REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe – Presidente
Dott. DAWAN Daniela – rel. Consigliere
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere
Dott. TORNESI Daniela – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) MONICA nata a (OMISSIS) il xx/xx/xxxx
avverso la sentenza del 27/11/2018 della CORTE APPELLO di BOLOGNA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DANIELA DAWAN;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott. FRANCA ZACCO che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso.
E’ presente l’avvocato LONGOBUCCO Pasquale del foro di FERRARA che deposita nomina a sostituto processuale dell’avv. MARCELLO Carmelo del foro di FERRARA difensore di (OMISSIS) Monica e che riportandosi ai motivi insiste per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Monica (OMISSIS), a mezzo del difensore, ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Bologna ha riformato quella di primo grado unicamente in punto di pena, confermandola nel resto.
2. L’imputata è stata chiamata a rispondere del reato di cui all’art. 589, comma 2, cod. pen. perché, per colpa generica e per colpa specifica (art. 141, commi 1,2 e 3 cod. strada), alla guida dell’autovettura Ford Fiesta, procedendo ad una velocità non adeguata allo stato dei luoghi – stanti l’ora notturna (ore 22,20 circa), il passaggio stretto e la visibilità limitata – non sì avvedeva della presenza, sulla sede stradale, del pedone Laura (OMISSIS), la quale transitava a piedi, affiancata ad altra persona, nel medesimo senso di marcia dell’autovettura, anziché sul lato opposto della carreggiata, come previsto dall’art. 190 cod. strada. Ciò determinava l’urto tra la vettura ed il pedone che colpiva con il capo il montante anteriore destro dell’auto. La gravità delle lesioni riportate cagionava il decesso di Laura (OMISSIS).
3. La Corte di appello ha escluso che il comportamento della vittima fosse connotato da eccezionalità ed imprevedibilità, tali da interrompere il nesso causale, e ne ha illustrato le ragioni, individuate nelle circostanze di tempo e di luogo: in particolare, nell’assenza di banchine per i pedoni, nella mancanza di illuminazione, nella ristrettezza della carreggiata, nella probabile presenza di viandanti lungo la via.
4. Ricorre per cassazione, a mezzo del difensore, l’imputata affidandosi a tre motivi.
Con il primo, deduce contraddittorietà e mancanza di motivazione in ordine alla ricostruzione dell’elemento soggettivo e del nesso causale.
Diversamente da quanto sostenuto nell’impugnata sentenza le menzionate circostanze di luogo e di tempo dovevano indurre i Giudici a ritenere non verosimile la circolazione di pedoni.
Una condotta appropriata dell’imputata non avrebbe, comunque, evitato l’evento, attesi l’improvvisa percezione del pedone e la sua invasione, del tutto imprevedibile, della carreggiata nel medesimo senso di marcia dell’automobile.
Peraltro, il consulente dell’accusa non si esprime sulla sicura evitabilità dell’evento, limitandosi ad affermare la violazione, da parte di entrambe le parti, di regole di prudenza, senza tuttavia esprimersi sulla condotta alternativa lecita.
Sul punto, vengono richiamate le conclusioni del consulente tecnico della difesa a mente delle quali la causa del sinistro va esclusivamente ascritta all’errata posizione sulla carreggiata del pedone investito che marciava sul lato destro e si trovava affiancato al secondo pedone, Davide (OMISSIS), su strada extraurbana, in assenza di illuminazione, anziché procedere su un’unica fila, come prescritto dall’art. 190 cod. strada.
Quanto alla valutazione del nesso causale, i Giudici del merito aderiscono alla teoria della conditio sine qua non pura, ormai superata dalla dottrina e dalla giurisprudenza (sent. Franzese) che hanno adottato la teoria della causalità scientifica per la quale il nesso causale va valutato secondo un giudizio controfattuale.
L’anzidetta valutazione controfattuale, mancata nel caso di specie, avrebbe portato a ritenere che l’impatto si sarebbe evitato se i pedoni non avessero invaso la corsia e avessero tenuto comportamenti prudenti e diligenti.
Con il secondo motivo, si lamenta illogicità e contraddittorietà della motivazione con riguardo alla ricostruzione degli elementi di fatto e della dinamica dell’incidente.
Nella motivazione, sostiene la ricorrente, vi è contraddittorietà tra le testimonianze e la ricostruzione dei fatti operata dai consulenti del pubblico ministero e della parte civile.
