Non va licenziata la commessa che usa espressioni volgari con i clienti (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 2 maggio 2022, n. 13774).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24395-2019 proposto da:

(OMISSIS) s.p.a. con SOCIO UNICO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 10 presso lo STUDIO (OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS) & SOCI, rappresentata e difesa dagli avvocati RAFFAELE (OMISSIS) (OMISSIS), FRANCO (OMISSIS), GIACOMO (OMISSIS), FEDERICA (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) LISA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA (OMISSIS) n. 195, presso lo studio dell’avvocato MARA (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati CHIARA (OMISSIS), STEFANO (OMISSIS), ROBERTO (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 277/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 19/06/2019 R.G.N. 139/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/02/2022 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ROBERTO MUCCI visto l’art. 23, comma 8 bis del D.L. 28 ottobre 2020 n. 137, convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020 n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

FATTO

1. Con sentenza del 19 giugno 2019, la Corte d’appello di Brescia ha rigettato il reclamo di (OMISSIS) s.p.a. (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva annullato il licenziamento per giusta causa intimato il 5 marzo 2018 a Lisa (OMISSIS), propria dipendente dal 2001 e l’aveva condannata alla reintegrazione nel posto di lavoro e al pagamento di un’indennità risarcitoria, commisurata alla retribuzione globale di fatto, dalla data del licenziamento a quella di reintegrazione.

2. Come già il Tribunale, essa ha escluso che il comportamento della lavoratrice (che il 23 dicembre 2017 si era rivolta in modo grevemente scortese, con espressione volgare, a un cliente che la richiedeva di un adempimento proprio del centro servizi cui ella era addetta e che, irritato dall’insolenza, non aveva completato un acquisto di modesto valore economico) integrasse la giusta causa contestata, in assenza di suoi precedenti disciplinari, considerato il contesto pre-natalizio di intenso afflusso di clientela in punti vendita della tipologia di quello gestito dalla società datrice, non attentando l’episodio isolato al vincolo fiduciario tra le parti, secondo una valutazione di proporzionalità a norma degli artt. 2106 c.c. e 225 CCNL applicato al rapporto.

3. La Corte territoriale ha ritenuto, infine, corretta la sussunzione della violazione “all’interno della fattispecie dell’art. 18 IV comma stat. lav. proprio perché punibile con sanzione di natura conservativa”.

4. Con atto notificato il 7 agosto 2019, la società ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui la lavoratrice ha resistito con controricorso.

5. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8-bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso dell’accoglimento del secondo e terzo motivo di ricorso e rigetto del primo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 1 l. 604/1966, per l’erronea esclusione della giusta causa di recesso, in base ad una valutazione della sanzione espulsiva non proporzionata al comportamento della dipendente (“non aver usato la dovuta cortesia, l’impiego di un’interiezione volgare”), esclusivamente centrata sul suo lato soggettivo e non anche sull’oggettività della relazione che un addetto alle vendite deve instaurare con la clientela e dei riflessi sul rapporto di lavoro, per l’essenziale connotazione della prestazione sull’obbligo di uno standard di cortesia superiore a quello ordinario.

2. Esso è inammissibile.

3. Non si configura la censura di violazione dell’art. 2119 c.c., non rilevando qui (come ritenuto anche da: Cass. 10 luglio 2018, n. 18170) una questione di sindacabilità, sotto il profilo della falsa interpretazione di legge, del giudizio applicativo di una norma cd. “elastica” (quale indubbiamente è la clausola generale della giusta causa), che indichi solo parametri generali e pertanto presupponga da parte del giudice un’attività di integrazione giuridica della norma, a cui sia data concretezza ai fini del suo adeguamento ad un determinato contesto storico – sociale: in tal caso ben potendo il giudice di legittimità censurare la sussunzione di uno specifico comportamento del lavoratore nell’ambito della giusta causa (piuttosto che del giustificato motivo di licenziamento), in relazione alla sua intrinseca lesività degli interessi del datore di lavoro (Cass. 18 gennaio 1999, n. 434; Cass. 22 ottobre 1998, n. 10514).

E ciò per essere sindacabile dalla Corte di cassazione l’attività di integrazione del precetto normativo compiuta dal giudice di merito, a condizione che la contestazione del giudizio valutativo operato in sede di merito non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga invece una specifica denuncia di incoerenza del predetto giudizio rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realtà sociale (Cass. 26 aprile 2012, n. 6498; Cass. 2 marzo 2011, n. 5095).

