Licenziamento collettivo, nella soglia anche le risoluzioni consensuali ‘obbligate’ (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 20 luglio 2020, n. 15401).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. RAIMONDI Guido – Consigliere –

Dott. DELLA TORRE Paolo Negri – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14248-2017 proposto da:

COLOMBO PAOLO GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato DANIELA CARLESSO;

– ricorrente –

contro

GRUPPO ARGENTA S.P.A. in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati UMBERTO MUNCHER e FEDERICO MARIA SCAGLIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 909/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 07/04/2017, R. G. N. 665/2016;

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO CHE

1. con sentenza 7 aprile 2017, la Corte d’appello di Milano rigettava il reclamo proposto da Paolo Giuseppe Colombo avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua opposizione all’ordinanza dello stesso Tribunale, che aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimatogli dalla datrice Gruppo Argenta s.p.a. il 19 maggio 2014, esclusane la natura verbale, così come quella ritorsiva per sussistenza di un giustificato motivo oggettivo (per la soppressione del suo posto di lavoro in conseguenza di esternalizzazione dell’attività di gestione e manutenzione del parco automezzi) e così pure la violazione della legge 223/1991, inapplicabile in assenza di prova del licenziamento di un numero di dipendenti superiore a cinque nell’arco di centoventi giorni;

2. avverso tale sentenza il lavoratore ricorreva per cassazione con sei motivi, cui la società resisteva con controricorso;

3. il P.G. rassegnava le conclusioni a norma dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;

4. parte ricorrente comunicava memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 c.p.c.;

CONSIDERATO CHE

1. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 3, 5 I. 604/1966, 1362 c.c., per la ravvisata sussistenza da parte della Corte territoriale del giustificato motivo oggettivo sulla base di ragioni diverse (acquisto di proprietà dei veicoli della flotta aziendale, mutamento delle condizioni di esternalizzazione dei servizi ad essa relativi rispetto al precedente affidamento a Car Server s.p.a., redistribuzione ad altri dipendenti di attività prima svolte dal lavoratore) da quelle della lettera di licenziamento (soppressione della posizione lavorativa per esternalizzazione dell’attività), con inammissibile integrazione dei motivi di licenziamento e senza alcun accertamento dell’incidenza causale delle predette ragioni sulla soppressione del posto di lavoro (primo motivo);

1.1. esso è infondato;

1.2. la Corte territoriale ha esattamente applicato i principi di diritto in materia di giustificato motivo oggettivo per soppressione della posizione lavorativa per i RG 14248/2017 esternalizzazione dell’attività (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699; Cass. 3 dicembre 2018, n. 31158; Cass. 18 luglio 2019, n. 19302), in base ad un accertamento in fatto, sostenuto da una congrua argomentazione a giustificazione del rigetto del motivo di doglianza del lavoratore appellante (esposto sub 1 di pg. 20 della sentenza), incentrata proprio sulla diversa gestione del parco auto a fondamento della riorganizzazione (dall’ultimo capoverso di pg. 23 all’ultimo di pg. 25 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità, senza operare alcuna modificazione, né integrazione dei motivi di licenziamento;

2. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 5 I. 604/1966, 1175, 2103 c.c., 2697 c.c., per mancato accertamento della possibilità di collocazione in altre mansioni, anche inferiori, del lavoratore nel contesto aziendale, in violazione dell’onere di allegazione e prova datoriale (secondo motivo);

2.1. esso è inammissibile;

2.2. anche qui la Corte milanese ha fatto esatta applicazione dei principi in tema di repechage, integrante elemento costitutivo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo nell’onere probatorio datoriale (Cass. 20 ottobre 2017, n. 24882; Cass. 2 maggio 2018, n. 10435), avendo poi escluso la possibilità di un reimpiego del lavoratore in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale (Cass. 8 marzo 2016, n. 4509; Cass. 6 dicembre 2018, n. 31653; Cass. 24 settembre 2019, n. 23789), per avere ciò verificato anche mediante la ravvisata insussistenza (agli ultimi due capoversi di pg. 28 della sentenza) delle posizioni lavorative indicate dal lavoratore reclamante come disponibili (verifica ben utilizzabile dal giudice al fine di escludere la possibilità del repechage, sebbene non sussista un onere del lavoratore di indicare quali siano al momento del recesso i posti esistenti in azienda a tali fini: Cass.22 novembre 2018, n. 30259), con accertamento in fatto (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 27 al terzo di pg. 29 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità;

3. il ricorrente deduce poi violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, 156 c.p.c., per illogicità e contraddittorietà della motivazione a fondamento della sussistenza del giustificato motivo oggettivo, in ordine all’esternalizzazione dell’attività del lavoratore presso Ombra s.r.I., nonostante il precedente affidamento di analogo incarico a Car Server s.p.a., nonché a fondamento dell’assolvimento dell’obbligo di repechage (terzo motivo);