Il riferimento è, in particolare, all’asserita (dalla sentenza) incompatibilità tra le dichiarazioni dell’imputata rispetto alla consulenza della difesa in ordine all’avvistabilità dei pedoni; e al fatto che le sentenze del merito prima escludono che i due pedoni si fossero “allargati” sulla carreggiata, poi affermano che tale allargamento sarebbe stato assolutamente prevedibile dalla conducente. In realtà, lo spostamento improvviso dei due pedoni, senza prima controllare che alle loro spalle non sopraggiungessero veicoli, ha determinato l’evento.
Il terzo motivo, infine, afferisce alla determinazione della pena, assumendosi, al riguardo, l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione. Il riferimento, operato nell’impugnata sentenza, all’ «incidenza non modesta della condotta colposa della vittima nella causazione dell’evento» avrebbe dovuto comportare il riconoscimento dell’attenuante speciale di cui all’art. 589-bis, comma 7, cod. pen., norma che, se pur successiva alla data del fatto, deve trovare applicazione in quanto sostanziale e più favorevole all’imputata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è meritevole di accoglimento e deve, pertanto, essere rigettato.
2. Le prime due doglianze, le quali attribuiscono alla condotta dei pedoni, in specie della vittima, per le ragioni dianzi esposte, l’esclusiva causa dell’evento, assumendo che la stessa fosse stata eccezionale e, pertanto, imprevedibile, sono infondate.
Giova premettere che, oltre a quelle generiche di prudenza, cautela ed attenzione, le norme che presiedono al comportamento del conducente del veicolo, sono principalmente rinvenibili nell’art. 140 cod. strada, che pone, quale principio generale informatore della circolazione, l’obbligo di comportarsi in modo da non costituire pericolo o intralcio per la circolazione ed in modo che sia in ogni caso salvaguardata la sicurezza stradale, e negli articoli seguenti, laddove si sviluppano, puntualizzano e circoscrivono le specifiche regole di condotte.
Tra queste ultime, di rilievo, con riguardo al comportamento da tenere nei confronti dei pedoni, sono quelle stabilite, dettagliatamente, nell’art. 191 cod. strada, che trovano il loro pendant nel precedente art. 190, il quale, a sua volta, stabilisce le regole comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.
In questa prospettiva, è evidente la regola prudenziale e cautelare fondamentale che deve presiedere al comportamento del conducente, sintetizzata nell’ “obbligo di attenzione” che questi deve tenere al fine di “avvistare” il pedone sì da potere porre in essere efficacemente i necessari accorgimenti atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il dovere di attenzione del conducente, teso all’avvistamento del pedone, trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale di cautela che informa la circolazione stradale e si sostanzia, essenzialmente, in tre obblighi comportamentali: quello di ispezionare la strada dove si procede o che si sta per impegnare; quello di mantenere un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada e del traffico; quello, infine, di prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada, in particolare, per i pedoni (Sez. 4, n. 40908 del 13/10/2005, Tavoliere, Rv. 232422).
Si tratta di obblighi comportamentali posti a carico del conducente anche per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso pedone, vuoi genericamente imprudenti (tipico il caso del pedone che si attarda nell’attraversamento, quando il semaforo, divenuto verde, ormai consente la marcia degli automobilisti), vuoi in violazione degli obblighi comportamentali specifici, dettati dall’art. 190 cod. strada.
Il conducente, infatti, ha, tra gli altri, anche l’obbligo di prevedere le eventuali imprudenze o trasgressioni degli altri utenti della strada e di cercare di prepararsi a superarle senza danno altrui [Sez. 4, n. 1207 del 30/11/1992 (dep. 05/02/1993), Cat Berro, Rv. 193014].
Ne discende che il conducente del veicolo può andare esente da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il solo fatto che risulti accertato un comportamento colposo (imprudente o in violazione di una specifica regola comportamentale) del pedone (una tale condotta risulterebbe, invero, concausa dell’evento lesivo, penalmente non rilevante per escludere la responsabilità del conducente, ai sensi dell’art. 41, comma 1, cod. pen.), ma occorre che la condotta del pedone i configuri, per i suoi caratteri, una vera e propria causa eccezionale, atipica, non prevista né prevedibile, che sia stata da sola sufficiente a produrre l’evento.
Ciò che può ritenersi, solo allorquando il conducente del veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile alcun profilo di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di “avvistare” il pedone e di osservarne, comunque, tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido, inatteso, imprevedibile. Solo in tal caso, infatti, l’incidente potrebbe ricondursi, eziologicamente, proprio ed esclusivamente alla condotta del pedone, avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed operante in assoluta autonomia rispetto a quest’ultima (Sez. 4, n. 33207 del 02/07/2013, Corigliano, Rv. 255995; Sez. 4, n. 44651 del 12/10/2005, Leonini,Rv. 232618;Sez. 4, n. 10635 del 20/02/2013, Calarco, Rv. 255288).
