Ricettazione di un assegno rubato. La SC conferma la condanna del ricorrente (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 10 febbraio 2022, n. 4796).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente –

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere –

Dott. MANTOVANO Alfredo – Rel. Consigliere –

Dott. DI PAOLA Sergio – Consigliere –

Dott. MINUTILLO TURTUR Marzia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) VINCENZO nato a BARLETTA il 15/04/19xx;

avverso la sentenza del 19/03/2018 della CORTE APPELLO di ANCONA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALFREDO MANTOVANO, in giudizio trattato con contraddittorio scritto, ai sensi dell’art. 23 co. 8 DL 137/2020.

RITENUTO IN FATTO

1. La CORTE DI APPELLO di ANCONA, con sentenza in data 19/03/2018, riformava la sentenza con la quale il TRIBUNALE di FERMO in composizione monocratica in data 12/05/2016 aveva assolto (OMISSIS) Vincenzo dai reati di ricettazione, truffa e falso, contestati come commessi a PORTO S. ELPIDIO il 16/09/2008.

La condotta imputata a (OMISSIS) era consistita:

(capo a) nell’aver acquistato o comunque ricevuto un assegno intestato a (OMISSIS) Orlando e (OMISSIS) Mirella, provento di furto,

(capo b) nell’aver usato artifici e raggiri consistiti nell’essersi presentato quale titolare della ditta (OMISSIS) e nel aver lasciato recapiti telefonici al fine di rassicurare (OMISSIS) Dino sulla sua solvibilità, quindi nell’aver consegnato a costui, quale corrispettivo della riparazione eseguita dalla propria officina sulla vettura dell’imputato l’assegno di cui al capo a),

(capo c) nell’avere falsamente compilato nell’importo e nella sottoscrizione l’assegno di cui al capo a), facendone uso attraverso la consegna a (OMISSIS).

Accogliendo l’appello del P.M., la CORTE anconetana condannava (OMISSIS) a pena di giustizia per il delitto sub a), ritenendo l’ipotesi di cui all’art. 648 cpv., e dichiarava non doversi procedere perché estinti per prescrizione in relazione agli illeciti sub b) e c).

2. (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, e deduce i seguenti motivi:

– come primo, la violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) e lett. e) cod. proc. pen. quanto alla illogicità della motivazione. Censura che per la CORTE territoriale fossero sufficienti la semplice detenzione da parte dell’officina di (OMISSIS) delle copie della patente di guida e del codice fiscale di (OMISSIS) per dimostrare che costui si era ivi presentato, e poi aveva consegnato in pagamento l’assegno di provenienza illecita.

Andrebbe infatti tenuto conto della incertezza nella identificazione fotografica manifestata dal titolare dell’officina, anche per il tempo limitatissimo da lui trascorso con il soggetto che gli aveva lasciato la vettura in riparazione, della oggettiva indecifrabilità della fotografia, poiché in realtà si trattava di una fotocopia dell’originale, della incertezza sull’origine della stessa fotocopia, se cioè fosse stata consegnata dal cliente, o se fosse stata eseguita all’interno dell’officina;

– come secondo, la violazione dell’art. 606 co. 1 lett. b) e lett. e) cod. proc. pen. quanto alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, alla stregua dell’art. 603 co. 3 bis del codice di rito.

Rileva la non correttezza della affermazione della CORTE in ordine alla circostanza che essa non avrebbe operato una rivalutazione della prova dichiarativa, perché invece l’appello del P.M. era orientato proprio in quella direzione.

Il PROCURATORE GENERALE rassegna conclusioni scritte per l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione.

Il ricorrente trasmette memoria, di adesione alla richiesta del P.G.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

1. Va premesso che, l’orientamento consolidato e condiviso di questa S.C. a seguito dell’inserimento nel codice di rito della norma di cui all’art. 603 co. 3 bis cod. proc., che a sua volta ha tenuto conto di quanto sancito dalle Sez. U con le sentenze c.d. Dgupta e Patalano (cf. Sez. 2 sentenza n. 13953 del 21/02/2020 dep. 07/05/2020 Rv. 279146 imputato Iacopetta) “ai fini della rinnovazione dell’istruttoria in appello ex art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen., per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa devono intendersi non solo quelli concernenti l’attendibilità dei dichiaranti, ma, altresì, tutti quelli che implicano una diversa interpretazione delle risultanze delle prove dichiarative, posto che il loro contenuto – salvo non attenga ad un oggetto del tutto definito o ad un dato storico semplice e non opinabile – è frutto della percezione soggettiva del dichiarante, onde il giudice del merito è inevitabilmente chiamato a “depurare” il dichiarato dalle cause di interferenza provenienti dal dichiarante, in modo da pervenire ad una valutazione logica, razionale e completa, imposta dal canone dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”.

Dunque, la Corte d’appello non è tenuta a rinnovare l’istruttoria dibattimentale quando il proprio convincimento si basi non su una diversa valutazione della prova dichiarativa, ritenuta incerta dal primo giudice, ma su altri elementi di prova, in relazione ai quali la disamina del primo giudice sia mancata o sia stata travisata (Sez. 5, n. 16975 del 12/2/2014, Sirsi Rv. 259843).

Analogamente accade quando il primo giudice non abbia negato l’attendibilità intrinseca delle dichiarazioni delle persone offese, sì che basti ad affermare la penale responsabilità una lettura coerente e logica del compendio probatorio, travisato nella decisione impugnata (Sez. 3, n. 45453 del 18/9/2014, Rv. 260867); e infine allorché la riforma in peius si fondi su una diversa valutazione di prove non dichiarative ma documentali (Sez. 2, n. 677 del 10/10/2014, Di Vincenzo, Rv. 261556).

