Multe a raffica ai passeggeri: niente licenziamento per il capotreno troppo zelante (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 21 aprile 2022, n. 12789).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28576-2019 proposto da:

TRENITALIA S.P.A. – Società con socio unico, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) (OMISSIS) n. 9, presso lo studio dell’avvocato ARCANGELO (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) FRANCESCO BENEDETTO, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIO (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 434/2019 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 01/08/2019 R.G.N. 35/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/04/2022 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott. RITA SANLORENZO, visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Venezia, confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede, ha – con sentenza n. 434 depositata l’1.8.2019 – accolto la domanda di annullamento del licenziamento per giusta causa intimato da Trenitalia s.p.a., in data 29.7.2016, a Francesco Benedetto (OMISSIS), per aver riscontrato – in qualità di Capotreno – un notevole di irregolarità su titoli di viaggio dei viaggiatori (175 nel biennio 2014/2016), procurandosi un vantaggio corrispondente alle provvigioni superiori a quelle contrattualmente previste (pari a circa 400 euro in 2 anni).

2. La Corte di appello ha rilevato che, da un punto di vista oggettivo, la condotta assunta dal dipendente – ricostruita attraverso un quadro probatorio presuntivo ed incerto soprattutto sulle modalità di elevazione delle tipologie di irregolarità, sui possibili limiti dell’applicativo, su “prassi” tollerate – ben poteva consigliare maggior cautela al datore di lavoro; da un punto soggettivo, seppur era emerso uno “zelo non comune” del (OMISSIS), inflessibile ed estremamente puntiglioso nell’elevare contravvenzioni, gli elementi probatori raccolti non consentivano di configurare una condotta dolosa o fraudolenta costituente reato con finalità esclusive di lucro né la mala fede contro l’azienda ma semmai un comportamento di imprudenza, negligenza attestata da oggettivi errori nello svolgimento dell’attività di controllo dei biglietti, e la locupletazione di provvigioni (per somma modesta se spalmata nel biennio) era un effetto indiretto “dell’eccesso di zelo”; la violazione di norme regolamentari era sanzionata, dal CCNL di settore, con misura conservativa e, inoltre, non poteva ritenersi sussistente il dolo diretto finalizzato all’appropriazione di somme o a danneggiare l’azienda o i terzi, con conseguente applicazione del regime sanzionatorio dettato dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970.

3. Per la cassazione di tale sentenza la società Trenitalia ha proposto ricorso affidato a due motivi, illustrati da memoria.

Il lavoratore ha resistito con controricorso.

4. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 2119, 2104, 2105, 2106 cod.civ., 56, 60, 61, 53, 64 CCNL Mobilità del 2012 e CCNL Mobilità Acaf del 2016 avendo, la Corte territoriale, trascurato di valutare se i comportamenti tenuti dal dipendente (come accertati) integrassero comunque il modello legale di giusta causa di licenziamento, a prescindere dalle clausole del CCNL che tipizzano il licenziamento senza preavviso solamente per comportamenti dolosi, pur dovendosi ritenere che anche le clausole negoziali richiamano, nel loro incipit, la nozione legale di giusta causa.

E’, invero, grave che – anche a prescindere dall’incasso di premi non dovuti – un Capo treno abbia ripetutamente e deliberatamente applicato tariffe e/o sanzioni a proprio piacimento in spregio ai regolamenti ferroviari, unico caso in tutta la storia societaria, come è emerso dalla prova testimoniale.

2. Con il secondo motivo si denunzia, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 18, commi 4 e 5, della legge n. 300 del 1970, per aver trascurato, la Corte territoriale, applicando il regime reintegratorio, che i fatti sono risultati sussistenti.

3. Il primo motivo di ricorso, che attiene al processo di sussunzione della fattispecie concreta nella nozione legale di giusta causa, non merita accoglimento.

3.1. Questa Corte ha più volte affermato che l’art. 2119 c.c. configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, nell’estrinsecarsi della funzione nomofilattica della Corte di Cassazione, fino alla formazione del diritto vivente mediante puntualizzazioni, di carattere generale ed astratto, precisando che l’operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità (Cass. nn. 1351 del 2016, 12069 del 2015, 6501 del 2013), poiché l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento.

3.2 La relativa valutazione deve essere operata con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla utilità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, al nocumento eventualmente arrecato, alla portata soggettiva dei fatti stessi, ossia alle circostanze del loro verificarsi, ai motivi e all’intensità dell’elemento intenzionale o di quello colposo (Cass. nn. 1977 del 2016, 1351 del 2016, 12059 del 2015).

I fatti addebitati devono rivestire il carattere di grave violazione degli obblighi del rapporto di lavoro, tale da lederne irrimediabilmente l’elemento fiduciario e spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi, innanzi tutto, rilievo alla configurazione che delle mancanze addebitate faccia la contrattazione collettiva, ma pure all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni svolte dal dipendente e dalla qualifica rivestita, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla sua particolare natura e tipologia (v. ad es. Cass. nn. 2013 del 2012).

3.3. La Corte territoriale ha valutato – sia prendendo a parametro di riferimento la scala valoriale dettata dal codice disciplinare contenuto nel CCNL applicato in azienda sia alla luce dei parametri dell’intensità dell’elemento intenzionale, del grado di affidamento richiesto dalle mansioni affidate al lavoratore e del numero e della gravità delle condotte tenute – la proporzionalità della sanzione espulsiva adottata nei confronti del ricorrente ed è pervenuta alla conclusione della insussistenza di tale proporzionalità.

