La richiesta di pena sostitutiva non sospende l’esecuzione di pene concorrenti (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 21 maggio 2025, n. 18938).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

PRIMA SEZIONE PENALE

Composta da:

GIACOMO ROCCHI – Presidente –

GIORGIO POSCIA – Consigliere –

EVA TOSCANI – Consigliere –

ALESSANDRO CENTONZE – Relatore –

MARCO MARIA MONACO – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(OMISSIS) (OMISSIS), nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso l’ordinanza emessa il 29/01/2025 dalla Corte di appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alessandro Centonze;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, Dott. Gianluigi Pratola, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 29 gennaio 2025 la Corte di appello di Palermo, decidendo quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da (OMISSIS) (OMISSIS), finalizzata a ottenere la revoca o la sospensione dell’ordine di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo il 18 novembre 2024, per la pena complessiva di due anni, quattro mesi e ventotto giorni di reclusione, alla quale andava aggiunto il recupero di 309,00 euro di multa.

L’ordine di esecuzione emesso nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS), in particolare, riguardava la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 25 maggio 2010, divenuta irrevocabile il 5 maggio 2023 (n. 1); la sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 24 ottobre 2018, divenuta irrevocabile il 5 giugno 2023 (n. 2); la sentenza emessa dalla Corte di appello di Palermo il 22 marzo 2023, divenuta irrevocabile il 4 dicembre 2023 (n. 3).

2. Avverso questa ordinanza (OMISSIS) (OMISSIS), a mezzo dell’avv. (OMISSIS) (OMISSIS), proponeva ricorso per cassazione, articolando due, correlate, censure difensive.

Con il primo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo disposto la sospensione del provvedimento di cumulo emesso nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS), nonostante fosse pendente la decisione del Tribunale di Palermo sull’istanza di concessione della pena sostitutiva avanzata in relazione alla sentenza di cui al punto 1 del titolo posto in esecuzione, ai sensi dell’art. 20-bis cod. pen.

La mancata sospensione dell’esecuzione, peraltro, appariva ancora più ingiustificata alla luce del fatto che, per le decisioni irrevocabili di cui ai punti 2 e 3 del titolo esecutivo in questione, con ordinanza del 9 ottobre 2024, il Tribunale di sorveglianza di Palermo aveva concesso al ricorrente la misura alternativa della detenzione domiciliare.

Con il secondo motivo di ricorso si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per non avere il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo disposto la sospensione del provvedimento di cumulo emesso nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) il 18 novembre 2024, sebbene il titolo esecutivo attivato nei confronti del condannato fosse inferiore al limite edittale di quattro anni, rilevante ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.

Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso proposto da (OMISSIS) (OMISSIS) è infondato.

2. Deve, innanzitutto, ritenersi infondato il primo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, per non avere il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo disposto la sospensione del provvedimento di cumulo emesso nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) il 18 novembre 2024, nonostante pendesse l’istanza di concessione della pena sostitutiva avanzata in relazione alla sentenza di cui al punto 1 del titolo esecutivo controverso, ai sensi dell’art. 20-bis cod. pen.

Osserva il Collegio che l’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., così come riformulato dall’art. 38, comma 1, lett. a), n. 2, d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia), tra l’altro, prevede: «Se la pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non è superiore a tre anni, quattro anni nei casi previsti dall’articolo 47-ter, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, o sei anni nei casi di cui agli articoli 90 e 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, il pubblico ministero, salvo quanto previsto dai commi 7 e 9, ne sospende l’esecuzione.

L’ordine di esecuzione e il decreto di sospensione sono notificati al condannato e al difensore nominato per la fase dell’esecuzione o, in difetto, al difensore che lo ha assistito nella fase del giudizio, con l’avviso che entro trenta giorni può essere presentata istanza, corredata dalle indicazioni e dalla documentazione necessarie, volta ad ottenere la concessione di una delle misure alternative alla detenzione di cui agli articoli 47, 47-ter e 50, comma 1, della legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, e di cui all’articolo 94 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, e successive modificazioni, ovvero la sospensione dell’esecuzione della pena di cui all’articolo 90 dello stesso testo unico […]».

Tale novellata disposizione, a ben vedere, si pone in linea di continuità con la declaratoria di incostituzionalità dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., pronunciata dalla Corte costituzionale con la sentenza 6 febbraio 2018, n. 41, per effetto della quale, in presenza di una pena detentiva superiore a tre anni ma inferiore a quattro anni, il condannato deve essere messo nelle condizioni di potere richiedere, in condizioni di libertà, la concessione di una misura alternativa alla detenzione.

Con tale pronuncia, in particolare, veniva dichiarata «l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, del codice di procedura penale, nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, non superiore a tre anni, anziché a quattro anni» (Corte cost., sent. n. 41 del 2018).

