Per la Corte é illegittimo il termine di prescrizione biennale, dei diritti che derivano dai contratti di assicurazione sulla vita, per i quali opera la prescrizione decennale (Corte Costituzionale, Sentenza 29 febbraio 2024, n. 32).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta da:

Presidente: Augusto Antonio BARBERA;

Giudici: Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI, Marco D’ALBERTI, Giovanni PITRUZZELLA, Antonella SCIARRONE ALIBRANDI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2952, secondo comma, del codice civile, nel testo introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2008, n. 166, antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, promosso dalla Corte d’appello di Firenze, sezione seconda civile, nel procedimento vertente tra Poste Vita spa e R. P. con ordinanza del 31 maggio 2023, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 2023 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2023, la cui trattazione è stata fissata per l’adunanza in camera di consiglio del 23 gennaio 2024.

Udita nella camera di consiglio del 7 febbraio 2024 la Giudice relatrice Emanuela Navarretta;

deliberato nella camera di consiglio del 7 febbraio 2024.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza del 31 maggio 2023, iscritta al n. 103 del registro ordinanze 2023, la Corte d’appello di Firenze, sezione seconda civile, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 47 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2952, secondo comma, del codice civile, nel testo introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2008, n. 166, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, nella parte in cui prevede un termine di prescrizione biennale per far valere i diritti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita.

2.– Il giudice premette, in punto di fatto, che O. P., in data 8 gennaio 2002, aveva stipulato con la società Poste Vita spa un contratto, qualificato come «polizza di assicurazione sulla vita di tipo index linked» di durata decennale, indicando, in caso di sua morte, il figlio R. P. quale beneficiario. In data 28 febbraio 2009, tale contratto era stato consensualmente «trasformat[o]» nella polizza «Postafuturo ad hoc» con scadenza fissata al 31 dicembre 2015, avente il medesimo beneficiario.

2.1.– Il giudice a quo riferisce che il contraente era deceduto il 9 settembre 2009 e che solo il 14 novembre 2015 il figlio beneficiario presentava richiesta di liquidazione della polizza. Tuttavia, Poste Vita spa comunicava «l’impossibilità di dar seguito alla richiesta», in considerazione sia della maturata prescrizione biennale decorrente dalla morte del contraente, ai sensi dell’art. 2952, secondo comma, cod. civ., nel testo applicabile ratione temporis, sia dell’obbligo di devolvere gli importi relativi a crediti prescritti al fondo di cui all’art. 1, comma 343, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2006)», istituito «[p]er indennizzare i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito».

2.2.– R. P. adiva, quindi, il Tribunale ordinario di Lucca per chiedere la nullità per difetto di forma del contratto index linked, qualificandolo come investimento finanziario e non come polizza assicurativa, e, in ogni caso, la liquidazione degli importi spettanti in base alla seconda polizza, sostenendo che il termine di prescrizione fosse decennale e che il dies a quo dovesse, comunque, decorrere dall’effettiva conoscenza della polizza sottoscritta dal padre.

Il Tribunale di Lucca dichiarava, da un lato, la nullità del contratto originario, ritenendolo uno strumento finanziario che avrebbe richiesto la previa conclusione di un «contratto quadro» o «contratto generale di investimento», ai sensi dell’art. 23 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, ai sensi degli articoli 8 e 21 della legge 6 febbraio 1996, n. 52); e, da un altro lato, l’inefficacia del secondo contratto, qualificato come novazione di obbligazione avente fonte in un contratto invalido. Condannava, pertanto, la parte convenuta alla restituzione del premio versato.

2.3.– Il rimettente riferisce, di seguito, che Poste Vita spa ha proposto appello avverso la sentenza di primo grado, al quale si è opposto R. P. riproponendo le domande formulate in primo grado, compresa la richiesta di liquidazione della seconda polizza assicurativa.

3.– Nell’ambito di tale giudizio, la Corte d’appello di Firenze ha sollevato d’ufficio questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2952, secondo comma, cod. civ., nel testo introdotto dell’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, applicabile ratione temporis alla fattispecie.

Secondo il giudice a quo, la norma violerebbe gli artt. 3 e 47 Cost. e il vulnus potrebbe essere sanato eliminando la prevista durata biennale della prescrizione per i diritti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita.

