidentali –

contro

(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA (OMISSIS), 18, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO FABIO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO (OMISSIS);

– controricorrenti all’incidentale –

avverso la sentenza n. 476/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 27/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/11/2020 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RITA SANLORENZO;

uditi gli Avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS).

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 27/2/2018 la Corte d’Appello di Verona, rigettato quello in via incidentale spiegato dal sig. Roberto (OMISSIS), in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società (OMISSIS) s.p.a. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Venezia n. 64 del 2013, ha rideterminato in diminuzione l’ammontare in favore del primo liquidato dal giudice di prime cure a titolo di risarcimento dei danni dal medesimo sofferti all’esito dell’assunzione del farmaco Lipobay 0,2 -dalla suindicata società immesso sul mercato italiano e dalla medesima successivamente ritirato- che gli aveva provocato la c.d. miopatia dei cingoli.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società (OMISSIS) s.p.a. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il (OMISSIS), che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di unico complesso motivo, illustrato da memoria.

Già chiamata all’udienza camerale del 24/1/2020, la causa è stata rinviata alla pubblica udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1° motivo la ricorrente in via principale denunzia «violazione e falsa applicazione» degli artt. 114, 117 d.lgs. n. 206 del 2005 ( c.d. Codice del consumo ), in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.

Con il 2° motivo denunzia «violazione e falsa applicazione» degli artt. 117, 118, 120 d.lgs. n. 206 del 2005 ( c.d. Codice del consumo ), in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.

Con il 3° motivo denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., in riferimento all’art. 360, 10 co. n. 4, c.p.c.

Si duole che la corte di merito abbia -con motivazione apparente e con erronea valutazione delle emergenze processuali e in particolare della CTU- ravvisato la sua responsabilità ex artt. 2043 e 2050 c.c. laddove, applicando la disciplina speciale del c.d. Codice del consumo, in base alla quale ai fini della qualificazione del prodotto in termini di difettosità assume rilievo non già la relativa innocuità bensì la sicurezza che ci si può ragionevolmente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato immesso in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi e alle istruzioni e avvertenze fornite all’uso, nella specie il prodotto farmaceutico in argomento Lipobay, anche «in ragione della ampia informativa fornita», non avrebbe potuto ravvisarsi come difettoso.

Lamenta non essersi dalla corte di merito considerato che «il problema della difettosità non può coincidere con la semplice possibile insorgenza di effetti collaterali nocivi, ma deve invece ricondursi al problema di un corretto bilanciamento del rapporto rischio/beneficio relativo alla somministrazione dello stesso», e che, omettendo di considerare «se il farmaco Lipobay potesse considerarsi agli effetti di legge “difettoso”» tale giudice ha altresì «del tutto omesso di spiegare perché mai … potesse costituire un “risultato anomalo” rispetto alla normalità delle aspettative» la patologia lamentata dalla controparte, essendo essa «perfettamente conosciuta dalla “Classe Medica” come possibile effetto avverso del farmaco, chiaramente segnalata nell’informativa fornita con il prodotto», informativa che «consentiva al paziente e al medico -che peraltro nella fattispecie coincidono nella persona del dott. (OMISSIS)- di valutare il relativo rapporto rischio beneficio (decidendo se esporsi o meno ai remoti rischi di effetti indesiderati collegati all’uso di tale specialità medicinale a fronte di un evidente e pressoché certo vantaggio terapeutico) e di assicurare che attraverso l’attento rispetto di avvertenze, precauzioni d’impiego, dosaggi e modalità d’uso raccomandati fosse possibile prevenire (o quantomeno immediatamente bloccare) l’insorgere di eventuali effetti indesiderati».

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente valutato le emergenze processuali, e in particolare della espletata CTU, essendosi limitata ad «aderire passivamente alle valutazioni (erronee) svolte dal giudice di prime cure, circa la presunta esaustività e completezza dell’analisi peritale svolta nel corso del primo grado di giudizio, senza prendere alcun tipo di posizione su nessuno degli specifici rilievi sopra ricordati, e così di fatto omettendo di fornire la ben che minima spiegazione in merito alle ragioni per cui ha ritenuto di rigettare lo specifico motivo di gravame sollevato da (OMISSIS) sotto tale profilo».

Con unico motivo il ricorrente in via incidentale denunzia violazione degli artt. 2043, 2059 c.c., 11 d.p.r. n. 314/90, in riferimento all’art. 360, 1° co. n. 3, c.p.c.; nonché «omesso esame» di fatto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360, 10 co. n. 5, c.p.c.

Si duole che la corte di merito abbia confuso tra danno non patrimoniale e danno patrimoniale, nonché erroneamente escluso il danno patrimoniale da incapacità lavorativa specifica.