A questi principi si è correttamente informata la Corte territoriale che, con giudizio conforme alle risultanze istruttorie, ha fornito congrua e coerente motivazione sulla colpa ascrivibile all’imputata e sulla incidenza della medesima sotto il profilo causale.
La sentenza impugnata ricorda, invero, come la (OMISSIS) viaggiasse, in ora notturna e su strada priva di illuminazione, «a velocità decisamente superiore a quella che tanto il comune criterio di prudenza quanto disposizioni specifiche di legge imponevano, fermo restando un sicuro concorso di colpa da parte della vittima…».
Al riguardo richiama la prevedibilità, da parte dell’imputata, della presenza di pedoni nelle concrete circostanze di luogo e di tempo (una serata di piena primavera e con condizioni atmosferiche propizie «sicché l’eventualità di incontrare residenti o semplici passanti era non solo possibile ma addirittura probabile»); la natura non eccezionale della condotta, sicuramente colposa, della vittima – che, in violazione dell’art. 190 cod. strada, procedeva sul lato della carreggiata opposto a quello prescritto ed affiancata al compagno Davide (OMISSIS), invece che su un’unica fila – ma certamente non atipica, essendo, anzi, facilmente prevedibile; l’infondatezza di un presunto, imprevedibile spostamento della vittima verso il centro della carreggiata, «smentito dalle parole del (OMISSIS) e non riscontrato neppure nelle dichiarazioni rese dall’imputata».
Ricorda come le dichiarazioni del testimone (OMISSIS) e della stessa imputata diano conto di «una percezione di tutti i protagonisti, dell’avvicinamento della vettura – ciò che esclude un evento assolutamente imprevedibile – ma altresì subitaneo e senza soluzione di continuità rispetto all’impatto, sì da trovare piena conferma la tesi di una velocità di marcia decisamente superiore a quella richiesta nel caso di specie».
La Corte del merito, così come il primo Giudice, danno, altresì, atto di aver preso in considerazione tutte le rispettive consulenze tecniche, pervenendo a disattendere quella della difesa (che calcolava una velocità di marcia di 45-50 km/h), ritenuta non condivisibile perché, come sostenuto anche dal consulente stesso, non supportata da idonea casistica e contrastante con la possibilità dell’auto di arrestarsi a quella velocità.
In conclusione sul punto, la sentenza impugnata afferma, dandone adeguato conto con motivazione esente dalle censure sollevate, che le consulenze della parte civile e del pubblico ministero, connotate da intrinseca coerenza e ragionevolezza circa la velocità serbata dalla (OMISSIS), non sono state confutate dalla consulenza della difesa. Alla medesima stregua, la sentenza di appello esclude che, nel caso di specie, possa invocarsi il principio dell’affidamento.
Al riguardo, va osservato che la giurisprudenza di legittimità tende a limitare la possibilità di fare affidamento sull’altrui correttezza nell’ambito della circolazione stradale, pur ammettendo che il principio di che trattasi debba essere in qualche modo riconosciuto nell’ambito della circolazione stradale.
La soluzione contraria non solo sarebbe irrealistica, ma condurrebbe a risultati non conformi al principio di personalità della responsabilità, prescrivendo obblighi talvolta inesigibili e votando l’utente della strada al destino del colpevole per definizione o, se si vuole, del capro espiatorio.
In base a tale orientamento é stata, perciò, recuperata la nozione di prevedibilità ed evitabilità in concreto, affermandosi, in conseguenza, che il principio di affidamento non possa operare allorquando vi sia la ragionevole prevedibilità della condotta del terzo o della vittima da parte del soggetto attivo [ex multis, Sez. 4, n. 7664 del 06/12/2017 (dep.16/02/2018 ), Bonfrisco, Rv. 272223; Sez. 4, n. 5691 del 02/02/2016, Tettamanti, Rv. 265981; Sez. 4, n. 12260 del 09/01/2015, Moccia e altro, Rv. 263010].
La Corte di appello di Bologna ha ritenuto inapplicabile l’anzidetto principio al caso di specie, atteso che la condotta della vittima non era caratterizzata, per le ragioni dianzi esposte, da assoluta imprevedibilità.
I primi due motivi devono, pertanto, essere disattesi.