4.– Quanto al profilo della rilevanza, il giudice a quo ritiene, anzitutto, di dover accogliere i motivi di appello concernenti la presunta nullità della prima polizza e la supposta qualificazione come novazione inefficace della seconda polizza.

A tal proposito, il giudice rimettente esclude la nullità del primo contratto, qualificandolo come polizza del ramo III, sul presupposto che l’accordo prevedeva la garanzia di restituzione integrale del premio unico versato, garantiva la prestazione a prescindere dai risultati della gestione finanziaria ed era stato redatto per iscritto con compiuta indicazione delle condizioni applicabili. Di riflesso, nega che il secondo contratto possa reputarsi quale novazione inefficace di obbligazione inesistente.

Conseguentemente, la Corte rimettente rileva di dover «necessariamente esaminare la richiesta di parte appellante Poste Vita S.p.A. di rigetto delle domande avanzate [dal Sig. R.] P. di liquidazione della seconda polizza, di ramo I».

A tal riguardo, reputa non percorribile un’interpretazione conforme a Costituzione dell’art. 2952, secondo comma, cod. civ. – nel suo testo vigente ratione temporis – stante il suo chiaro tenore letterale: la disposizione stabilisce, infatti, che la prescrizione decorra «dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda».

Inoltre, il giudice a quo precisa che la disposizione applicabile al caso di specie è quella censurata, poiché il testo introdotto dall’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, è entrato in vigore quando il termine di prescrizione biennale era già interamente maturato; né quella disciplina aveva previsto alcuna norma transitoria.

In sostanza, secondo il rimettente, sussisterebbe la rilevanza delle questioni sollevate, poiché, ove queste venissero accolte, «troverebbe applicazione il regime prescrizionale ordinario di cui all’art. 2946 c.c., la cui portata normativa si riespanderebbe fino a ricomprendere la fattispecie all’odierno esame […] e l’eccezione sollevata al riguardo da Poste Vita S.p.A. andrebbe rigettata».

5.– Nel merito, il giudice a quo argomenta la non manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale della norma censurata sollevate in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost.

5.1.– A tal fine, ricostruisce l’evoluzione storica della disposizione, precisando che, prima della novella del 2008, essa prevedeva, per i diritti derivanti dal contratto di assicurazione diversi dal pagamento delle rate di premio, il termine di prescrizione di un anno dal giorno in cui si era verificato il fatto su cui il diritto si fondava, termine che diveniva biennale nel caso del contratto di riassicurazione.

Secondo il rimettente, già l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni private e di interesse collettivo (ISVAP) aveva evidenziato l’irragionevolezza della previsione di un termine breve di prescrizione rispetto alle polizze vita, tant’è che, con la circolare n. 403/D del 16 marzo 2000, lo stesso ente di vigilanza aveva invitato le imprese assicurative a procedere alla liquidazione degli importi concernenti il ramo vita anche in caso di richieste tardive, essendo emerso «[d]all’esame di taluni esposti […] che nella maggior parte dei casi la tardiva richiesta dipendeva dal fatto che i beneficiari non erano a conoscenza dell’esistenza della polizza, avendo ritrovato la documentazione solo in un momento successivo al decesso dell’assicurato» (punto 8).

Il giudice a quo precisa, di seguito, che l’art. 3 del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, se, da un lato, aveva elevato il citato termine di prescrizione da uno a due anni anche nel caso del contratto di assicurazione, da un altro lato, aveva, nel contempo, previsto la immediata e obbligatoria devoluzione al fondo di cui all’art. 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005 di tutti gli importi concernenti le polizze vita non richiesti entro il termine di prescrizione.

5.2.– A parere del rimettente, questa soluzione normativa avrebbe comportato conseguenze gravemente e ingiustificatamente pregiudizievoli per i beneficiari delle prestazioni di polizze vita.

In particolare, il giudice a quo rileva, in primo luogo, che il termine di prescrizione sarebbe rimasto «di estrema brevità» e dunque «di per sé irragionevole», poiché tale da non rendere «effettiva la possibilità di esercizio del diritto, specie in caso di decesso dell’assicurato». Precisa, in proposito, che solo successivamente al periodo per cui è causa, con l’art. 20-quinquies, comma 1, del decreto-legge 23 ottobre 2018, n. 119 (Disposizioni urgenti in materia fiscale e finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2018, n. 136, è stato introdotto il comma 1-bis nell’art. 3 del decreto del Presidente della Repubblica 22 giugno 2007, n. 116 (Regolamento di attuazione dell’articolo 1, comma 345, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, in materia di depositi dormienti), che impone alle imprese assicuratrici, ogni anno, di verificare con strumenti informatici «l’esistenza in vita degli assicurati delle polizze vita», attivandosi nel caso per la procedura di corresponsione della somma assicurata al beneficiario.

