Mala del Brenta: l’imputato chiede al Magistrato di sorveglianza un permesso premio che gli viene negato. La Cassazione conferma (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 9 novembre 2020, n. 31222).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SANTALUCIA Giuseppe – Presidente –

Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –

Dott. MINCHELLA Antonio – Consigliere –

Dott. LIUNI Teresa – Rel. Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

MENEGHETTI ANGELO, nato a PIOVE DI SACCO il 14/11/1966;

avverso l’ordinanza del 22/01/2020 del TRIB. SORVEGLIANZA di VENEZIA;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Teresa LIUNI;

lette le conclusioni del Procuratore generale, Dott. Marco DALL’OLIO, il quale ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 22/1/2020, il Tribunale di sorveglianza di Venezia ha rigettato il reclamo avverso il decreto del 27/9/2019 con cui il Magistrato di sorveglianza in sede aveva respinto la richiesta di permesso premio avanzata nell’interesse di Angelo Meneghetti, il quale intendeva presentare i propri libri alla “Fiera delle Parole” di Padova.

La motivazione del rigetto risiedeva nel rilievo della persistente pericolosità sociale del detenuto, desunta dall’eclatante passato criminale del medesimo, rappresentante della c.d. “mala del Brenta”, e dalle aspre critiche da lui rivolte nei confronti dei collaboratori di giustizia e dell’Autorità giudiziaria.

Tali profili rendevano recessivo il rilievo della buona condotta in ambito carcerario (comportamento doveroso e peraltro necessitato in detto ambiente estremamente regolamentato), mentre soltanto la revisione critica del proprio passato criminale, postulando un distacco dalle condotte delinquenziali ed una proiezione verso orizzonti di legalità, avrebbe potuto elidere la pregnanza della pericolosità sociale.

Al contrario, la prolungata militanza delinquenziale del Meneghetti nella “mala del Brenta”, con la commissione di molteplici gravi delitti, e l’esplicita opposizione del medesimo alle sentenze di condanna, ritenute ingiuste, depongono per la negazione di ogni revisione critica e dunque per la persistenza della pericolosità sociale.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il difensore del condannato, avv. Franco Capuzzo, indicando a motivo unico di impugnazione l’inosservanza ed erronea applicazione di legge, in relazione agli artt. 27 Cost. e 30 ter O.P.

2.1. Preliminarmente il ricorrente deduce che il Meneghetti non è appartenente alla “mala del Brenta”, in quanto non risultano a suo carico condanne per art. 416 bis cod. pen.

Quanto al denunciato vizio di legittimità, il ricorrente si duole che il Tribunale non abbia correttamente inteso la definizione del concetto di pericolosità sociale di cui all’art. 30 ter O.P., che ammette ai permessi premio i condannati che “non risultano socialmente pericolosi”: detta pericolosità richiede un giudizio prognostico di tipo probabilistico, come emerge dalla definizione dell’art. 203 cod. pen., che qualifica come socialmente pericolosa la persona che ha commesso fatti di reato quando è probabile che ne commetterà ancora.

E tale pericolosità va desunta, afferma il ricorrente, da comportamenti o atti concreti, come prescrive l’art. 274, lett. a), cod. proc. pen.

Tali indici non ricorrono nel caso del Meneghetti, al quale è stata riconosciuta l’integrale remissione del debito, è stata revocata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S., ed ha mantenuto corretti rapporti con il personale dell’Amministrazione penitenziaria e con i compagni di detenzione, nonché ha tenuto una regolare condotta partecipativa rispetto alle offerte trattamentali, anche grazie all’inserimento stabile nella redazione della rivista “Ristretti Orizzonti”, oltre ad avere ricevuto un encomio per la partecipazione al convegno “La verità e la riconciliazione” e ad avere partecipato con successo a concorsi letterari.

Né si sono considerate le circostanze del caso concreto, in quanto il Meneghetti avrebbe fruito del permesso di partecipare alla fiera letteraria con l’ausilio di volontari, così da scongiurare azioni socialmente pericolose.

Pertanto, erra il Tribunale di sorveglianza nell’esclusiva valorizzazione di indici negativi, come la ritenuta assenza di rivisitazione critica del passato criminale, desunta dal fatto che il condannato si proclama innocente dei fatti di cui alle sentenze a suo carico, ciò interpretando come un sintomo di ribellione e dunque di perdurante pericolosità sociale.

Infatti, per la concessione del permesso premio, non è richiesta la prova positiva che il soggetto non è pericoloso, bensì la mancanza di elementi sintomatici della pericolosità, come sopra individuata.

