Rapporti omosessuali a pagamento in patria: riprovazione familiare e pressione della Polizia non bastano per ottenere protezione in Italia (Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, Sentenza 5 gennaio 2022, n. 260).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2847-2021 proposto da:

(OMISSIS) CHUKS, domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

nonchè contro

PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE CASSAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 588/2020 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 3/6/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 28/09/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO PAZZI.

Rilevato che:

1. Il Tribunale di Torino, con ordinanza ex art. 702-bis cod. proc. civ., rigettava il ricorso proposto da (OMISSIS) Chuks, cittadino della Nigeria, avverso il provvedimento emesso dalla locale Commissione territoriale di diniego di riconoscimento del suo status di rifugiato nonché del suo diritto alla protezione sussidiaria ex artt. 2 e 14 d. lgs. 251/2007 o a quella umanitaria ai sensi degli artt. 32, comma 3, d.lgs. 25/2008 e 5, comma 6, d.lgs. 286/1998.

2. La Corte d’appello di Torino, con sentenza pubblicata in data 3 giugno 2020, respingeva l’impugnazione proposta dal richiedente asilo.

In particolare i giudici distrettuali ritenevano che le dichiarazioni del migrante (il quale aveva raccontato di aver intrattenuto rapporti omosessuali sin dal 2012 e di essere stato perseguitato per tal motivo dalla polizia di quel paese, che aveva arrestato gli amici presso cui si era rifugiato dopo essere stato cacciato di casa dai familiari) non fossero credibili e che comunque, anche a voler ritenere la narrazione veritiera, il richiedente asilo non avrebbe mai subito nel paese di origine alcuna minaccia, violenza o persecuzione a causa del suo orientamento.

3. Per la cassazione di questa statuizione ha proposto ricorso (OMISSIS) Chuks prospettando un unico motivo di doglianza.

Il Ministero dell’Interno si è costituito al di fuori dei termini di cui all’art. 370 cod. proc. civ. al fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Considerato che: 

4. Il motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 8 d. lgs. 251/2007, in quanto la Corte d’appello ha valutato – in tesi – le dichiarazioni del migrante in merito alla sua dichiarata omosessualità sulla base di nozioni stereotipate associate alle persone omosessuali e non rispondenti ai canoni della normativa europea, non essendo possibile richiedere a una persona di nascondere la propria identità sessuale.

Oltre a ciò, il collegio d’appello ha erroneamente ritenuto che oggetto dell’accertamento giudiziario fosse la condizione di omosessualità e non l’esistenza di accuse in tal senso, dovendosi invece avere riguardo soltanto al fatto che una simile condotta fosse attribuita al richiedente asilo.

Infine, la Corte di merito, nel ritenere che il migrante dovesse far fronte soltanto alla riprovazione familiare e a pressioni da parte della polizia, ha fondato la propria decisione su presupposti interpretativi arbitrari contrastanti con il tenore delle dichiarazioni rese dal migrante.

5. Il motivo è inammissibile.

La Corte di merito ha ritenuto, in primo luogo, di condividere le valutazioni del Tribunale in merito all’insussistenza di un rischio di persecuzione diretta e personale per motivi di appartenenza a un determinato gruppo sociale o di danno grave ai sensi dell’art. 14, lett. b), d. lgs. 251/2007, “stante l’inverosimiglianza dei fatti allegati dal richiedente, come già ben delineati dal Tribunale in sede motivazionale”.

I giudici distrettuali hanno poi aggiunto che, “anche volendo ritenere la narrazione veritiera e credibile, emerge che il sig. (OMISSIS) non era gay, ma che si accompagnava ad uomini che lo pagavano in cambio di prestazioni sessuali”, osservando infine che “dalla narrazione è risultato che oltre alla riprovazione familiare e all’asserita pressione da parte della Polizia il richiedente non avrebbe mai subito nel Paese di origine alcuna minaccia, violenza o persecuzione a causa del suo orientamento”.

Si tratta, all’evidenza, di una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata.

La censura in esame si appunta sulla seconda argomentazione offerta dalla Corte di merito, ma non considera in alcun modo il precedente giudizio di complessiva non credibilità delle dichiarazioni rese.

Ne discende l’inammissibilità della doglianza, giacché l’omessa impugnazione di uno degli autonomi argomenti posti a base della decisione rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa agli altri, i quali, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbero produrre l’annullamento della sentenza (Cass. 9752/2017, Cass. 18119/2020).

6. In virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La costituzione dell’amministrazione intimata al di fuori dei termini previsti dall’art. 370 cod. proc. civ. ed al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione, non celebrata, esime il collegio dal provvedere alla regolazione delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, ove dovuto.

Così deciso in Roma in data 28 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 5 gennaio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.