In secondo luogo, osserva che l’obbligo di procedere al versamento degli importi al fondo dei “rapporti dormienti” avrebbe precluso alle stesse imprese di procedere comunque al pagamento degli importi ai beneficiari.

Infine, constata che le modalità e i termini di devoluzione al fondo sarebbero risultati irragionevoli e penalizzanti anche nel confronto con gli altri consumatori, i cui risparmi parimenti confluiscono in quel fondo: la prescrizione era più breve rispetto a quella decennale prevista in generale per i “rapporti dormienti” dall’art. 1, comma 1, lettera b), del d.P.R. n. 116 del 2007 e non era previsto alcun obbligo di avviso o verifica preliminare da parte delle imprese assicurative. Viceversa, per gli altri rapporti, l’art. 3, comma 1, del medesimo d.P.R. stabilisce il preventivo invio, tramite raccomandata, di un «invito ad impartire disposizioni entro il termine di 180 giorni dalla data della ricezione», con avviso che solo «decorso tale termine, il rapporto verrà estinto e le somme ed i valori relativi a ciascun rapporto verranno devoluti al fondo». Inoltre, non veniva neppure indicato un termine entro il quale poter rivolgere le proprie istanze direttamente al fondo, similmente a quanto accadeva, e accade tuttora, per gli assegni circolari, ai sensi dell’art. 1, comma 345-ter, della legge n. 266 del 2005.

In sostanza, secondo il giudice rimettente, «l’intervento normativo attuato nel 2008 non solo non [avrebbe] risolto il problema, già segnalato dall’ISVAP, dell’irragionevolezza intrinseca del termine di prescrizione breve per i diritti nascenti dalle polizze vita, […] ma lo [avrebbe] anzi ulteriormente accentuato e reso ancora più grave, introducendo una sorta di automatico e irreversibile “esproprio”, a favore di un fondo statale, delle somme spettanti ai beneficiari», senza un previo avviso, né la possibilità di adempimento ex art. 2940 cod. civ. da parte delle imprese assicurative.

A chiusura della sua argomentazione, il giudice a quo richiama la modifica avvenuta con l’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, che, «[a]l fine di superare possibili disparità di trattamento tra i consumatori nel settore delle polizze vita» e per «garantire maggiormente i consumatori – soprattutto gli eredi che devono riscuotere le polizze vita dei loro cari» – ha allungato il termine di prescrizione portandolo a dieci anni.

5.3.– In definitiva, il giudice rimettente, pur riconoscendo l’ampio margine di discrezionalità riservato al legislatore nell’individuazione del termine di prescrizione, ritiene manifestamente irragionevole quanto previsto dalla norma censurata.

Quest’ultima sarebbe «in patente contraddizione con la speciale protezione che il legislatore, in attuazione del dovere della Repubblica di tutelare il risparmio previdenziale, assicura invece alle stesse polizze vita in altri ambiti, quali l’impignorabilità e l’insequestrabilità delle somme dovute dall’assicuratore al contraente e al beneficiario ex art. 1923 c.c., l’esclusione delle indennità dall’asse ereditario ex art. 12 del d.lgs. n. 346 del 1990, la speciale disciplina fiscale».

Il giudice a quo ritiene che un intervento meramente ablativo, che escluda dal termine di prescrizione biennale le polizze vita, sia sufficiente a colmare il vulnus normativo, poiché comporterebbe l’applicazione del termine ordinario di prescrizione decennale ex art. 2946 cod. civ., in linea con il successivo intervento legislativo che ha novellato, con l’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, l’art. 2952, secondo comma, cod. civ.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 31 maggio 2023, iscritta al n. 103 reg. ord. 2023, la Corte d’appello di Firenze ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost., questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2952, secondo comma, cod. civ., nel testo introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, nella parte in cui prevede un termine di prescrizione biennale per far valere i diritti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita.

