REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE GREGORIO Eduardo – Presidente –
Dott. BRANCACCIO Matilde – Consigliere –
Dott. CATENA Rossella – Rel. Consigliere –
Dott. MOROSINI Elisabetta – Consigliere –
Dott. BORRELLI Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ascolani Emilio, nato a Vallecorsa (FR), il 30/10/1959;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma emessa in data 20/12/2018;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso riportandosi alle conclusioni scritte rassegnate all’udienza del 13/07/2020.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma confermava la sentenza emessa in data 17/06/2015 dal Tribunale di Latina, con cui Emilio Ascolani era stato condannato a pena di giustizia per il delitto di bancarotta fraudolenta distrattiva, nella sua qualità di custode, in riferimento al fallimento della S.IN.PA. s.r.I., dichiarato con sentenza del 01/04/2005.
2. In data 30/04/2019 Emilio Ascolani ricorre, a mezzo del difensore di fiducia avv.to Gildo Ursini, per:
2.1. violazione di legge, ai sensi dell’art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 110 cod. pen., 216 comma 2 e 223 legge fallimentare, in quanto, essendo stata assolta la coimputata Fabiola Ascolani, amministratore unico della società, per non aver commesso il fatto, non avrebbe potuto essere confermata l’affermazione di responsabilità del ricorrente, il quale riveste il ruolo di concorrente extraneus nel reato proprio, quale custode dei beni, con la conseguenza che, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, il soggetto che non riveste una delle cariche tassativamente richiamate dall’art. 223 legge fallimentare può essere chiamato a rispondere del reato solo in virtù dell’art. 110 cod. pen., tanto più nel caso di specie, in cui la formula assolutoria adottata – per non aver commesso il fatto – opera sul piano oggettivo del reato, con la conseguenza che, al massimo, al ricorrente avrebbe potuto essere ascritta una condotta di appropriazione indebita, sicuramente prescritta al momento delle pronuncia della sentenza impugnata;
2.2. vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., non avendo la Corte di merito offerto adeguata risposta ai motivi di appello, con particolare riferimento alla memoria integrativa, in cui erano state evidenziate le testimonianze rese nel corso dell’istruttoria di primo grado che rendevano palese l’estraneità ai fatti dell’Ascolani;
2.3. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 43 cod. pen., 216, comma 2, 223 legge fallimentare, avendo la Corte di merito fondato l’affermazione di penale responsabilità dell’Ascolani unicamente sulla carica rivestita di custode giudiziario, prescindendo dalla dimostrazione di qualsivoglia condotta attiva da parte dello stesso, non potendo detta condotta essere individuata nella colposa violazione degli obblighi di vigilanza che, al più, potrebbe radicare un illecito civilistico, in assenza di motivazione circa l’elemento soggettivo del reato.
3. All’udienza del 13/07/2013 il P.G. aveva fatto pervenire richiesta scritta – ex art. 83, comma 12-ter d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modifiche con I. 24 aprile 2020, n. 27 — con cui chiedeva qualificarsi il fatto ai sensi dell’art. 314 cod. pen. e, pertanto, la Corte disponeva il rinvio della trattazione del ricorso, al fine di consentire alla difesa di controdedurre.
4. All’udienza del 16/09/2020, dato atto della diversa composizione del Collegio, per impedimento di uno dei componenti, veniva rinnovato il dibattimento, sia per la relazione che per le conclusioni del Procuratore Generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La vicenda processuale riguarda la sottrazione di beni mobili della S.IN.PA. s.r.l. – società dichiarata fallita dal Tribunale di Frosinone in data 01/04/2005 – e custoditi presso l’hotel Neanderthal di San Felice Circeo, nel mese di novembre 2007.
Incontestata appare la qualifica dell’Ascolani quale custode dei detti beni, con la conseguenza che sicuramente fondato appare il primo motivo di ricorso, atteso che il reato di bancarotta distrattiva contestato all’imputato è, senza dubbio, un reato proprio ed a concorso eventuale, come risulta sia dai principi generali, estesi alle leggi speciali, in virtù dell’art 16 cod. pen., sia da testuali disposizioni della legge fallimentare, che prevedono la configurabilità di autonomi titoli di reato per le persone diverse dall’imprenditore, sempre che l’azione del soggetto attivo non integri gli estremi di un concorso in bancarotta.
Nel reato di bancarotta fraudolenta, quindi, possono eventualmente concorrere, in base alle norme generali sul concorso di persone nel reato, altri soggetti non qualificati, quando ricorra l’attività tipica di almeno una persona che possieda le qualità previste dalla legge sul fallimento.
Ove ciò si verifichi, in ogni caso, il concorso deve ravvisarsi qualora l’attività dell’extraneus si sia inserita nella condotta ed abbia avuto un’influenza causale nell’evento, oltre che essere svolta da persona consapevole della qualifica del soggetto attivo primario.
L’extraneus, inoltre, può essere dichiarato colpevole di bancarotta fraudolenta anche se il soggetto qualificato viene assolto per difetto dell’elemento psicologico del reato, poiché il concorso di persone nel delitto di bancarotta fraudolenta viene disciplinato dalle stesse norme che regolano il concorso di qualsiasi reato proprio.
