REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Rel. Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20420-2019 proposto da:
(OMISSIS) SULIMAN, rappresentato e difeso dall’avv. FRANCESCO (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO IN PERSONA DEL MINISTRO PRO-TEMPORE, COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE CROTONE;
– intimati –
avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositata il 29/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/02/2021 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA.
RITENUTO IN FATTO
(OMISSIS) Suliman, cittadino del Gambia, proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Catanzaro avverso la decisione della locale Commissione territoriale, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria.
A sostegno della domanda deduceva di aver lasciato il Paese d’origine per problemi di natura familiare, avendo litigato con la moglie del fratello maggiore, insieme al quale e ad altri due fratelli più piccoli viveva dopo la morte di entrambi i genitori.
Deduceva, in particolare, che per difendersi da un’aggressione di lei, l’aveva fatta cadere dalle scale, procurandole la perdita del bambino che portava in grembo; che per tale fatto la cognata l’aveva minacciato di morte, costringendolo così a scappare di casa e a nascondersi; e che temeva, in caso di rientro in patria, di essere ucciso dal fratello maggiore.
Con decreto n. 1429/19 del 29.4.2019 il Tribunale rigettava il ricorso, ritenendo che nonostante il richiedente presentasse un deficit cognitivo, il racconto di lui non fosse credibile, per le contraddizioni sui rapporti di parentela, per la genericità del narrato e per la carente esposizione delle ragioni della lite con la cognata, a seguito del quale quest’ultima aveva abortito.
Quanto alla protezione sussidiaria di cui alla lett. c) dell’art. 14 D.Lgs. n. 251/07, rilevava che la transizione di potere ai vertici dello Stato, benché avesse richiesto l’intervento delle truppe dell’ONU. non aveva provocato nel Gambia una situazione di conflitto armato né una situazione di violenza generalizzata nel Paese.
Quanto alla protezione umanitaria, infine, il Tribunale osservava che dalla relazione tecnica in atti confermata anche dal certificato dell’ASP di Catanzaro, era emerso:
– che il richiedente era affetto da un deficit cognitivo con ritardo mentale moderato, che gli permetteva di essere completamente autonomo e di vivere serenamente con gli ospiti e gli operatori del centro:
– che egli aveva sviluppato abilità di tipo pratico che metteva a disposizione del centro aiutando nelle mansioni quotidiane:
– che tutto ciò era possibile all’interno del centro stesso, luogo protetto che ne favoriva lo sviluppo;
– che, sempre a giudizio della relazione tecnica, era opportuno che il richiedente, viste le sue condizioni di salute, restasse in un contesto protetto che ne favorisse il sostegno psicologico, permettendogli di sviluppare abilità cognitive che il contesto socio-culturale d’origine non gli aveva permesso di formare.
Ciò considerato. osservava quindi il Tribunale, non emergeva un’impossibilità del ricorrente di far fronte alle normali esigenze della vita quotidiana, considerata la sua autonomia e la sussistenza di abilità di tipo pratico.
Inoltre, egli non aveva in Italia alcun legame affettivo o familiare significativo, mentre in Gambia avrebbe potuto contare sul supporto dei fratelli più piccoli, con i quali era rimasto in contatto.
La cassazione di tale provvedimento è richiesta dal richiedente sulla base di quattro motivi.
Il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerate ex art. 380-bis. 1 . c.p.c.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Col primo motivo è dedotta, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 8, commi 3 e 3-bis, 27 e 35-bis D.Lgs. n. 25/08, 10-16 direttiva 2013/32/IJE, 3 D.Lgs. n. 251/07.
L’audizione del ricorrente davanti alla Commissione e al Tribunale, si sostiene, è avvenuta in violazione del dovere di cooperazione istruttoria, senza l’ausilio di personale specializzato e senza adottare le opportune cautele in relazione al deficit cognitivo e al ritardo mentale del richiedente.
Questi, di riflesso, non è stato posto nelle condizioni di spiegare ed argomentare al meglio le persecuzioni subite e di comprendere ciò che gli stava accadendo.
2. – Il secondo motivo denuncia, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione dell’art. 3 D.Lgs. n. 251/07 e dell’art. 8, terzo comma, D.Lgs. n. 25/08, in quanto il giudizio di incoerenza interna del racconto del richiedente non ne ha considerato le anzidette condizioni di vulnerabilità, né è stato compiuto attingendo alle informazioni generali sul Paese d’origine, il che avrebbe consentito di superare quelle che sono state, invece, ritenute contraddizioni sulla composizione della famiglia di lui.
3. – Col terzo mezzo è allegata, in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., la violazione o falsa applicazione degli artt. 8, terzo comma D.Lgs. n. 25/08, e 3, 14 e 17 D.Lgs. n. 251/07.
Parte ricorrente censura la decisione impugnata lì dove vi si afferma, in merito alla protezione sussidiaria, che non risulta che il richiedente sia stato denunciato (per le lesioni asseritamente cagionate alla cognata: n.d.r.) o che egli rischi di essere sottoposto a procedimento penale.