2.– Il giudice a quo ritiene che la disciplina prevista dalla disposizione censurata vìoli gli artt. 3 e 47 Cost., presentando profili di irragionevolezza, che pregiudicano la tutela del risparmio.

A parere del rimettente, il breve termine di prescrizione imposto per le polizze vita risulterebbe manifestamente irragionevole, in quanto non renderebbe effettivo il possibile esercizio di diritti derivanti da un contratto che ha una funzione di risparmio previdenziale.

2.1.– La Corte d’appello di Firenze rileva come il termine biennale sia tale da ostacolare l’effettivo esercizio del diritto alle prestazioni assicurative specie da parte dei beneficiari, in caso di decesso dell’assicurato, tanto più che – nel periodo di vigenza della disposizione – le assicurazioni non disponevano di strumenti informatici che consentissero loro di accertare lo stato degli assicurati delle polizze vita, e non erano tenute ad attivarsi per informare i beneficiari della polizza.

Peraltro, in ragione dell’obbligo posto a carico delle società di assicurazioni di procedere, una volta decorso il termine di prescrizione, alla devoluzione delle somme non reclamate dai beneficiari al fondo dei “rapporti dormienti”, risultava inibito a tali imprese effettuare il pagamento degli importi dovuti, omettendo di eccepire la prescrizione. Oltretutto, a differenza di quanto disposto dalla sopravvenuta normativa, non applicabile ratione temporis ai rapporti in questione, i beneficiari non venivano neppure avvisati del versamento al fondo dei “rapporti dormienti”, né potevano rivolgersi a tale fondo.

2.2.– In definitiva, il giudice rimettente contesta che sia stato concepito un meccanismo che introduce «una sorta di automatico e irreversibile “esproprio”, a favore di un fondo statale», in pregiudizio dei diritti dei beneficiari ai quali erano indirizzate le somme frutto del risparmio dei contraenti, e questo «in patente contraddizione con la speciale protezione che il legislatore, in attuazione del dovere della Repubblica di tutelare il risparmio previdenziale, assicura invece alle stesse polizze vita in altri ambiti».

Il giudice chiede, pertanto, un intervento ablativo con riferimento alle polizze vita, che avrebbe come conseguenza l’espansione del termine ordinario decennale di cui all’art. 2946 cod. civ.

3.– Il rimettente argomenta la rilevanza delle questioni, accogliendo i motivi di appello logicamente preliminari e ritenendo applicabile ratione temporis la disposizione censurata al caso di specie. Esclude, inoltre, la percorribilità di una interpretazione conforme a Costituzione.

4.– Nel merito, le questioni sollevate in riferimento agli artt. 3 e 47 Cost. sono fondate.

5.– Nella disciplina della prescrizione il legislatore gode di ampia discrezionalità che gli consente di perseguire finalità pubblicistiche e, al contempo, di bilanciare gli interessi privatistici delle parti che si contrappongono. Può, in particolare, stabilire lunghi termini di prescrizione, così come può, invece, prevedere termini brevi, magari associati a una flessibilità del termine di decorrenza ed eventualmente abbinati – sul modello di altri ordinamenti giuridici – a un termine finale che non si può oltrepassare.

Nondimeno, tale ampia discrezionalità incontra un limite: quello di non poter essere esercitata «“in modo da non rendere effettiva la possibilità di esercizio del diritto cui si riferisce, e di conseguenza inoperante la tutela voluta accordare al cittadino leso” (ex plurimis, ordinanze n. 16 del 2006 e n. 153 del 2000)» (sentenza n. 234 del 2008).

Tale limite risulta valicato dalla disposizione censurata.

6.– L’art. 2952, secondo comma, cod. civ. prevede che gli «altri diritti», rispetto a quelli indicati al primo comma, «derivanti dal contratto di assicurazione e dal contratto di riassicurazione si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda».

A tali «altri diritti» si ascrive, in particolare, quello che, insieme al pagamento dei premi (evocato al primo comma), dà attuazione alla funzione del contratto: vale a dire, il diritto al pagamento delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al terzo beneficiario. Intorno a tale situazione giuridica soggettiva è plasmata la disciplina in esame e rispetto a essa occorre interrogarsi sulla ratio della norma, che si riflette sul giudizio di ragionevolezza.