Quanto al secondo, in particolare, oltre a quanto sinora detto, deve aggiungersi che lo stesso invoca una diversa ricostruzione dei fatti e della dinamica dell’incidente e che tale giudizio, attenendo al merito dei fatti, non è sindacabile in sede di legittimità perché frutto di un apprezzamento delle emergenze processuali – in ordine alla condotta della ricorrente, ai profili di colpa in essa ravvisati ed alla loro incidenza sotto il profilo causale – del quale, come si è visto, è stata data congrua e coerente giustificazione.
Le censure proposte si risolvono dunque in asserzioni e in considerazioni di merito dirette a contestare il valore probatorio degli elementi utilizzati dal Giudice per pervenire al convincimento di responsabilità e non tengono conto degli argomenti e delle indicazioni probatorie contenuti nella motivazione della sentenza impugnata.
In definitiva, la ricorrente ha sostanzialmente riproposto le tesi difensive già sostenute in sede di merito e disattese dal Tribunale prima e dalla Corte d’Appello, di talché il secondo motivo risulta inammissibile.
3. Il terzo motivo di ricorso, con cui si chiede l’applicazione retroattiva della circostanza attenuante speciale di cui all’art. 589-bis, comma 7, cod. pen., è infondato.
Non può dirsi che il giudice di primo grado abbia riconosciuto la circostanza attenuante della concausa ma non ne abbia dedotto le conseguenze auspicate dal ricorrente (prevalenza insieme alle riconosciute circostanze attenuanti generiche sulla circostanza aggravante di cui al comma secondo dell’art. 589 c.p.). Non lo si può dire perché non la ho detto e perché se l’avesse detto sarebbe incorso in un errore.
La circostanza attenuante della concausa, invero, accede al nuovo omicidio colposo-circolazione stradale che è fattispecie autonoma di reato (prima la violazione era una circostanza aggravante), assai più rigorosa e caratterizzata da circostanze aggravanti non bilanciabili.
Questa Sezione Quarta ( n. 16609 del 2/4/2019, Dalmazzo, Rv. 275653) – investita di recente della questione di legittimità costituzionale dell’art. 589- bis, comma 7, cod. pen., per contrasto con l’art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede l’applicazione della relativa circostanza attenuante ai fatti antecedenti alla sua entrata in vigore- ha affermato che il trattamento sanzionatorio sopravvenuto non può considerarsi più mite di quello vigente all’epoca del fatto, pur avendosi riguardo all’attenuante di cui all’art. 589-bis, comma 7, cod. pen.: occorre infatti tenere presente che la cornice edittale in cui quest’ultima attenuante si colloca é riferita all’ipotesi autonoma di reato di cui all’art. 589-bis cod. pen., che, nella sua configurazione base, é punita con pena da due a sette anni di reclusione e che, in quanto ipotesi autonoma, é sottratta a giudizio di bilanciamento ex art. 69 cod. pen.
Il delitto di omicidio colposo ascritto all’imputata, in base alla normativa vigente all’epoca del fatto, é stato contestato in relazione alla fattispecie prevista dal comma 2 dell’art.589 cod. pen. per il fatto commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale: fattispecie che, all’epoca, era bensì punita anch’essa con una pena compresa tra 2 e 7 anni (come nell’attuale art. 589-bis comma 1 cod. pen.), ma costituiva un’aggravante del delitto di cui all’art. 589, comma 1 (punito nella sua ipotesi base con pena compresa fra 6 mesi e 5 anni di reclusione) e, come tale, era soggetta a giudizio di bilanciamento con eventuali attenuanti concorrenti.
La pena, peraltro, è stata determinata in misura tale da pervenire ad un trattamento sanzionatorio di poco superiore al minimo edittale dell’ipotesi base, previo riconoscimento del giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante.
4. Come si vede, l’impianto argomentativo a sostegno del decisum è puntuale, coerente, privo di discrasie logiche, del tutto idoneo a rendere intelligibile l’iter logico-giuridico seguito dal Giudice e, perciò, a superare lo scrutinio di legittimità, avendo i Giudici di secondo grado preso in esame tutte le deduzioni difensive ed essendo pervenuti alle loro conclusioni attraverso un itinerario logico-giuridico in alcun modo censurabile, sotto il profilo della razionalità, e sulla base di apprezzamenti di fatto non qualificabili in termini di contraddittorietà o di manifesta illogicità e perciò insindacabili in questa sede.
5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 ottobre 2019.
Depositato in Cancelleria il 30 dicembre 2019.