L’avvocato dell’imputato si duole dell’eccessività della pena; la pena base indicata dal giudice di primo grado per il calcolo della pena applicata era superiore al massimo edittale (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 6 novembre 2020, n. 31013).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Rel. Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) IVAN GIUSEPPE nato a (OMISSIS) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 26/04/2019 della CORTE APPELLO di POTENZA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE SANTALUCIA;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa KATE TASSONE che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata poiché il reato è estinto per prescrizione;

udito il difensore L’avv. DE BENEDICTIS TATIANA si riporta al ricorso.

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Potenza ha dichiarato con sentenza dibattimentale l’inammissibilità dell’appello proposto da Ivan (OMISSIS) avverso la sentenza con cui il Tribunale di Matera, in data 30 giugno 2016, lo ha condannato per il reato di cui all’art. 75, comma 1, d. Igs. n. 159 del 2011, in quanto, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, aveva contravvenuto agli obblighi di vivere onestamente, di rispettare le leggi e di non rincasare la sera più tardi delle ore 21,00 e di non uscire la mattina prima delle ore 6,00 senza comprovata necessità e senza aver dato tempestiva notizia all’Autorità di Polizia, siccome sorpreso nella flagranza dl reato di tentato furto aggravato, in concorso, in danno di un esercizio commerciale, in Materia il 5 maggio 2015.

2. La Corte di appello ha osservato che il motivo relativo alla quantificazione della pena e al diniego delle attenuanti generiche è stato formulato in modo aspecifico; quanto alla richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione con altra sentenza, di cui peraltro non è stata integrata la produzione “in copia conforme e con attestazione di irrevocabilità”, ha rilevato che essa non costituisce motivo di censura, trattandosi di profilo sopravvenuto alla sentenza impugnata, autonomamente valutabile anche in sede esecutiva.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore di Ivan Giuseppe (OMISSIS), che ha articolato più motivi.

3.1. Con il primo motivo ha dedotto vizio di violazione di legge. Il giudizio di primo grado si svolse con il rito abbreviato, sicché anche quello di appello avrebbe dovuto svolgersi con le forme camerali.

Questa violazione di legge processuale è stata eccepita dalla difesa in via preliminare nel giudizio di appello, con memoria depositata prima della udienza ed è stata reiterata, sempre in via preliminare, all’udienza.

Già nel decreto di citazione a giudizio mancava l’avvertimento che si sarebbe proceduto in camera di consiglio, omissione capace di integrare una violazione delle norme sul contraddittorio.

L’imputato, peraltro, era detenuto fuori distretto per altra causa, condizione risultante dalla sentenza di primo grado e attestata anche in quella di appello.

Egli non ha avuto la possibilità di essere ascoltato dal Magistrato di sorveglianza del luogo di detenzione e non gli è stata data la possibilità di intervenire e partecipare al processo.

3.2. Con il secondo motivo ha dedotto difetto di motivazione.

Il motivo di appello in ordine alla quantificazione della pena è stato erroneamente ritenuto generico.

Con esso si era denunciato che il giudice di primo grado aveva individuato la pena base in una misura eccessiva, addirittura superiore al massimo edittale. Dunque, si lamentava in modo chiaro e preciso un errore di calcolo.

3.3. Con il terzo motivo ha dedotto difetto di motivazione.

La difesa, con apposita memoria, produsse in giudizio copia della sentenza, con attestazione di irrevocabilità, relativa al reato da porre in continuazione, e non risponde pertanto al vero quanto affermato nel provvedimento impugnato, ossia che non fu integrata la produzione documentale.

3.4. Con successivo motivo, proposto in via subordinata, ha dedotto vizio di violazione di legge per il mancato riconoscimento della diminuente per il rito abbreviato nella misura di metà, invece che di un terzo, della pena irrogata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso merita accoglimento per le ragioni di seguito esposte.

2. Va preliminarmente escluso che sia già maturato il termine di prescrizione del reato, sì come invece ritenuto dal Procuratore generale che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza.

Il reato fu commesso, come risulta dall’imputazione, il 5 maggio 2015.