La formulazione della previsione censurata è quella vigente dopo la sostituzione del secondo comma dell’art. 2952 cod. civ. disposta dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, e antecedente a quella prevista dall’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito.

Nello specifico, la disciplina introdotta nel 2008 ha elevato a due anni il termine di prescrizione, che originariamente era di un anno, mentre la riforma del 2012 ha escluso da tale prescrizione biennale i diritti che derivano dal contratto di assicurazione sulla vita, ai quali si applica la prescrizione decennale.

Il rimettente invoca una dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui non prevede che possa operare la medesima esclusione dalla prescrizione biennale dei diritti derivanti dal contratto di assicurazione sulla vita, onde far riespandere per tali diritti il termine ordinario di prescrizione decennale.

7.– L’art. 2952, secondo comma, cod. civ. fa perno – come già anticipato (punto 6) – su due elementi: la durata biennale del termine di prescrizione e il termine di decorrenza identificato nel «fatto su cui il diritto si fonda».

7.1.– Il dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione biennale è costituito da un parametro che, nel caso delle somme dovute dall’assicuratore all’assicurato o al beneficiario, si identifica negli eventi – la morte o la sopravvivenza alla data di scadenza del contratto – che consentono l’acquisizione del diritto maturato in virtù dell’assicurazione e, nel caso del terzo beneficiario, della designazione.

Il carattere oggettivo del dies a quo nell’assicurazione sulla vita non è messo in discussione dal diritto vivente (da ultimo, Corte di cassazione, sezione terza civile, ordinanza 21 ottobre 2022, n. 31144; sezione sesta civile, ordinanza 15 settembre 2020, n. 19112 e sezione terza civile, ordinanza 25 agosto 2020, n. 17672).

Anzi, esso viene giustificato con l’esigenza, propria delle imprese assicurative, di avere certezza circa il momento in cui il diritto può essere fatto valere, onde poter approntare un’organizzazione tecnico-giuridica idonea a garantire il tempestivo pagamento delle somme spettanti agli assicurati.

7.2.– Tanto premesso, l’abbinamento a tale dies a quo oggettivo, che rinviene una specifica motivazione nel sistema delle assicurazioni sulla vita, di un termine di prescrizione breve presenta, nel contesto delle polizze vita, profili di manifesta irragionevolezza.

Da un lato, infatti, non si riscontra, rispetto ai diritti che derivano dall’assicurazione sulla vita, quella esigenza di un pronto accertamento del diritto che può giustificare una prescrizione breve.

Da un altro lato, l’assicurazione sulla vita abbraccia fattispecie nelle quali il titolare del diritto al pagamento delle somme dovute dall’assicuratore è di frequente un terzo beneficiario, il quale ben potrebbe ignorare di essere titolare del diritto e, dunque, potrebbe risultare particolarmente pregiudicato da un termine di prescrizione breve.

7.2.1.– Sotto il primo profilo, va evidenziato che nell’assicurazione sulla vita non ricorre la medesima necessità di rapida verifica del fatto costitutivo del diritto, che emerge nell’ambito dell’assicurazione contro i danni.

Nel contesto di quest’ultima tipologia contrattuale, il diritto all’indennizzo in tanto spetta, in quanto siano accertati l’evento lesivo coperto dall’assicurazione, il nesso di causalità e i danni per i quali si richiede l’indennizzo.

Maggiore è il tempo che trascorre, più potrebbe risultare difficile comprovare gli elementi costitutivi del diritto. Per tale ragione, questa Corte – riferendosi al termine triennale per far valere le prestazioni coperte dall’assicurazione obbligatoria erogate dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) – ha ritenuto la relativa disciplina non irragionevole, riscontrando la «necessità oggettiva di pervenire ad una pronta ricerca dei fatti, potendo un’attesa superiore ai tre anni pregiudicare la raccolta di prove utili a verificare il rapporto eziologico tra infortunio (o malattia) ed evento ai fini della risarcibilità» (sentenza n. 207 del 1997, che richiama la sentenza n. 71 del 1993). Si è escluso, dunque, un contrasto con l’art. 3 Cost., sul presupposto che l’esigenza «di pronto accertamento dei fatti», correlata al breve termine di prescrizione, operasse anche nell’interesse dell’avente diritto, oltre che dell’ente assicurativo tenuto a erogare la prestazione (sentenza n. 297 del 1999).

