Lecito per il senzatetto portar con sé un coltellino multiuso (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 8 febbraio 2022, n. 4436).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente –

Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere –

Dott. DI PAOLA Sergio – Rel. Consigliere –

Dott. AGOSTINACCHIO Luigi – Consigliere –

Dott. IMPERIALI Luciano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) MARINO nato a LATISANA il 09/01/19xx;

avverso la sentenza del 28/09/2020 della Corte d’appello di Trieste;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Sergio Di Paola;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott.ssa Valentina Manuali che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

udito l’Avv. Federico (OMISSIS) che ha concluso chiedendo annullarsi la sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Trieste, con la sentenza impugnata in questa sede, ha confermato la condanna alle pene di giustizia pronunciata dal Tribunale di Udine in data 7 febbraio 2018 nei confronti di (OMISSIS) Marino per il reato di cui all’art. 707 cod. pen., colto nel possesso di un coltellino multiuso mentre di trovava, di mattino, in attesa ad una fermata del servizio pubblico di trasporto.

2. Propone ricorso per cassazione la difesa dell’imputato deducendo, con il primo motivo, violazione della legge penale in relazione all’art. 707 cod. pen.; la Corte territoriale aveva ritenuto che fosse sufficiente per l’affermazione di responsabilità il mero dato del possesso dello strumento e della sua attitudine “potenziale” nell’essere utilizzato per forzare serrature o porte, senza alcuna valutazione circa le circostanze di tempo e di luogo, oltre che della condotta tenuta dal soggetto agente, da apprezzare nel momento in cui avveniva il ritrovamento dell’oggetto, che ben potevano renderne giustificata la destinazione.

2.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge, in relazione all’art. 707 cod. pen., nella misura in cui la sentenza impugnata aveva ritenuto che la giustificazione dell’attuale destinazione dello strumento rinvenuto nella disponibilità dell’imputato dovesse esser fornita solo nel momento dell’accertamento e non anche mediante successive deduzioni difensive (come avvenuto nella specie) ed esclusivamente attraverso le dichiarazioni del soggetto, ignorando circostanze obiettive da cui poter egualmente desumersi la lecita destinazione dello strumento.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

Le questioni che il ricorrente pone con i due motivi di ricorso sono strettamente connesse tra loro perché delineano il perimetro degli elementi costituivi della fattispecie incriminatrice, la ripartizione degli oneri di prova dei fatti rilevanti per la dimostrazione di quegli elementi e delle condizioni che rendono il fatto penalmente irrilevante, le modalità di acquisizione di tali prove.

Il reato previsto dall’art. 707 cod. pen. richiede per la sua configurabilità il ricorrere del dato oggettivo del possesso, ovvero dell’immediata disponibilità, di determinati oggetti (idonei a forzare o aprire serrature) e del dato soggettivo riferito allo status dell’agente (l’esser già stato condannato in via definitiva per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni per la prevenzione di delitti contro il patrimonio); la circostanza che la relazione con gli oggetti indicati possa risultare giustificata in relazione ad usi leciti degli strumenti rappresenta una condizione, per così dire, negativa della fattispecie poiché, ove dimostrata, esclude la rilevanza penale del fatto.

Considerando in questa prospettiva la struttura della fattispecie tipica, la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che «in tema di possesso ingiustificato di arnesi atti allo scasso, previsto dall’art. 707 cod. pen., è sufficiente ai fini della configurabilità del reato il suddetto possesso o la loro immediata disponibilità, incombendo all’imputato l’obbligo di dare una seria giustificazione della destinazione attuale e lecita degli strumenti rinvenuti presso di lui» (Sez. 2, n. 52523 del 03/11/2016 , Chicchi, Rv. 268410 – 01; Sez. 5, n. 1304 del 14/11/1985, dep. 1986, Ferloni, Rv. 171854 – 01; Sez. 5, n. 8315 del 06/06/1984, Battocchio, Rv. 166010 – 01; Sez. 6, n. 927 del 19/04/1969, Baunngartner, Rv. 112150 – 01).