Tuttavia, questa disciplina non è esportabile, sic et simpliciter, alle pene sostitutive delle pene detentive brevi previste dall’art. 20-bis cod. pen., così come introdotto dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022, che consente l’applicazione di tali strumenti sanzionatori su richiesta del condannato, senza prevedere espressamente che il pubblico ministero sia tenuto a sospendere l’ordine di esecuzione in pendenza del procedimento relativo alla concessione della misura in questione.

Né potrebbe essere diversamente, atteso che il novellato art. 656, comma 5, cod. proc. pen. non fa alcun riferimento alle pene sostitutive delle pene detentive brevi introdotte dall’art. 20-bis cod. pen. ovvero alle misure previste dalla legge 24 novembre 1981, n. 689, nel cui ambito disciplinatorio si inseriscono gli strumenti sanzionatori introdotti dall’art. 1, comma 1, lett. a), d.lgs. n. 150 del 2022.

Ne discende che la richiesta di una misura alternativa alla detenzione, presentata ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., è soggetta al termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica dell’ordine di esecuzione, che deve essere preventivamente sospeso dal pubblico ministero procedente; viceversa, la presentazione di un’istanza di applicazione di pene sostitutive delle pene detentive brevi, ex art. 20-bis cod. pen., non è soggetta alla sospensione prevista per le misure alternative alla detenzione dall’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.

In questa, novellata, cornice sistematica, deve rilevarsi che, al contrario di quanto dedotto dalla difesa del ricorrente, la pendenza del procedimento relativo alla richiesta di una pena sostitutiva avanzata da (OMISSIS) (OMISSIS), ex art. 20-bis cod. pen., in relazione alla sentenza irrevocabile di cui al punto 1 del titolo esecutivo presupposto, pronunciata dal Tribunale di Palermo il 25 maggio 2010, non legittimava la sospensione dell’ordine di esecuzione di pene concorrenti emesso dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo il 18 novembre 2024.

Né, per altro verso, in assenza di obblighi di sospensione del titolo esecutivo, rilevanti ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen., assumeva alcun rilievo la circostanza che, per le decisioni irrevocabili di cui ai punti 2 e 3 del titolo esecutivo controverso, con ordinanza del 9 ottobre 2024, il Tribunale di sorveglianza di Palermo aveva già concesso al ricorrente la detenzione domiciliare.

Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del primo motivo di ricorso.

3. Analogo giudizio di infondatezza deve essere espresso per il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, per non avere il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo disposto la sospensione del provvedimento di cumulo emesso nei confronti di (OMISSIS) (OMISSIS) il 18 novembre 2024, sebbene il titolo esecutivo attivato nei confronti del condannato fosse inferiore al limite edittale di quattro anni, rilevante ai sensi dell’art. 656, comma 5, cod. proc. pen.

Osserva il Collegio che il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo non disponeva la sospensione dell’ordine di esecuzione emesso il 18 novembre 2024, in ragione del fatto che la misura alternativa della detenzione domiciliare concessa per le sentenze irrevocabili di cui ai punti 2 e 3 del titolo esecutivo controverso, al momento della presentazione dell’istanza di applicazione di pena sostitutiva, ex art. 20-bis cod. pen., era in corso di esecuzione.

Ne discende che, nel caso di specie, non ci si trovava di fronte a due titoli esecutivi sottoposti a sospensione, ex art. 656, comma 5, cod. proc. pen., ma non ancora eseguiti, ai quali si aggiungeva un ulteriore titolo esecutivo non attivato dal pubblico ministero competente, ma alla diversa situazione processuale prefigurata dall’art. 51-bis Ord. pen., dalla quale non scaturiva alcun obbligo di sospensione della pena irrogata con la decisione irrevocabile sopravvenuta.

Ci si trovava, pertanto, in presenza di una misura alternativa alla detenzione in corso di esecuzione, relativa alle sentenze irrevocabili di cui punti 2 e 3 del titolo esecutivo presupposto, sulla quale si innestava un’ulteriore condanna, riguardante la decisione di cui al punto 1, sussumibile nella situazione prefigurata dall’art. 51-bis Ord. pen., secondo cui, in ipotesi di questo genere, il «magistrato di sorveglianza, tenuto conto del cumulo delle pene, se rileva che permangono le condizioni di applicabilità della misura in esecuzione, ne dispone con ordinanza la prosecuzione; in caso contrario, ne dispone la cessazione e ordina l’accompagnamento del condannato in istituto».

Queste ragioni impongono di ribadire l’infondatezza del secondo motivo di ricorso.

4. Le considerazioni esposte impongono conclusivamente il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso, il 08/05/2025

Il Consigliere estensore                                                                                                       Il Presidente

ALESSANDRO CENTONZE                                                                                              GIACOMO ROCCHI

Depositato in Cancelleria, oggi 21 maggio 2025.

SENTENZA

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