Per converso, l’assicurazione sulla vita non svolge una funzione indennitaria rispetto al verificarsi di un sinistro, ma ha una prevalente funzione di risparmio previdenziale, correlata all’alea della durata della vita. Tramite l’accantonamento dei premi e il loro eventuale rendimento, infatti, il contratto offre una tranquillità economica all’assicurato o a terzi, al verificarsi di eventi della vita (dell’assicurato o di terzi), quali il decesso o la sopravvivenza alla scadenza del contratto.

A ulteriore conforto di tale ricostruzione, le somme dovute dall’assicuratore non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare (art. 1923, primo comma, cod. civ.) e il contratto deve regolare i diritti di riscatto e di riduzione della polizza (art. 1925 cod. civ.), istituti non applicabili alle altre assicurazioni.

A fronte, dunque, di quella che è la prevalente funzione del contratto di assicurazione sulla vita, non si giustifica la previsione di un sì breve termine di prescrizione per acquisire somme che derivano dal meccanismo di accumulo del risparmio e che spettano al verificarsi di eventi – la morte o la sopravvivenza alla data di scadenza dell’assicurazione – che non implicano, in genere, alcuna complessità di accertamento.

7.2.2.– Se, pertanto, nell’assicurazione sulla vita non si rinvengono ragioni idonee a giustificare in sé la previsione di una prescrizione breve, la sua combinazione con un dies a quo oggettivo determina, nel contesto in esame, la manifesta irragionevolezza della prescrizione biennale.

Nell’assicurazione sulla vita, infatti, è tutt’altro che remota l’eventualità che il titolare del diritto al pagamento delle somme dovute dall’assicuratore sia un terzo beneficiario e che egli sia ignaro di aver acquisito il diritto, non essendo a conoscenza della sua designazione.

La pretesa che un tale diritto sia esercitato in tempi molto brevi si risolve, dunque, in una eccessiva difficoltà, se non in una impossibilità di farlo valere.

7.2.2.1.– In particolare, nessuna previsione di legge stabilisce che l’assicurato debba informare il beneficiario della designazione. Al contrario, il legislatore ha stabilito che l’assicurato possa sempre revocare il beneficio (art. 1921 cod. civ.), finanche tramite testamento (art. 1920 cod. civ.), salvo che l’evento si sia verificato o l’assicurato abbia rinunciato per iscritto alla revoca e il beneficiario abbia dichiarato di voler profittare del beneficio (così il citato art. 1921 cod. civ.).

Si riscontra, dunque, una situazione che ha forti similitudini con l’istituto dell’accettazione dell’eredità, allorché colui che ha il diritto di accettare non sappia di essere stato designato quale erede dal testamento. In tal caso, però, il legislatore compensa l’oggettività del dies a quo – che decorre dall’apertura della successione e, dunque, dalla morte del de cuius, salva l’ipotesi della istituzione condizionale che fa principiare il computo del termine a partire dal verificarsi della condizione – con la previsione del termine decennale di prescrizione (art. 480, primo comma, cod. civ.).

7.2.2.2.– Se, dunque, il contraente non è tenuto a informare il beneficiario della designazione, a ben vedere, – nella vigenza della norma censurata – un obbligo di informazione non sussisteva neppure in capo allo stipulante.

In disparte la riconducibilità o meno alla regola di correttezza di un tale dovere di informazione – ciò che il diritto vivente aveva escluso (Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanza 26 settembre 2018, n. 23069) –, in ogni caso, esso non sarebbe stato esigibile prima del 2018.

Infatti, solo con l’art. 20-quinquies, comma 1, del d.l. n. 119 del 2018, come convertito – che è intervenuto sull’art. 3 del d.P.R. n. 116 del 2007 – è stato disposto che le imprese di assicurazione verifichino, «entro il 31 dicembre di ciascun anno, tramite servizio di cooperazione informatica con l’Agenzia delle entrate, esclusivamente per i dati strettamente necessari, l’esistenza in vita degli assicurati» e che, in caso di corrispondenza tra il codice fiscale dell’assicurato e la persona deceduta, le imprese si attivino per la procedura di corresponsione della somma assicurata al beneficiario, «inclusa la ricerca del beneficiario ove non espressamente indicato nella polizza» (art. 3, comma 1-bis, del citato d.P.R.).