3.1. anch’esso è inammissibile;

3.2. la censura non prospetta in realtà un’ipotesi di nullità della sentenza, ma piuttosto una sostanziale contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento in fatto della Corte territoriale, in assenza di alcun contrasto irriducibile tra affermazioni motive inconciliabili tali da determinare nullità della sentenza, non ricorrendo i presupposti di configurabilità del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., che circoscrive il sindacato di legittimità sulla motivazione alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma Cost., individuabile nelle ipotesi (che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza) di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940);

un tale obbligo risulta poi violato qualora la motivazione risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (per essere afflitta da un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili oppure perché perplessa ed obiettivamente incomprensibile) e, in tal caso, si concreta una nullità processuale deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c. (Cass. 25 settembre 2018, n. 22598);

4. il ricorrente deduce omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in tema di giustificato motivo oggettivo quali l’inquadramento della posizione del lavoratore nell’ambito aziendale, l’epoca e l’oggetto effettivi di esternalizzazione delle attività inerenti la flotta aziendale, il contenuto delle attività inerenti gli immobili di competenza del Facility Service Manager in rapporto alle altre funzioni aziendale e l’attività dello stesso lavoratore (quarto motivo); omesso esame di fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in tema di repechage in ordine ad assunzioni della datrice tra febbraio e maggio 2014 (quinto motivo);

4.1. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

4.2. nel caso di specie ricorre l’ipotesi di cd. “doppia conforme” prevista dall’art. 348 ter, quinto comma c.p.c. applicabile ratione temporis, in difetto di indicazione ad opera della parte ricorrente, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., delle ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197);

4.3. inoltre, la pluralità di fatti dei quali sia dedotto l’omesso esame denuncia ex se la mancanza del carattere di decisività di ognuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass.28 maggio 2018, n. 13625);

4.4. infine, neppure sussistono fatti storici di cui sia stato omesso l’esame, secondo il nuovo paradigma normativo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., quanto piuttosto una contestazione della valutazione probatoria e dell’accertamento di fatto della Corte territoriale, insindacabili in sede di legittimità, qualora sorretti da adeguata argomentazione (Cass. 19 marzo 2009, n. 6694; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 17 gennaio 2019, n. 1197), come appunto nel caso di specie, per le ragioni suindicate;

5. il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 24 I. 223/1991, per mancanza di prova del licenziamento di un numero di dipendenti superiore a cinque nell’arco di centoventi giorni, in riferimento all’erronea valutazione della cessazione del rapporto nel periodo anche di Francesca Ghislanzoni (risolto il 31 gennaio 2014 per il suo rifiuto di accettazione del trasferimento per comprovate ragioni organizzative), da intendere integrare licenziamento secondo la Direttiva 98/59 CE, come interpretata in particolare dalla sentenza della Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C- 422/14 (sesto motivo);

5.1. esso è fondato;

5.2. alla luce di una corretta interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, primo comma, lettera a) della Direttiva 98/59/CE del Consiglio del 20 luglio 1998 (concernente il riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi), rientra nella nozione di «licenziamento» il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso, da cui consegua la cessazione del contratto di lavoro, anche su richiesta dal lavoratore medesimo (Corte di Giustizia UE 11 novembre 2015 in causa C-422/14, p.ti da 50 a 54);

5.3. una tale interpretazione, conforme alla citata giurisprudenza della Corte di Giustizia, comporta il superamento della precedente dell’art. 24 I. 223/1991, anche alla luce del clig. 151/97 di attuazione alla Direttiva comunitaria 26 giugno 1992, n. 56, nel senso che nel numero minimo di cinque licenziamenti, ivi considerato come sufficiente ad integrare l’ipotesi del licenziamento collettivo, non potessero includersi altre differenti ipotesi risolutorie del rapporto di lavoro, ancorché riferibili all’iniziativa del datore di lavoro (Cass. 6 novembre 2001, n. 13714; Cass. 22 gennaio 2007, n. 1334): dovendosi intendere il termine licenziamento in senso tecnico, senza potere ad esso parificare qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzioni concordate, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto fossero riconducibili alla medesima operazione di riduzione delle eccedenze della forza lavoro giustificante il ricorso ai licenziamenti (Cass. 22 febbraio 2006, n. 3866; Cass.29 marzo 2010, n. 7519);

5.4. la Corte territoriale ha violato il superiore principio di diritto nell’escludere la rilevanza, ai fini del computo dei lavoratori determinanti la configurabilità di un licenziamento collettivo, di “alcune … risoluzioni consensuali” derivanti “dalla mancata accettazione di un trasferimento” (così al penultimo capoverso di pg. 30 della sentenza);

6. pertanto il sesto motivo deve essere accolto, con rigetto del primo e inammissibilità degli altri, la cassazione della sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di legittimità alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il sesto motivo, rigettato il primo e inammissibili gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 6 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.