Legge 104: il diritto al trasferimento non è garantito (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 13 agosto 2021, n. 22885).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLOANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17052-2015 proposto da:

(OMISSIS) MARIA CONCETTA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) 77, presso lo studio dell’avvocato MICHELE (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia, ex lege, in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1159/2014 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 02/02/2015 R.G.N. 17052/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/03/2021 dal Consigliere, Dott.ssa CATERINA MAROTTA.

Rilevato che:

1. con sentenza n. 1159/2014 pubblicata il 2 febbraio 2015, la Corte d’appello di Torino, pronunciando sull’impugnazione proposta da Maria Concetta (OMISSIS) nei confronti del Ministero della Giustizia, confermava la decisione del locale Tribunale (seppur con motivazione parzialmente diversa) che aveva respinto la domanda della (OMISSIS), in servizio presso l’Ufficio del Giudice di Pace di Torino col ruolo di cancelliere II area F4, volta a far accertare il proprio diritto ad ottenere, ai sensi dell’art. 33, comma 5, I. n. 104/1992 il trasferimento presso gli Uffici Giudiziari di Catania per poter assistere la madre portatrice di handicap grave (100%) e per l’effetto sentire ordinare all’Amministrazione di disporre il suo trasferimento;

2. riteneva la Corte territoriale che l’art. 33, comma 5, I. n. 104/1992 non configurasse un diritto assoluto del lavoratore, tanto che la norma precisa che il diritto alla scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere sussiste solo “ove possibile”;

sosteneva che il posto presso l’Amministrazione oltre ad essere vacante dovesse, quindi, anche essere reso disponibile dall’Amministrazione mediante un provvedimento di copertura, rispondente alle esigenze e alle necessità organizzative della stessa Amministrazione;

evidenziava che la (OMISSIS), nel caso di specie, non avesse provato la “disponibilità” del posto vacante presso gli Uffici Giudiziari di Catania;

riteneva irrilevante che presso il Distretto di Catania taluni posti, tra cui 8 posti di cancelliere, da vacanti fossero divenuti disponibili essendo stato disposto (previo accordo sulla mobilità del personale del 9.10.2012) interpello distrettuale per la relativa copertura, trattandosi di disponibilità riservata e limitata alla categoria dei “perdenti posto”, divenuti tali a seguito della soppressione di alcuni uffici giudiziari (d.lgs. n. 155 e n. 156 del 2012);

sottolineava che la (OMISSIS) non appartenesse alla categoria dei “perdenti posto” (che solo avrebbero potuto, sussistendone i presupposti, chiedere di usufruire del beneficio di cui all’art. 33, comma 5, della I. n. 104/1992), e che la soppressione degli uffici giudiziari e la disponibilità dei posti vacanti si fosse verificata solo in epoca successiva alla domanda di trasferimento della ricorrente e alla sua reiezione;

la Corte territoriale, riteneva, dunque, che, anche a voler considerare che, contrariamente all’assunto del Tribunale, la (OMISSIS) avesse allegato all’istanza di trasferimento l’attestato di handicap grave della propria madre, e quand’anche alla stessa fossero stati chiesti i chiarimenti o inviato il preavviso di rigetto di cui agli artt. 6 e 10 bis I. n. 241/1990, la stessa non avrebbe ugualmente ottenuto il trasferimento per carenza, o comunque per mancanza di allegazione e prova di esistenza, di posti “disponibili” (nel senso sopra specificato);

3. Maria Concetta (OMISSIS) ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza, affidato a due motivi, al quale il Ministero della Giustizia ha opposto difese con tempestivo controricorso.

Considerato che:

1. con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 33, comma 5, I. n. 104/1992 e ss.mm.ii. in relazione alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.;

censura la sentenza impugnata per aver subordinato il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere ad un potere discrezionale dell’Amministrazione; assume che il diritto previsto dall’art. 33, comma 5, I. n. 104/1992 non possa essere ridotto a mero titolo di preferenza della procedura concorsuale interna;

2. con il secondo motivo, in subordine, la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.;

lamenta che il mancato esame dei doc. nn. 5 e 6, depositati in appello, riguardanti la pianta organica della Corte d’Appello di Catania e della Procura della Repubblica per i Minorenni di Catania abbia determinato una decisione errata della Corte territoriale, atteso che dagli stessi si evinceva la sussistenza di altri posti vacanti presso gli Uffici Giudiziari di Catania;

3. il primo motivo di ricorso non è fondato;

3.1. la Corte territoriale ha correttamente interpretato la norma di cui all’art. 33, comma 5, I. n. 104/1992;

questa Corte di legittimità ha più volte ribadito che il diritto di scelta della sede più vicina al domicilio della persona invalida da assistere non è un diritto soggettivo assoluto ed illimitato ma è assoggettato al potere organizzativo dell’Amministrazione che, in base alle proprie esigenze organizzative, potrà rendere il posto “disponibile” tramite un provvedimento di copertura del posto “vacante”;

in tale senso è stato interpretato l’inciso “ove possibile” dell’art. 33, comma 5, I. n. 104/1992, quale necessario bilanciamento degli interessi in conflitto (interesse al trasferimento del dipendente ed interesse economico- organizzativo del datore di lavoro) soprattutto in materia di rapporto di lavoro pubblico laddove tale bilanciamento riguarda l’interesse della collettività (Cass. 25 gennaio 2006, n. 1396; Cass., Sez. Un., 27 marzo 2008, n. 7945; Cass. 18 febbraio 2009, n. 3896; Cass. 30 marzo 2018, n. 7981; Cass. 22 febbraio 2021, n. 4677);