I motivi di entrambi i ricorsi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che il requisito -richiesto a pena di inammissibilità- ex art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c., risulta nel caso dai ricorrenti – principale ed incidentale – non osservato laddove viene dai medesimi rispettivamente operato il riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito [in particolare, all’«atto di citazione notificato a mezzo posta in data 17 luglio 2007 (doc. 2 del fascicolo di primo grado)», alle «istruzioni fornite dalla casa produttrice», alle «affermazioni e produzioni documentali di controparte», al «foglietto illustrativo del farmaco in questione», al «ritiro della cerivastatina dal mercato internazionale»; alla «comunicazione inviata da (OMISSIS) all’allora Ministero della sanità in data 8 agosto 2001, doc. 5 (OMISSIS) del fascicolo di primo grado», al «comunicato n. 329 dell’8 agosto 2001 della Direzione Generale della Valutazione dei Medicinali e della Farmacovigilanza del Ministero della salute, doc. 6 (OMISSIS) del fascicolo di primo grado», al «fallito tentativo di conciliazione della causa», all’interrogatorio libero del «Responsabile della Farmacovigilanza di (OMISSIS) dott. Stefano (OMISSIS)», alle «memorie ex art. 183, VI comma, c.p.c.», alla «prova testimoniale>, alla espletata CTU, alla richiesta di «rinnovazione della CTU», alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di «appello notificato in data 7 febbraio 2013 ( doc. 3 )», alla «relazione tecnica integrativa di “Commenti alla CTU a firma del Prof. Gaetano (OMISSIS) dell’Istituto di Neuroscienze – Sezione di Padova depositata nel corso del giudizio di appello», alla «pag. 24 della CTU svolta nel primo grado di giudizio», alle «pag. 30 e ss. dell’atto di appello», da parte della ricorrente in via principale; al «doc. A/8», al «doc. A/10», al «doc. A/12», al «doc. A/13», al <> ], i requisiti pubblicistici valendo a realizzare solo un minimum di garanzia per il consumatore (v. Corte Giust., 29/5/1997, C-300/95); e considerato, per altro verso, che la valutazione di pericolosità non attiene ai meri dati scientifici ma coinvolge anche la percezione e le aspettative dei consumatori (v. Corte Giust., 11/4/2001, C- 477/00; Corte Giust., 28/10/1992, C-219/91), ad escludere la responsabilità del produttore di farmaci non essendo invero sufficiente la mera prova dello “stato dell’arte”, va osservato che nel rigettare la censura mossa dall’allora appellante ed odierna ricorrente in via principale secondo cui «un prodotto “difettoso” è tale solo quando risulta totalmente inadatto al commercio, e non quando si verifica il rischio di possibili effetti indesiderati, peraltro debitamente segnalati nelle avvertenze come nel caso di specie», sulla scorta delle risultanze dell’espletata CTU, e in considerazione altresì «dei fattori estrinseci (quali obesità e ipertensione) che potevano aver aggravato il quadro clinico», nonché delle modalità di assunzione del farmaco … giudicate corrette dal collegio peritale», la corte di merito ha ribadito la sussistenza nella specie del nesso di causalità tra l’assunzione del farmaco in argomento e la riscontrata «miopatia dei cingoli con dispnee notturne» già ravvisata dal giudice di prime cure, in ragione della «tossicità neuromuscolare della Cerivastatina, principio attivo contenuto anche nel Lipobay … in linea con i riconosciuti rilievi della comunità scientifica».

Ha al riguardo ulteriormente sottolineato come all’accertamento della sussistenza nella specie «del nesso di causa tra l’assunzione del Lipobay e la patologia contratta dal (OMISSIS)» non ostano le «eventuali (e opinabili) sviste del giudice di primo grado nell’esposizione del caso quanto al nomen della patologia di cui si discute», invero «non … significative né idonee ad invalidare il convincimento» al riguardo; e, per altro verso, come risulti del tutto irrilevante la dedotta «mancata coincidenza» tra la patologia sviluppata dall’odierno controricorrente e l’effettuato ritiro volontario dal commercio del «farmaco in questione» per «le problematiche legate alla rischiosità di un’eventuale insorgenza di rabdomiolisi esclusivamente in due specifiche circostanze:

a) ove il Lipobay fosse stato somministrato insieme ad un farmaco contenente un diverso principio attivo (il Gemfibrozil);

b) ove il Lipobay fosse stato somministrato a dosaggi iniziali assai elevati quali lo 0,8 mg ( dose mai assunta dal (OMISSIS) )», nonché, del pari, l’«affermata relazione con le patologie indicate come possibili [effetti] indesiderati nelle avvertenze d’uso», in quanto «al fine di accertare la civile responsabilità del produttore del farmaco nel caso di specie» va «preso in considerazione il giudizio espresso dal CTU sulla relazione tra l’assunzione del Lipobay prodotto dalla S.p.A. (OMISSIS) e la patologia concretamente sviluppata dall’attore».