3.1. In particolare, l’operazione valutativa compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quelle della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità, sotto il profilo della correttezza del metodo seguito e del rispetto dei criteri e principi desumibili dall’ordinamento generale, a cominciare dai principi costituzionali e dalla disciplina particolare, anche collettiva, in cui la fattispecie si colloca, mentre l’applicazione in concreto del più specifico canone integrativo, così ricostruito, rientra nella valutazione di fatto devoluta al giudice di merito e non è censurabile in sede di legittimità se non per vizio di motivazione (Cass. 28 maggio 2019, n. 14504).

3.2. Nel caso in esame, non si configura una censura di errore di diritto nella negazione della ricorrenza di una giusta causa di licenziamento, in merito all’operazione di sussunzione della Corte territoriale della concreta fattispecie nel parametro generale della clausola elastica integrante una lesione irrimediabile del vincolo di fiducia a base del rapporto di lavoro tra le parti (dal penultimo capoverso di pg. 3 al penultimo di pg. 4 e ancora ai primi tre capoversi di pg. 7 della sentenza), quanto piuttosto una contestazione della valutazione di proporzionalità del comportamento della lavoratrice (dall’ultimo capoverso di pg. 5 all’ultimo di pg. 6 della sentenza): non essendo poi vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, rientrando il giudizio di gravità e proporzionalità della condotta nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, ma dovendo la scala valoriale formulata dalle parti sociali costituire uno dei parametri di riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. 6 agosto 2020, n. 16784; Cass. 19 agosto 2020, n. 17321; Cass. 12 novembre 2021, n. 33811).

4. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 c.c., in relazione all’art. 225 CCNL per i dipendenti di aziende del terziario distribuzione e servizi 18 luglio 2008, per l’erronea sussunzione del fatto commesso dalla lavoratrice nella previsione della tutela reintegratoria, sulla generalizzata assunzione dell’ipotesi di recesso “senza preavviso” ad ogni ipotesi di grave violazione degli obblighi previsti dall’art. 220, primo e secondo comma CCNL, in difetto di considerazione del licenziamento con preavviso (per giustificato motivo soggettivo) e, in ogni caso, di una specifica previsione contrattuale collettiva di sanzione conservativa in cui rientrante la violazione della lavoratrice, vincolante ai fini di applicazione della tutela suddetta.

5. Con il terzo, la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 18, quarto e quinto comma l. 300/1970, per l’erronea applicazione della tutela reintegratoria attenuata, in luogo di quella indennitaria forte, sulla base di una valutazione di proporzionalità, in difetto di riconduzione della violazione della lavoratrice ad una specifica previsione contrattuale collettiva di sanzione conservativa, neppure espressamente indicata.

6. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati.

7. Giova ancora una volta premettere che questa Corte interpreta le disposizioni contrattuali collettive nazionali in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 ss. c.c.) come criterio interpretativo diretto, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., come modificato dall’art. 2 d.lg. 40/2006, per la loro parificazione sul piano processuale a quella delle norme di diritto; e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione, senza necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 28 maggio 2018, n. 13265; Cass. 14 gennaio 2021, 02/05/2022 n. 555).

7.1. In una tale prospettiva, il quadro dei provvedimenti disciplinari del CCNL per i dipendenti di aziende del terziario distribuzione e servizi 18 luglio 2008, in riferimento alla condotta addebitata alla lavoratrice (che si era rivolta il 17 dicembre 2017, in periodo prenatalizio, in modo grevemente scortese, con un’espressione volgare, a un cliente che la richiedeva di un adempimento proprio del centro servizi cui ella era addetta e che, irritato dall’insolenza, non aveva completato un acquisto di modesto valore economico), deve essere ricostruito nel modo seguente:

a) art. 220 (Obbligo del prestatore di lavoro): “Il lavoratore ha l’obbligo di osservare nel modo più scrupoloso i doveri e il segreto di ufficio, di usare modi cortesi col pubblico e di tenere una condotta conforme ai civici doveri” (primo comma); “Il lavoratore ha l’obbligo di conservare diligentemente le merci e i materiali, di cooperare alla prosperità dell’impresa.” (secondo comma);

b) art. 225 (provvedimenti disciplinari): “La inosservanza dei doveri da parte del personale dipendente comporta i seguenti provvedimenti, che saranno presi dal datore di lavoro in relazione alla entità delle mancanze e alle circostanze che le accompagnano:

1) biasimo inflitto verbalmente per le mancanze lievi;

2) biasimo inflitto per iscritto nei casi di recidiva delle infrazioni di cui al precedente punto 1;