3.2. come è stato evidenziato, l’art. 33, comma 5, I. n. 104/1992 disciplina uno strumento indiretto di tutela in favore delle persone in condizione di handicap, attraverso l’agevolazione del familiare lavoratore nella scelta della sede ove svolgere l’attività lavorativa al fine di rendere quest’ultima il più possibile compatibile con la funzione solidaristica di assistenza del soggetto invalido ma non è l’unico strumento posto a tutela della solidarietà assistenziale;

3.3. il diritto del genitore o del familiare lavoratore, che assiste con continuità un portatore di handicap, di scegliere la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e di non essere trasferito ad altra sede senza il proprio consenso, disciplinato dall’art. 33, comma 5, della I. n. 104 del 1992, non si configura come assoluto ed illimitato, giacché esso – come dimostrato dall’inciso “ove possibile” – può essere fatto valere alla stregua di un equo bilanciamento tra tutti gli interessi coinvolti (costituzionalmente rilevanti);

in particolare, il suo esercizio non può ledere le esigenze economiche, produttive od organizzative del datore di lavoro e, soprattutto nei casi di rapporto di lavoro pubblico, non può tradursi in un danno per l’interesse della collettività (Cass., Sez. Un., n. 7945 del 2008 cit.);

3.4. la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi alla fattispecie dedotta in giudizio avendo affermato che il diritto al trasferimento ai sensi dell’art. 33, comma 5, I. n. 104 del 1992 sussiste ove ricorra il requisito della “vacanza” del posto e ove il posto sia anche reso “disponibile” dalla decisione organizzativa della P.A. di coprire il posto vacante;

3.5. con riguardo all’organizzazione delle amministrazioni pubbliche, soprattutto a seguito del processo di “privatizzazione”, si deve, pertanto, ribadire che il diritto al trasferimento, riconosciuto dall’art. 33, comma 5, della I. n. 104 del 1992, non può assumere quale esclusivo presupposto la vacanza del posto a cui il lavoratore richiedente aspira;

3.6. il diritto di scelta della sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere non è, infatti, assoluto e privo di condizione in quanto l’inciso “ove possibile” contenuto nell’art. 33, comma 5, della I. n. 104/1992 postula un adeguato bilanciamento degli interessi in conflitto, di tal che, in caso di trasferimento a domanda, l’esigenza familiare è di regola recessiva rispetto a quella di servizio (v. in tal senso v. anche Cass. 14 maggio 2018, n. 11651), essendo, ad esempio, necessario, per scongiurare un danno per la collettività, garantire la copertura e la continuità del servizio stesso, oltre che la stessa funzionalità della sede a quo, piuttosto che valutare l’impatto sulla sede ad quem;

3.7. così è da escludere che si possa dar luogo ad un trasferimento in posizione soprannumeraria dovendo sussistere innanzitutto la vacanza del posto nella sede in cui il lavoratore aspira essere trasferito;

3.8. il presupposto della “vacanza” (peculiarità delle organizzazioni pubbliche, in quanto riflesso delle cd. “piante organiche”) esprime, peraltro, una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa della P.A. che deve esprimere l’interesse concreto ed attuale di procedere alla sua copertura, rendendo per tal via disponibile la vacanza, pena la compressione delle esigenze organizzative della P.A. (v. sempre Cass.n. 11651/2018 cit.); 3.9. la vacanza del posto è, dunque, condizione necessaria ma non sufficiente;

l’Amministrazione resta libera di decidere di coprire una data vacanza ovvero di privilegiare altre soluzioni e le sue determinazioni devono sempre rispettare i principi costituzionali d’imparzialità e di buon andamento, dovendo rispondere a finalità ed esigenze che prescindono dall’interesse dell’aspirante e che, invece, vanno commisurate anche all’interesse alla corretta gestione della finanza pubblica;

4. nella specie, come accertato dalla Corte territoriale, presso gli uffici giudiziari richiesti dalla ricorrente a Catania non vi erano posti “disponibili”;

5. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

come è stato da questa Corte già affermato (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 2498; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 8 novembre 2019, n. 28887) l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti;

peraltro, come evidenziato nello storico di lite, la Corte d’appello di Torino ha ritenuto che la ricorrente non avesse provato, pur in presenza di un posto vacante, la disponibilità dello stesso per effetto dell’emanazione di un provvedimento di copertura, rispondente alle esigenze e necessità della P.A.;

rispetto a tale affermazione, oltre che alle considerazioni espresse con riferimento al primo motivo di ricorso, il motivo non è neppure decisivo laddove indica, quale fatto decisivo asseritamente pretermesso, l’esistenza di posti in organico vacanti che, di per sé, come detto, non è affatto sufficiente ad integrare il preteso diritto, in mancanza di una espressione di un interesse concreto ed attuale di procedere alla loro copertura;

6. alla stregua di tali considerazioni, il ricorso va rigettato;

7. le spese, nella misura liquidata in dispositivo, seguono la soccombenza;

8. ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla I. 24.12.12 n. 228, deve darsi atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass., Sez. Un., n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del Ministero controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Roma, così deciso nella Adunanza Camerale del 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 13 agosto 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.