2. Il testo dell’art. 603 cod. proc. pen., che al comma 3 bis, introdotto dall’art. 1 co. 58 della legge n. 103/107, in vigore dal 3 agosto 2017 – da data antecedente alla pronuncia impugnata, pertanto applicabile al caso in esame, prevede che, “nel caso di appello del Pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, il giudice dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale”.

La dizione letterale della disposizione, che fa riferimento ai “motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”, evoca, come già osservato in una precedente pronuncia di questa S.C. (Sez. 5, n. 27751 del 24/5/2019, Rv 276987), un concetto ampio di valutazione, non ristretto alla questione dì una differente verifica dell’attendibilità delle prove dichiarative.

La valutazione della prova dichiarativa è sempre mediata dal giudice, sì che la sua rinnovazione è necessaria non solo quando viene in rilievo la questione dell’attendibilità, ma in ogni caso di diversa lettura della prova stessa, compiuta dal giudice d’appello rispetto al primo giudice.

Una tale esegesi del nuovo art. 603, comma 3 bis cod. proc. pen. consente di soddisfare appieno le istanze difensive dell’imputato assolto in primo grado, anche alla stregua di quanto argomentato dalle Sez. U con la sentenza n. 14426 del 28/1/2019 (Pavan, Rv. 275112), secondo cui “per nuovo comma 3-bis, ciò che è essenziale è che il giudice d’appello, ove ritenga di dare una lettura diversa della suddetta prova, abbia l’obbligo (non più la facoltà) di rinnovare l’istruttoria perché solo tale metodo è stato ritenuto idoneo a dissipare i dubbi e le incertezze insorti sulla colpevolezza dell’imputato: libero, poi, il giudice di appello, una volta rinnovata l’istruttoria, anche di andare in contrario avviso del giudice di primo grado e, quindi, di condannare l’imputato, fornendo una motivazione (rafforzata) che, ove sia congrua e coerente con la prova espletata, resta incensurabile in sede di legittimità”.

3. La pronuncia testé menzionata ha precisato che la prova, agli effetti di cui all’art. 603, comma 3-bis cod. proc. pen. deve avere le seguenti caratteristiche:

a) può avere ad oggetto sia dichiarazioni percettive che valutative, perché la norma non consente interpretazioni restrittive di alcun genere;

b) deve essere espletata a mezzo del linguaggio orale (testimonianza; esame delle parti; confronti; ricognizioni), perché questo è l’unico mezzo che garantisce ed attua i principi di oralità ed immediatezza: di conseguenza, in essa non sono da ricomprendere quei mezzi di prova che si limitano a veicolare l’informazione nel processo attraverso scritti o altri documenti (art.234 cod. proc. pen.);

c) deve essere decisiva, per tale intendendosi, “in linea con quanto già ritenuto da Sez. U. Dasgupta, quella che, sulla base della sentenza di primo grado, ha determinato o anche soltanto contribuito a determinare un esito liberatorio e che, pur in presenza di altre fonti probatorie di diversa natura, se espunta dal complesso del materiale probatorio, si rivela potenzialmente idonea a incidere sull’esito del giudizio di appello, nell’alternativa “proscioglimento/condanna”.

E’ parimenti “decisiva” la prova dichiarativa che, ritenuta di scarso o nullo valore probatorio dal primo giudice, sia, nella prospettiva dell’appellante, rilevante, da sola o insieme con altri elementi, ai fini dell’esito di condanna; di essa il giudice d’appello deve dare una diversa valutazione.

Il Giudice d’appello ha l’obbligo di rinnovare l’istruttoria solo se sussistono congiuntamente tutte queste condizioni.

4. Come correttamente illustrato dalla CORTE territoriale, la vicenda in esame fa constatare che tali condizioni non sussistono.

A differenza di quanto sostenuto nel ricorso, essa, con motivazione congrua e coerente, ha individuato gli elementi a carico dell’imputato nella sovrapponibilità tra la firma ‘(OMISSIS) Vincenzo’, di traenza sull’assegno di provenienza illecita, e la firma ‘(OMISSIS) Vincenzo’ apposta sulla copia del modulo di accettazione della commessa, e la produzione da parte della persona offesa della fotocopia della patente di guida e del codice fiscale del ricorrente, che rinviano senza incertezze alla coincidenza fra la persona che aveva lasciato l’autovettura nella sua officina per le riparazioni, e il soggetto che aveva consegnato la copia dei documenti, così superando le perplessità espresse da (OMISSIS) sulla identificazione dell’imputato, su cui si era basata la sentenza di assoluzione.

Dunque, la prova della colpevolezza è stata raggiunta alla stregua di elementi documentali non presi in esame dal primo Giudice ed estranei alla valutazione della prova dichiarativa, nel pieno rispetto della disposizione introdotta nel codice nel 2017.

Il delitto di ricettazione non può ritenersi estinto per prescrizione, come chiede il P.G., perché al momento della pronuncia d’appello non erano ancora decorsi rispetto alla data di consumazione i dieci anni di termine massimo previsti per quel reato dalla legislazione in vigore in quel momento, dovendosi tenere conto del termine per la fattispecie non attenuata.

5. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Così deciso a Roma, il 1°/2/2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.