3. Il Procuratore generale, dott. Marco Dall’Olio, ha presentato una requisitoria scritta in cui chiede la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

A seguito di ciò, in data 5/10/2020 il difensore del ricorrente ha depositato una “breve memoria” in cui ribadisce le argomentazioni a supporto della meritevolezza del Meneghetti ad ottenere il richiesto permesso premio.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

1.1. L’istituto del permesso premio si caratterizza per la portata più ampia che presenta rispetta al permesso di “necessità” e tende a una più duttile caratterizzazione dell’esecuzione della pena detentiva, attraverso la valorizzazione del suo significato premiale e del particolare tipo di esperienza che lo contraddistingue, che risultano parte integrante del programma di trattamento (art. 30-ter comma 3 legge 26 luglio 1975, n. 354), affiancandosi alla funzione premiale in senso proprio altra di valenza schiettamente special-preventiva (Corte. cost. 95/227 e 95/504), funzioni che tendono sinergicamente alla finalità rieducativa, cui l’istituto non risulta affatto estraneo.

Infatti, ai fini della concessione del permesso premio, il magistrato di sorveglianza deve verificare, oltre ai requisiti della regolare condotta del detenuto e dell’assenza di pericolosità sociale, che corrispondono alla funzione premiale dell’istituto, il profilo della funzionalità rispetto alla cura degli interessi affettivi, culturali e di lavoro del detenuto, acquisendo a tale ultimo riguardo le informazioni necessarie a valutare la coerenza del beneficio con il trattamento complessivo e con le sue finalità di risocializzazione (Sez. 1, n. 36456 del 09/04/2018, Corrias, Rv. 273608).

Con specifico riguardo al requisito dell’assenza di pericolosità sociale, tale verifica richiede maggiore rigore nei casi di soggetti condannati per reati di particolare gravità e con fine pena lontana nel tempo, in relazione ai quali rileva, in senso negativo, anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, dep. 2017, Patacchiola, Rv. 269195; Sez. 1, n. 9796 del 23/11/2007, dep. 2008, Savio, Rv. 239173).

1.2. Nel caso di specie, l’impugnata ordinanza ha imperniato la valutazione di persistente pericolosità sociale essenzialmente sul rilievo che il Meneghetti – soggetto dal pesante passato criminale, a prescindere dalla possibilità “tecnica” di considerarlo appartenente alla cosiddetta “Mala del Brenta” (negata in particolare nella breve memoria difensiva) – non ha inteso abiurare al proprio vissuto delinquenziale, esprimendo opposizione alle condanne che gli sono state inflitte, ritenute ingiuste, e contrapponendosi all’Autorità dello Stato che – anche valorizzando chi si è dissociato – gli ha inflitto la massima pena detentiva.

A fronte di ciò, è stata ritenuta recessiva la regolare condotta serbata dal condannato in ambito carcerario, ritenendola il minimo comportamento dovuto in ogni struttura organizzata.

Tale interpretazione del requisito dell’assenza di pericolosità sociale non è contraria alla vigente normativa ed alla sua esegesi di legittimità, di cui invece l’impugnata ordinanza correttamente segue i dettami laddove afferma che non basta la regolare condotta carceraria, richiedendosi invece segni esteriori di cesura con la propria storia criminale: il che certamente non è dato ravvisare nella rivendicazione di essere stato ingiustamente condannato, anche grazie alle propalazioni dei collaboratori di giustizia.

Tali prese di posizione – rileva il Tribunale di sorveglianza – contraddicono la necessaria revisione critica del passato delinquenziale e la proiezione verso un orizzonte di legalità del proprio agire, sicché sono antitetiche ad una valutazione di cessata pericolosità sociale, ed in tal senso concretizzano la previsione normativa dell’art. 30 ter O.P. che per l’appunto richiede che il destinatario del permesso premio non risulti socialmente pericoloso.

Gli ulteriori dati valorizzati nel ricorso, di partecipazione del Meneghetti alle offerte trattamentali inframurarie, e il richiamo della relazione di sintesi del gennaio 2019, che evidenziava l’avvio di una revisione critica da parte del detenuto, non contraddicono la decisione negativa allo stato degli atti: invero, i progressi trattamentali e l’intrapreso cammino autocritico devono assurgere ad un certo grado di pregnanza per incidere concretamente sulla valutazione di assenza di pericolosità sociale, e così giustificare il graduale reinserimento del detenuto anche mediante la fruizione di permessi premio.

2. Ne discende il rigetto del ricorso con le conseguenze di legge in ordine all’imputazione delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.