Sennonché, quando tale disciplina è stata introdotta, la disposizione censurata già non era più in vigore.

Peraltro, non si può tacere che, in ogni caso, l’eventuale violazione del dovere informativo assicura al più una tutela risarcitoria, sicché opportunamente la previsione dell’obbligo di informazione è stata aggiunta alla nuova disciplina, che ha introdotto nel 2012 il termine di prescrizione decennale, rendendo così possibile e non eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti, di cui all’art. 2952, secondo comma, cod. civ., derivanti dall’assicurazione sulla vita.

7.2.3.– Infine, un’ulteriore ragione contribuisce a delineare un quadro di estrema difficoltà, se non talora di impossibilità, a far valere i diritti regolati dalla norma censurata.

Si tratta del coordinamento sistematico di tale previsione con quella secondo cui gli importi non reclamati entro il termine di prescrizione debbano essere devoluti al fondo costituito con i rapporti “dormienti”, di cui all’art. 1, comma 343, della legge n. 266 del 2005.

Lo ha stabilito, in particolare, l’art. 3, comma 2-bis, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, che ha aggiunto, all’art. 1 della legge n. 266 del 2005, il comma 345-quater (poi ulteriormente modificato dall’art. 4, comma 1-bis, del decreto-legge 9 ottobre 2008, n. 155, recante «Misure urgenti per garantire la stabilità del sistema creditizio e la continuità nell’erogazione del credito alle imprese e ai consumatori, nell’attuale situazione di crisi dei mercati finanziari internazionali», convertito, con modificazioni, nella legge 4 dicembre 2008, n. 190).

L’intervento è stato contestuale alla introduzione, con l’art. 3, comma 2-ter, del medesimo d.l. n. 134 del 2008, sopra citato, della disposizione recante la norma censurata, che – come già anticipato (punto 6) – ha portato il termine di prescrizione degli «altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione» da uno a due anni.

Prima di tale novella, se è vero che il termine di prescrizione di cui all’art. 2952, secondo comma, cod. civ., risultava, nel caso del contratto di assicurazione, ancora più breve (uno anziché due anni), nondimeno si era diffusa una prassi che di fatto garantiva una tutela. Le imprese di assicurazione non sollevavano l’eccezione di prescrizione ed eseguivano la prestazione nei confronti dei beneficiari, quando questi non avessero potuto avere tempestiva conoscenza del proprio diritto, sempre che le richieste di liquidazione fossero pervenute entro dieci anni dalla morte dell’assicurato o dalla scadenza del contratto.

Simile prassi era stata suggerita dallo stesso ISVAP – oggi sostituito dall’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS), in base all’art. 13 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 135 – che aveva rilevato come la maggior parte dei casi di richieste non tempestive dipendessero «dal fatto che i beneficiari non erano a conoscenza dell’esistenza della polizza, avendo ritrovato la documentazione solo in un momento successivo al decesso dell’assicurato» (punto 8 della circolare n. 403/D del 16 marzo 2000).

Per converso, il sopravvenuto obbligo di devolvere al fondo costituito con i rapporti “dormienti” le somme che non fossero state richieste, entro il termine di prescrizione, ha indotto le imprese assicurative a eccepire la prescrizione e ha impedito ai beneficiari di poter confidare finanche nella tutela offerta dall’art. 2940 cod. civ., che esclude la ripetizione dei debiti prescritti che siano stati spontaneamente adempiuti.

8.– Evidenziata la manifesta irragionevolezza della norma censurata che, dunque, vìola l’art. 3 Cost., essa, al contempo, contrasta con l’art. 47 Cost., che «tutela il risparmio in tutte le sue forme», poiché sacrifica diritti che, in virtù del contratto di assicurazione sulla vita, derivano dal risparmio previdenziale.