Sostiene, al riguardo, che il fatto che il richiedente non risulti essere stato denunciato o che rischi la sottoposizione a trattamenti inumani o degradanti dipende unicamente dall’incompleta attività istruttoria compiuta, che se svolta avrebbe fatto emergere, invece, come le condizioni di vita nelle carceri gambiane non siano in linea con gli standard internazionali e come in detto Paese si faccia ricorso ad un uso smodato della carcerazione preventiva.
4. – Il quarto motivo di ricorso lamenta l’omesso esame di fatti decisivi, in relazione al n. 5 dell’art. 360 c.p.c., e la violazione o falsa applicazione, in rapporto al n. 3 dell’art. 360 c.p.c., degli artt. 2, 10 e 111, sesto comma, Cost., 132. n. 4 c.p.c., 18 disp. att. c.p.c., 5, sesto comma. D.Lgs. n. 286/98, e 2 e 8 CEDU.
Il Tribunale, si sostiene, non ha considerato che lo sviluppo di abilità e capacità di vita autonoma del richiedente è stato reso possibile soltanto dall’attuale inserimento di lui all’interno d’un centro d’accoglienza.
Da tali conclusioni tecniche il Tribunale si è discostato senza disporre di proprie competenze mediche e senza verificare effettivamente se nel Paese d’origine ci fosse una struttura o fossero disponibili cure adeguate alla patologia del richiedente.
5. – I primi due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro stretta consequenzialità, sono infondati.
Le modalità del colloquio, previste dall’art. 13, comma 2. D.Lgs. n. 25/08, per i casi di cui il richiedente, in quanto portatore delle particolari esigenze di cui all’art. 17 del D.Lgs. n. 142/15, necessiti di personale di sostegno che presti la necessaria assistenza, non sono prescritte a pena di nullità, ma rimesse all’apprezzamento della Commissione, prima, e del Tribunale, poi, se ed in quanto quest’ultimo reputi necessaria l’audizione innanzi a sé. Inoltre, si tratta di questione che non possiede rilevanza nel giudizio introdotto innanzi al Tribunale, il cui procedimento ha ad oggetto il diritto soggettivo del ricorrente alla protezione invocata, e deve pervenire alla decisione nel merito circa la spettanza, o meno, del diritto stesso non potendo limitarsi al mero annullamento del diniego amministrativo (nn. 17318/19, 18632/14 e 26480/11).
6. – Anche il terzo motivo non ha pregio.
Una volta esclusa la credibilità intrinseca della narrazione offerta dal richiedente asilo alla luce di riscontrate contraddizioni, lacune e incongruenze, non deve procedersi al controllo della credibilità estrinseca – che attiene alla concordanza delle dichiarazioni con il quadro culturale, sociale religioso e politico del Paese di provenienza, desumibile dalla consultazione di fonti internazionali meritevoli di credito – poiché tale controllo assolverebbe alla funzione meramente teorica di accreditare la mera possibilità astratta di eventi non provati riferiti in modo assolutamente non convincente dal richiedente (n. 24575/20; in senso conforme, v. n. 6738/21).
7. – È fondato, invece, il quarto motivo.
Infatti, ai fini del riconoscimento del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie (nella disciplina di cui all’art. 5, comma 6. d.lgs. n. 286 del 1998, applicabile ratione temporis), la condizione di vulnerabilità per motivi di salute richiede, alla luce della giurisprudenza unionale (CGUE, 24 aprile 2018, in causa C-353/16), l’accertamento della gravità della patologia, la necessità ed urgenza delle cure nonché la presenza di gravi carenze del sistema sanitario del paese di provenienza (n. 17118/20); avendo rilievo anche accertare se ed in qual misura il richiedente, in caso di rimpatrio, possa godere di terapie anche solo contenitive della sua patologia (cfr. n. 33187/19).
7.1. – Tali ultimi accertamenti sono del tutto mancati nel caso di specie, poiché il Tribunale, pur avendo riscontrato sia il deficit cognitivo con ritardo mentale moderato del richiedente, sia lo stato di buona compensazione di lui all’interno del centro d’accoglienza, quale luogo nel quale egli è protetto e sostenuto nel suo percorso di autonomia, si è limitato a valutare la sola esistenza di riferimenti familiari in Gambia, senza valutarne sufficienza e idoneità protettiva.
Al contrario, il Tribunale avrebbe dovuto accertare se in caso di rimpatrio il richiedente possa fruire di una rete familiare o di un sistema socio-sanitario idonei a garantirgli autonomia, sostegno psicologico e protezione pari a quelli di cui gode attualmente in Italia nel centro d’accoglienza, in cui lo stesso Tribunale ha ritenuto che egli si sia inserito proficuamente.
8. – Il decreto impugnato va, dunque, cassato in parte qua, con rinvio al Tribunale di Catanzaro, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il quarto motivo, respinti gli altri, e cassa il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Catanzaro, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte di Cassazione, in data 19 febbraio 2021.
Depositata in Cancelleria il 12 luglio 2021.