In particolare, la Corte territoriale, letta la contestazione disciplinare – “tutta centrata sulla violazione di norme regolamentari (an e quantum di tasse e soprattasse) e scontistica (vigente o non più vigente) – e valutate “la peculiarità del caso e la casistica” nonché l’elemento psicologico del lavoratore (delineato quale “intransigenza zelante”, con esclusione della intenzionalità di danneggiare l’azienda con finalità di guadagno) è pervenuta ad un giudizio di non proporzionalità della sanzione rispetto all’infrazione addebitata.

Si tratta di una valutazione di merito che, in quanto basata su motivazione esente dalle anomalie denunciabili ex art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall’art. 54 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis), è insindacabile in sede di legittimità.

4. Il secondo motivo di ricorso non è fondato.

4.1. Questa Corte ha affermato ripetutamente (Cass. n. 13178 del 2017, Cass. 18823 del 2018, Cass. n. 25534 del 2018, Cass. n. 31839 del 2019), che la valutazione di non proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nell’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 2018 (come novellata dalla legge n. 92 del 2012) solamente nell’ipotesi in cui lo scollamento tra la gravità della condotta realizzata e la sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa.

Al di fuori di tale caso, secondo la consolidata esegesi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 in base alla quale il regime risarcitorio del comma 5 deve ritenersi di carattere generale, la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali dell’art. 18, comma 5, della legge n. 300 del 2018 prevede la tutela indennitaria c.d. forte.

4.2. La Corte territoriale ha, nel caso di specie, ritenuto sussumibile la condotta del lavoratore – incentrata, come emerso dalla disamina della lettera di contestazione, sulla violazione di norme regolamentari – nell’ambito delle sanzioni conservative previste dal CCNL applicato in azienda (in specie, conformemente alla valutazione del giudice di primo grado, negli artt. 59, lett. h, 60, lett. h, 62, lett. e) che puniscono la negligenza/inosservanza di leggi/regolamenti/obblighi di servizio con pregiudizio agli interessi dell’azienda o vantaggio per sé o per terzi ed ha escluso la configurabilità di un dolo diretto finalizzato all’appropriazione di somme o a danneggiare l’azienda o i terzi, con conseguente esclusione della sussumibilità delle condotte nella previsione negoziale (artt. 63 e 64) che punisce con il licenziamento la inosservanza di fonti normative che abbia arrecato pregiudizio alla sicurezza dell’esercizio con danni gravi al materiale o alla persona ovvero gravissime violazioni dolose che incrinino irreversibilmente il vincolo fiduciario.

In conformità con l’orientamento giurisprudenziale affermato da questa Corte, il giudice di merito, ritenendo sussumibile le condotte nell’ambito delle previsioni punite con sanzioni conservative dal codice disciplinare dettato dal CCNL, ha correttamente applicato la sanzione reintegratoria dettata dall’art. 18, comma 4, della legge n. 300 del 1970 (come novellato dalla legge n. 92 del 2012).

5. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.

6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013), ove dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Così deciso nella camera di consiglio del 6 aprile 2022.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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…, all’indomani della “sentenza”, si legge …

I pendolari veneti sono nuovamente in allarme: il controllore più severo d’Italia sta per ritornare sui vagoni di Trenitalia dopo la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione. I giudici hanno dato ragione al dipendente zelante che nel 2017 era stato licenziato dalla sua azienda per giusta causa. Il suo comportamento, secondo i vertici di Trenitalia, aveva creato un danno d’immagine e problemi economici alla società partecipata. Il capotreno era diventato il bersaglio dei passeggeri per la sua proverbiale inflessibilità. In due anni aveva comminato migliaia di multe, effettuando verifiche maniacali su ogni utente; era diventato un incubo per i cittadini del Veneto, in particolare di Venezia, dove il controllore prestava servizio.

"Fa troppe multe". Il controllore licenziato da Trenitalia

In ventiquattro mesi, comunque, il dipendente di Trenitalia ha compito anche molti errori; l’azienda ne ha contati 175 e per questo motivo ha deciso di mandare a casa il lavoratore. Non solo i passeggeri si lamentavano della troppa solerzia del controllore 60enne, ma i suoi sbagli sono costati un po’ di soldi alla società, quasi 10mila euro di mancati introiti, in seguito ai ricorsi effettuati dagli utenti. In diverse occasioni, il capotreno aveva applicato sanzioni di testa sua, senza tener conto del regolamento ferroviario. Perso il lavoro, il dipendente non si è dato per vinto e si è appellato ai giudici per essere reintegrato.

I suoi avvocati, come riporta il Corriere del Veneto, hanno fatto appello al numero esiguo di errori commessi dal loro cliente, appena il 3,5% delle multe che aveva disposto, ben 5mila in due anni. Il controllore ha vinto in tutti i gradi di giudizio, nonostante Trenitalia abbia fatto di tutto per evitare di reintegrare il proprio dipendente. Neppure il richiamo alla mancanza di fiducia nei confronti del lavoratore ha fatto cambiare idea ai magistrati.

La Suprema Corte ha stabilito che, seppure il capotreno si è dimostrato inflessibile e puntiglioso, lo ha fatto sempre negli interessi dell’azienda e non per un tornaconto personale. Anche gli errori commessi sono una conseguenza dell’eccesso di zelo del controllore, un atteggiamento che non va perseguito.

Fonte: Il Giornale