Il termine di prescrizione è pari ad anni quattro in ragione della natura contravvenzionale dell’addebito, ed esso va aumentato per effetto dell’interruzione ad anni cinque, e ulteriormente arricchito dei periodi di sospensione, specificamente dal 23 novembre 2018 – quando fu disposto il rinvio dell’udienza del giudizio di appello per adesione del difensore all’astensione collettiva proclamata dall’associazione di categoria – al 2 aprile 2019; e dal 9 marzo all’11 maggio 2020, arco temporale di sospensione della prescrizione per tutti i processi pendenti, per effetto della disposizione di cui all’art. 83 d. I. n 18 del 2020, conv. con modif. con la legge n. 27 del 2020, come modificata dall’art. 36 del d. I. n. 23 del 2020, conv. con modif. con la legge n. 40 del 2020, in ragione dello stato -di emergenza collegato alla pandemia da Covid-19-.

2.1. Il termine complessivo di prescrizione, computato l’effetto interruttivo e i periodi di sospensione prima indicati – salva l’eventualità che, ad un approfondito esame degli atti, ne emergano di altri – andrà a scadere non prima del 18 dicembre 2020, con la conseguenza che il reato non può dirsi estinto.

3. L’atto di appello denunciò l’eccessività della pena e con successiva memoria il difensore impugnante specificò la doglianza rilevando che la pena base indicata dal giudice di primo grado per il calcolo della pena infine applicata era superiore al massimo edittale.

Il vizio dedotto con l’atto di appello trova riscontro nella sentenza di primo grado, che irrogò una pena di certo eccessiva, individuando la pena base in “anni uno e mesi tre di arresto”, di ben tre mesi superiore al massimo edittale che è pari a mesi dodici.

Il giudice di primo grado, pertanto, fece applicazione di una pena illegale, sicché non può essere qualificato inammissibile, per genericità, l’atto di appello che lamentò l’eccessività del trattamento sanzionatorio.

4. Nel corso del giudizio di appello, come risulta dagli atti del processo, fu prodotta a cura del difensore impugnante copia della sentenza di condanna avente ad oggetto il reato per il quale si deduceva l’esistenza del vincolo di continuazione con quello sub iudice.

Il giudice di appello avrebbe dovuto prender cognizione della richiesta di riconoscimento della continuazione, a nulla rilevando, a fronte di una specifica sollecitazione della difesa, che il reato continuato può essere accertato in sede esecutiva.

5. Non ha invece pregio il primo motivo di ricorso.

Non è dubbio che, svoltosi il giudizio di primo grado nelle forme del giudizio abbreviato, il giudizio di appello si sarebbe dovuto tenere in forma camerale, secondo quanto previsto dall’art. 599 cod. proc. pen.

L’inosservanza del precetto normativo, però, non ha inciso, comprimendole, su facoltà e garanzie della difesa, dal momento che il rito con udienza pubblica accorda tutela all’imputato in misura non inferiore rispetto al rito camerale.

L’assenza di concreti pregiudizi per la parte impugnante impedisce di scorgere nella dedotta violazione di legge una nullità d’ordine generale, e pertanto non si è di fronte ad un vizio deducibile come motivo di ricorso per cassazione.

6. Per quanto esposto ai punti 2. e 3., la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, per nuovo giudizio, alla Corte di appello di Salerno che, nel valutare l’impugnazione, erroneamente dichiarata inammissibile dal giudice dell’appello, terrà conto, secondo quanto dedotto dal ricorrente con il motivo subordinatamente proposto, della novella normativa, sopravvenuta alla sentenza di primo grado, che ha determinato la diminuente per il rito abbreviato, ove oggetto della sentenza sia un reato contravvenzionale, nella metà e non nel terzo della pena da irrogarsi – v., tra le altre, Sez. 4, n. 5034 del 15/01/2019, Lazzara, Rv. 275218, secondo cui l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., come novellato dalla legge 23 giugno 2017, n. 103 (nella parte in cui prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione, la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà, anziché di un terzo come previsto dalla previgente disciplina) si applica anche alle fattispecie anteriori, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile, ai sensi dell’art. 2, quarto comma, cod. pen., in quanto, pur essendo norma di carattere processuale, ha effetti sostanziali, comportando un trattamento sanzionatorio più favorevole seppure collegato alla scelta del rito -.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Salerno.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 novembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.