3) multa in misura non eccedente l’importo di 4 ore della normale retribuzione di cui all’art. 193;

4) sospensione dalla retribuzione e dal servizio per un massimo di giorni 10;

5) licenziamento disciplinare senza preavviso e con le altre conseguenze di ragione e di legge.” (primo comma);

“Il provvedimento della multa si applica nei confronti del lavoratore che:

– ritardi nell’inizio del lavoro senza giustificazione, per un importo pari all’ammontare della trattenuta; esegua con negligenza il lavoro affidatogli;

– si assenti dal lavoro fino a tre giorni nell’anno solare senza comprovata giustificazione; non dia immediata notizia all’azienda di ogni mutamento della propria dimora, sia durante il servizio che durante i congedi” (secondo comma);

– “Il provvedimento della sospensione dalla retribuzione e dal servizio si applica nei confronti del lavoratore che: arrechi danno alle cose ricevute in dotazione ed uso, con dimostrata responsabilità; si presenti in servizio in stato di manifesta ubriachezza; commetta recidiva, oltre la terza volta nell’anno solare, in qualunque delle mancanze che prevedono la multa, salvo il caso dell’assenza ingiustificata.” (terzo comma);

“Salva ogni altra azione legale, il provvedimento di cui al punto 5 (licenziamento disciplinare) si applica esclusivamente per le seguenti mancanze:

– assenza ingiustificata oltre tre giorni nell’anno solare;

– recidiva nei ritardi ingiustificati oltre la quinta volta nell’anno solare, dopo formale diffida per iscritto;

– grave violazione degli obblighi di cui all’art. 220, 1° e 2° comma;” (quarto comma).

7.2. Come già premesso al superiore p.to 3.2., la Corte territoriale ha compiuto un accertamento in fatto relativo alla valutazione “in concreto” del“la gravità dei comportamenti contestati” (così agli ultimi due alinea dell’ultimo capoverso di pg. 4 della sentenza), insindacabile – si ribadisce – nell’odierna sede di legittimità siccome congruamente argomentato (per le ragioni specialmente esposte dal secondo capoverso di pg. 5 all’ultimo di pg. 6 della sentenza); ebbene, in esito ad un tale accertamento, considerato il contesto di verificazione dell’episodio “rimasto isolato”, neppure (nonostante la risposta greve della lavoratrice, ma con “un’espressione … ormai … parte del comune intercalare”) offensivo del cliente, né “notato dagli altri compratori presenti presso il punto vendita o dai colleghi della dipendente” e tenuto conto del suo pregresso comportamento, osservante dei doveri e delle regole professionali, la Corte bresciana lo ha ritenuto “non grave”.

7.3. Su tale base di fatto, deve essere allora operato il procedimento di sussunzione, censurato dai due motivi congiuntamente scrutinati come non rispettoso delle norme di diritto denunciate.

La violazione dalla lavoratrice dell’obbligo, nell’ambito della previsione dell’art. 220, primo comma CCNL “di usare modi cortesi col pubblico”, non può allora essere qualificata, alla stregua del fatto accertato, come grave: sicché, la sanzione disciplinare non può essere quella espulsiva del licenziamento disciplinare senza preavviso, ai sensi dell’art. 225, primo comma, n. 5 e quarto comma, in combinata disposizione con l’art. 220, primo comma del CCNL citato; ma neppure del recesso per giustificato motivo soggettivo, siccome la violazione disciplinare non grave neppure integra un notevole adempimento degli obblighi contrattuali, a norma dell’art. 3 della legge n. 604/1966.

E la Corte territoriale ha ciò giustificato, anche per relationem alle “ragioni … esposte” di “assenza di precedenti disciplinari, contesto, natura dell’espressione usata” (al terz’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), secondo il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione dell’illecito, istituzionalmente rimesso al giudice di merito (Cass. 10 dicembre 2007, n. 25743; Cass. 22 marzo 2010, n. 6848).

8. Si tratta allora di verificare se il comportamento non grave della lavoratrice, di violazione dell’obbligo “di usare modi cortesi col pubblico”, possa essere sussunto in una sanzione conservativa, così come ritenuto dalla Corte territoriale, per la quale: “Non essendo ‘grave’, infine, la violazione commessa dalla dipendente, il fatto è stato correttamente sussunto all’interno della fattispecie dell’art. 18, IV comma stat. lav. proprio perché punibile con sanzione di natura conservativa” (al penultimo capoverso di pg. 7 della sentenza).