Si tratta di principio che non viola i parametri costituzionali fissati dagli artt. 24 e 27 Cost., poiché non introduce una non consentita inversione dell’onere della prova dal momento che «anche la giustificazione è, essa stessa, un mezzo di difesa offerto dalla legge, al quale l’interessato può liberamente rinunciare qualora ritenga che, ai fini difensivi, sia preferibile il silenzio», fermo restando che spetta comunque «al giudice di valutare aliunde il fatto, sulla scorta di prove (documentali, testimoniali ecc.), che potrebbero essere fornite e addotte sia da chi si è rifiutato di fornire la giustificazione verbale, sia dalla sua difesa tecnica (che resta piena, incondizionata ed autonoma) o che potrebbero essere introdotte od ammesse ex officio» (Corte cost. n. 236 del 30/10/1975; nello stesso senso, relativamente alla clausola di esclusione della rilevanza penale collegata alla sussistenza di un “giustificato motivo”, Corte cost. n. 5 del 13/1/2004).

Fissato tale principio, va osservato che l’onere probatorio riguardante la sussistenza di circostanze di tempo e di luogo, oltre che quelle concernenti la destinazione degli strumenti, idonee a render lecita la loro disponibilità, può essere assolto con modalità differenziate, atteso che non sono previsti limiti di natura temporale per fornire la giustificazione richiesta dalla norma (non essendovi un obbligo da assolvere solo al momento della sorpresa in flagranza, diversamente limitando in modo ingiustificato l’esercizio delle facoltà difensive) ed essendo comunque riservata al giudice di merito la valutazione della relativa prova, comunque fornita, anche in ipotesi di tardiva discolpa (Sez. 2, n. 6929 del 14/06/1996, Sandri, Rv. 205411 – 01).

Ma ciò che più rileva, per assicurare una lettura costituzionalmente coerente della disposizione incriminatrice, è la necessità che l’accertamento della responsabilità sia frutto della verifica circa l’attuale destinazione dello strumento, verifica che deve divenire maggiormente penetrante quanto più l’oggetto incriminato non presenti in sé caratteristiche di evidente destinazione allo scopo dell’apertura o della forzatura delle serrature, al fine di render effettivo il riscontro circa il pericolo concreto e attuale contro il patrimonio che testimonia la determinatezza della fattispecie incriminatrice oltre il mero dato del possesso (Corte cost. n. 225 del 20/6/2008).

Dunque, tale verifica, ove possibile già attraverso gli elementi probatori acquisiti, deve essere compita anche d’ufficio dal giudice per “evitare che – a fronte della descrizione, per certi versi, non particolarmente perspicua del fatto represso – la norma incriminatrice venga a colpire anche fatti concretamente privi di ogni connotato di pericolosità.

A tal fine, il giudice dovrà procedere ad un vaglio accurato sia dell’attitudine funzionale degli strumenti ad aprire o a sforzare serrature; sia delle modalità e delle circostanze di tempo e di luogo con cui gli stessi sono detenuti. In particolare, quanto meno univoca ed esclusiva risulti la destinazione dello strumento allo scasso – come nel caso in cui si discuta di oggetti di uso comune, suscettibili di impieghi diversi e leciti – tanto più significative dovranno risultare le modalità e le circostanze spazio-temporali della detenzione, nella direzione dell’esistenza di un attuale e concreto pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio (sentenza n. 265 del 2005)» (Corte cost. 225/2008 cit.).

Risultano, pertanto, fondati i rilievi del ricorrente in punto di errata applicazione delle norme di diritto, che si sono manifestate nell’omessa considerazione delle circostanze di fatto emerse nel processo e da cui si traevano elementi di prova sulla destinazione lecita della disponibilità dello strumento rinvenuto: dagli atti allegati al ricorso, infatti, e dallo stesso tenore della sentenza impugnata emergono sia la condizione personale dell’imputato, soggetto privo di fissa dimora, sia la fattualità riguardante il momento del controllo, che convergono nella ragionevole ricostruzione della detenzione del coltello multiuso per soddisfare esigenze della vita quotidiana e della necessità di portare con sé (in difetto di un luogo fisico stabilmente destinato alla propria abitazione) quello strumento.

2. La sentenza impugnata deve pertanto esser annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso il 24.11.2021.

Depositata in Cancelleria l’8 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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Fonte del video: “ANSA”