Orbene, diversamente da quanto del tutto apoditticamente censurato dall’odierna ricorrente [la quale in violazione -come detto- del requisito a pena d’inammissibilità richiesto all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c. si limita a genericamente dolersi della omessa considerazione «di alcuni degli indici di fatto emersi dall’istruttoria svolta nel corso del giudizio (in particolare, la rischiosità insita in qualsiasi farmaco a base di statine di portare all’insorgenza di mialgie e il chiaro contenuto dell’informativa fornita assieme al prodotto Lipobay in rapporto alla natura dei malesseri sofferti dal dott. (OMISSIS))»], dalla pur sintetica motivazione dell’impugnata sentenza -resa (anche) a fronte di analoghe censure dall’odierna ricorrente e allora appellante anche in quella sede proposte- emerge come in sostanziale applicazione della disciplina comunitaria nonché del Codice del consumo nell’impugnata sentenza la corte di merito abbia invero ravvisato l’esistenza nella specie della difettosità del farmaco in argomento al momento della relativa commercializzazione a cagione del principio attivo (cerivastatina) in esso contenuto, determinante l’accentuato rischio di malattie del muscolo rispetto a dosi equipollenti di altre statine, e, pertanto, una minore sicurezza del medesimo rispetto ad altri farmaci della stessa categoria (ipocolesterolemizzanti) evidenziata nell’espletata CTU.

Farmaco di cui è stata accertata la decisiva rilevanza causale nella determinazione della «malattia dei cingoli con dispnee notturne» sofferta dall’odierno controricorrente e ricorrente in via incidentale, siffatta «patologia concretamente sviluppata» avendo invero nello specifico caso de quo costituito sintomatica ipotesi di concretizzazione di uno dei paventati rischi che hanno indotto l’odierna ricorrente al relativo ritiro dal commercio (che, pur se volontario, depone invero per la violazione del principio di precauzione anteriormente all’immissione in commercio) al fine di evitare, attesa la riconosciuta tossicità neuromuscolare, la causazione di patologie (quale in particolare la rabdonniolisi) dei muscoli ai relativi assuntori.

In altri termini, il farmaco difettoso di cui trattasi ha nello specifico caso concreto in esame assunto carattere anche dannoso.

Considerato, sotto altro profilo, che ad escludere la responsabilità del produttore di farmaci non è invero sufficiente nemmeno la mera prova di aver fornito -tramite il foglietto illustrativo ( c.d. “bugiardino” )- un’informazione che si sostanzi in una mera avvertenza generica circa la non sicurezza del prodotto ( cfr. Cass., 15/3/2007, n. 6007 ), essendo necessaria un’avvertenza idonea a consentire al consumatore di acquisire non già una generica consapevolezza in ordine al possibile verificarsi dell’indicato pericolo in conseguenza dell’utilizzazione del prodotto bensì di effettuare una corretta valutazione (in considerazione delle peculiari condizioni personali, della particolarità e gravità della patologia nonché del tipo di rimedi esistenti) dei rischi e dei benefici al riguardo, nonché di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l’insorgenza del danno, e pertanto di volontariamente e consapevolmente esporsi al rischio ( con eventuale suo concorso di colpa ex art. 1227 c.c. in caso di relativa sottovalutazione o di abuso del farmaco ), non può infine sottacersi che, a fronte di specifica censura dall’odierna ricorrente e allora appellante mossa ( anche ) in sede di gravame («La compagnia farmaceutica … precisa che … non poteva esservi alcun nesso causale tra l’assunzione del farmaco e l’insorgenza della malattia invalidante denunciata dall’attore, il cui rischio era del resto segnalato anche nel foglio delle avvertenze inserito nelle confezioni in vendita»), la corte di merito ha ritenuto le indicazioni recate nel foglio delle avvertenze ( c.d. “bugiardino” ) nella specie invero inidonee ad escluderne la responsabilità (in argomento cfr. Cass., 7/3/2019, n. 6587).

Con riferimento all’obbligo del consenso informato del paziente quale legittimazione e fondamento del trattamento sanitario (cfr. altresì, da ultimo, Cass., 10/12/2019, n. 32124) alla stregua delle risultanze dell’espletata CTU sulla base di una valutazione, effettuata secondo il criterio della prognosi postuma ex ante (avuto cioè riguardo alle circostanze esistenti al momento dell’esercizio dell’attività ).

La corte di merito ha pertanto confermato la decisione del giudice di prime cure sul punto sulla base di una valutazione, implicante accertamenti di fatto, spettante al giudice del merito e non sindacabile in sede di legittimità in presenza come nella specie di motivazione (più sopra riportata) congrua (cfr. Cass., 19/7/2018, n. 19180, Cfr. altresì, con riferimento a differenti fattispecie, Cass., 15/2/2019, n. 4545; Cass. 20/5/2015, n. 10268; Cass. 19/1/2007, n. 1195), e in ogni caso non meramente apparente -e pertanto inesistente- (cfr. Cass., 30/6/2020, n. 13248; Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34476; Cass., 30/5/2019, n. 14754; Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053).

Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni del ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366, 1° co. n. 6, c.p.c., in realtà si risolvono nella mera doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell’art. 360 c.p.c., in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi ( cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443 ).

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi consegue il rigetto dei ricorsi, principale e incidentale.

Stante la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi.

Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.p.r.  30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della  sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma, l’11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2021.