8.1. Al riguardo, giova rammentare come, nel novellato testo della norma, il giudice debba procedere ad una valutazione più articolata della legittimità dei licenziamenti disciplinari rispetto al periodo precedente alla modificazione dell’art. 18 l. 300/1970 ad opera dell’art. 1, comma 42, lett. b) l. 92/2012:

– in primo luogo, accertando se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, secondo le previgenti nozioni fissate dalla legge;

– nel caso poi in cui il giudice escluda la ricorrenza di una giustificazione della sanzione espulsiva, dovendo svolgere, al fine di individuare la tutela applicabile, una disamina ulteriore sulla sussistenza o meno di una delle due condizioni previste dal quarto comma dell’art. 18 per accedere alla tutela reintegratoria, per “insussistenza del fatto contestato” ovvero per fatto rientrante “tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili” e dovendo, in assenza, applicare il regime dettato dal quinto comma (per tutte: Cass. n. 12365, al p.to 5 della motivazione).

8.2. Un recentissimo arresto di questa Corte, che ha affrontato funditus il tema della tutela applicabile in tema di norme elastiche, ha in particolare osservato che “Quando l’inadempimento addebitato al dipendente risulti privo della gravità necessaria a giustificare la sanzione espulsiva sono previste forme di tutela diverse a seconda che la non gravità dell’inadempimento sia stata o meno tradotta in fattispecie disciplinari tipizzate, punite con misure conservative.

È stata introdotta una graduazione in base alla quale la reintegrazione è consentita per le ipotesi in cui l’illegittimità del recesso è, per così dire, maggiormente evidente e dunque, in via generale, laddove il fatto addebitato non sussista ovvero nel caso in cui quel fatto sia punito dalla disciplina collettiva applicabile con una sanzione conservativa.

Laddove invece, in esito alla valutazione in concreto della fattispecie accertata, il giudice ravvisi una sproporzione tra la condotta non tipizzata e la sanzione irrogata, risolto il rapporto di lavoro, dovrà applicare la tutela indennitaria dettata dal comma 5 dell’art. 18 citato rientrandosi in quegli “altri casi” che ai sensi del comma 5 dell’art. 18 sono ristorabili con la c.d. tutela indennitaria forte.

In sintesi, al giudice è chiesto di procedere ad un giudizio più completo ed articolato rispetto al passato.

Gli è richiesto infatti con una sorta di valutazione bifasica di accertare la sussistenza o meno della giusta causa o del giustificato motivo di recesso e, “nel caso in cui lo escluda, anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale legittimante” (cfr. Cass.25/07/2017 n. 13178 in motivazione e 14/12/2018 n. 32500)”.

Inoltre, esso ha ribadito che “In questo procedimento bifasico, poiché al giudice è demandato di interpretare la norma collettiva non solo per stabilire se si possa ritenere sussistente o meno una giusta causa o un giustificato motivo di recesso ma anche per individuare la tutela in concreto applicabile, laddove la fattispecie punita con una sanzione conservativa sia delineata dalla norma collettiva attraverso una clausola generale – graduando la condotta con riguardo ad una sua particolare gravità ed utilizzando nella descrizione della fattispecie espressioni che necessitano di essere riempite di contenuto – rientra nel compito del giudice riempire di contenuto la clausola utilizzando standard conformi ai valori dell’ordinamento ed esistenti nella realtà sociale in modo tale da poterne definire i contorni di maggiore o minore gravità.” (Cass. 11 aprile 2022, n. 11665, in motivazione, sub 18.2. e 18.4.).

A compendio dell’ampio ragionamento svolto, esso ha affermato il seguente principio di diritto: “in tema di licenziamento disciplinare, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18 commi 4 e 5 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, come novellata dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012, è consentita al giudice la sussunzione della condotta addebitata al lavoratore ed in concreto accertata giudizialmente nella previsione contrattuale che punisca l’illecito con sanzione conservativa anche laddove sia espressa attraverso clausole generali o elastiche.

Tale operazione di interpretazione e sussunzione non trasmoda nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità come già eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo.”

8.2. Nel caso di specie, in applicazione del suenunciato principio di diritto, il comportamento non grave della lavoratrice, di violazione dell’obbligo “di usare modi cortesi col pubblico”, ben può essere sussunto nell’ipotesi, prevista dall’art. 220, secondo comma del CCNL citato del lavoratore che “esegua con negligenza il lavoro affidatogli”: e pertanto espressa con norma elastica, sanzionata in via conservativa con la multa, nei limiti di attuazione del principio di proporzionalità già eseguito dalle parti sociali attraverso detta previsione.

9. Dalle argomentazioni sopra svolte discende allora il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 2 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.