Vero è che l’art. 1882 cod. civ. dà una definizione ampia dell’assicurazione sulla vita, facendo riferimento al «contratto col quale l’assicuratore, verso pagamento di un premio, si obbliga […] a pagare un capitale o una rendita al verificarsi di un evento attinente alla vita umana». Nondimeno, la funzione che primariamente si rinviene in concreto nei contratti ascrivibili a tale tipo negoziale – e che è riflessa nella disciplina dettata dal Libro IV, Titolo III, Capo XX, Sezione III, del codice civile – è, come già precisato (punto 7.2.1.), quella di preservare il risparmio in funzione previdenziale e di operare una capitalizzazione correlata al cd. rischio demografico (sentenza n. 400 del 1987; inoltre, quanto alla giurisprudenza di legittimità, Corte di cassazione, sezione seconda civile, sentenza 22 ottobre 2021, n. 29583; sezione terza civile, sentenza15 aprile 2021, n. 9948; sezione prima civile, sentenza 14 giugno 2016, n. 12261; sezioni unite civili, sentenza 31 marzo 2008, n. 8271).

Posto, dunque, che la tutela effettiva del diritto al pagamento delle somme dovute dall’assicuratore, in specie al terzo beneficiario, è inibita da un dies a quo oggettivo associato a un termine di prescrizione breve, la manifesta irragionevolezza della compressione di tale diritto, che deriva dal risparmio previdenziale, comporta una violazione anche dell’art. 47 Cost.

La tutela del risparmio è, infatti, sempre soggetta a possibili bilanciamenti, purché non venga irragionevolmente compressa (sentenze n. 149 del 2021, n. 322 e n. 73 del 1996 e n. 143 del 1995).

È, del resto, emblematico che lo stesso legislatore, nel sostituire la disposizione censurata con la legge n. 221 del 2012, di conversione del d.l. n. 179 del 2012, che ha escluso dall’applicazione del termine di prescrizione biennale, di cui all’art. 2952, secondo comma, cod. civ., i diritti che derivano dal contratto di assicurazione sulla vita, abbia voluto esplicitare le ragioni dell’intervento, facendo riferimento all’esigenza «di superare possibili disparità di trattamento tra i consumatori nel settore delle polizze vita».

La norma oggi vigente ha, dunque, applicato ai diritti di cui all’art. 2952, secondo comma, cod. civ., che derivano dalla assicurazione sulla vita, la prescrizione ordinaria, distinguendo la loro disciplina da quella dei diritti derivanti dai contratti di assicurazione contro i danni.

9.– In definitiva, la norma censurata vìola il principio di ragionevolezza, di cui all’art. 3 Cost., e, al tempo stesso, pregiudica diritti che derivano dal risparmio previdenziale, tutelato dall’art. 47 Cost.

Pertanto, l’art. 2952, secondo comma, cod. civ., nel testo successivo a quello introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del d.l. n. 134 del 2008, come convertito, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del d.l. n. 179 del 2012, come convertito, è costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede l’esclusione, dal termine di prescrizione biennale, dei diritti che derivano dai contratti di assicurazione sulla vita, per i quali opera la prescrizione decennale.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 2952, secondo comma, del codice civile, nel testo introdotto dall’art. 3, comma 2-ter, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134 (Disposizioni urgenti in materia di ristrutturazione di grandi imprese in crisi), convertito, con modificazioni, nella legge 27 ottobre 2008, n. 166, e antecedente a quello sostituito con l’art. 22, comma 14, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2012, n. 221, nella parte in cui non prevede l’esclusione, dal termine di prescrizione biennale, dei diritti che derivano dai contratti di assicurazione sulla vita, per i quali opera la prescrizione decennale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2024.

F.to:

Augusto Antonio BARBERA, Presidente

Emanuela NAVARRETTA, Redattrice

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 29 febbraio 2024

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Roberto MILANA

SENTENZA

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Articolo 2952 Codice Civile

(R.D. 16 marzo 1942, n. 262)

Prescrizione in materia di assicurazione

Il diritto al pagamento delle rate di premio si prescrive in un anno dalle singole scadenze.

Gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione e dal contratto di riassicurazione si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda, ad esclusione del contratto di assicurazione sulla vita i cui diritti si prescrivono in dieci anni.

Nell’assicurazione della responsabilità civile, il termine decorre dal giorno in cui il terzo ha richiesto il risarcimento all’assicurato o ha promosso contro di questo l’azione.

La comunicazione all’assicuratore della richiesta del terzo danneggiato o dell’azione da questo proposta sospende il corso della prescrizione finché il credito del danneggiato non sia divenuto liquido ed esigibile oppure il diritto del terzo danneggiato non sia prescritto.

La disposizione del comma precedente si applica all’azione del riassicurato verso il riassicuratore per il pagamento dell’indennità.