Sicché risulta necessario, per la configurazione della fattispecie a carico di un extraneus – quale, indiscutibilmente, risulta l’Ascolani, che non ricopriva alcuna carica nell’ambito aziendale, neanche in riferimento all’art. 2639 cod. civ. – che la condotta sia stata posta in essere in concorso con uno dei soggetti qualificati, il che, nel caso di specie, è ostacolato dall’assoluzione dell’amministratrice unica della società, Fabiola Ascolani, per non aver commesso il fatto (Sez. 5, sentenza n. 2179 del 07/12/1983, dep. 08/03/1984, Costantino, Rv. 163042; Sez. 5, sentenza n. 8142 del 03/07/1973, Venditti, Rv. 125484; Sez. 5, sentenza n. 642 del 10/11/1972, D’Alessio, Rv. 123016; Sez. 5, sentenza n. 87 del 25/10/1971, dep. 12/01/1972, Omini, Rv. 119781; Sez. 3, sentenza n. 727 del 29/05/1967, Sala, Rv. 105114).
Nella vicenda in esame, tuttavia, occorre considerare come il custode nominato dalla curatela fallimentare — tale essendo Emilio Ascolani – rivesta il ruolo di pubblico ufficiale.
In tal senso militano numerosi arresti di questa Corte (Sez. 6, sentenza n. 11626 del 11/02/2020, Calò Maurizio, Rv. 278963, in cui è stato affermata la qualifica di pubblico ufficiale del coadiutore del curatore fallimentare, che svolge attività di carattere pubblicistico, integrativa di quella del curatore, con compiti inerenti ad un determinato settore o a determinati aspetti dell’intera procedura concorsuale; Sez. 6, sentenza n. 43900 del 04/07/2018, Gaburri Mariano, Rv. 274683; Sez. 5, sentenza n. 15951 del 16/01/2015, Bandettini ed altri, Rv. 263263, in tema di peculato del giudice, del curatore fallimentare e di altri soggetti che, nelle vesti di commissari giudiziali, periti e legali delle procedure concorsuali, si erano appropriati di somme di denaro appartenenti all’attivo di queste per effetto di illegali procedure di liquidazione; Sez. 6, sentenza n. 4172 del 02/11/1994, dep. 10/03/1995, Di Gennaro, Rv. 200907, in tema di qualificazione come concussione della condotta del custode fallimentare attraverso costrizione ed induzione aveva determinato le parti a corrispondere utilità non dovute; Sez. 6, sentenza n. 201 del 28/10/1975, dep. 09/01/1976, Iommelli, Rv. 131793, in tema di malversazione, in cui è stata affermata la qualità di pubblico ufficiale di colui al quale il curatore del fallimento, ai sensi dell’art 87 R.D. 16 marzo 1942 n 267, nel redigere l’inventario, affida la custodia dei beni acquisiti all’attivo fallimentare, poiché lo status dell’affidatario è del tutto equiparabile a quello del custode di beni pignorati, ricorrendo in entrambi i casi una delegazione di pubbliche funzioni).
Né può dimenticarsi come l’art. 231 della legge fallimentare estenda al coadiutore del curatore le disposizioni di cui agli artt. 228, 229 e 230 della medesima legge, ossia le disposizioni che si riferiscono alle specifiche fattispecie di interesse privato del curatore negli atti del fallimento (art. 228 legge fallimentare), accettazione di retribuzione non dovuta (art. 229 legge fallimentare), omessa consegna o deposito di cose del fallimento (art. 230 legge fallimentare); ciò rende da un lato ancor più evidente il ruolo pubblicistico del coadiutore del curatore fallimentare che, come tale, qualora ne ricorrano gli estremi, risponderà dei delitti commessi dai pubblici ufficiali, sia di quelli previsti nella parte generale del codice penale che di quelli previsti dalle leggi speciali.
Non è un caso, pertanto, che pacificamente sia stata ravvisata la fattispecie di peculato nella condotta del coadiutore del curatore del fallimento che si appropri di beni della società dichiarata fallita, dei quali abbia il possesso in ragione del suo incarico (Sez. 6, sentenza n. 13107 del 21/01/2009, Zelli, Rv. 243125; Sez. 6, sentenza n. 38986 del 24/06/2010, Bertoncello ed altri, Rv. 248592, in cui sono stati qualificati pubblici ufficiali i coadiutori del commissario governativo nominato nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi).
Non vi è dubbio, quindi, che la fattispecie di riferimento, nell’ambito della quale inquadrare la condotta del ricorrente, sia quella di cui all’art. 314 cod. pen., sottolineandosi come, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, il potere di attribuire una più grave qualificazione giuridica ai fatti accertati, qualora non esercitato dal giudice di merito, è riconosciuto alla Corte di cassazione, sempreché le parti siano state rese edotte della possibilità della diversa qualificazione (Sez. 4, sentenza n. 18793 del 28/03/2019, Macaluso Angela, Rv. 275762; Sez. 4, sentenza n. 9133 del 12/12/2017, dep. 28/02/2018, Giacomelli, Rv. 272263); nel caso di specie, come visto, il Collegio ha instaurato il contraddittorio con la difesa attraverso il rinvio della trattazione del ricorso, all’esito della richiesta del Procuratore Generale, dando alla difesa gli avvisi indispensabili per poter esercitare la facoltà di interlocuzione e di contraddittorio sulla detta questione di diritto.
Tanto premesso in riferimento alle norme da considerare nella valutazione della condotta del ricorrente, va osservato che la sentenza impugnata va annullata anche in relazione alla motivazione circa la concreta condotta ascritta all’Ascolani, posto che la pronuncia della Corte di merito appare gravemente lacunosa ed apodittica sotto detto aspetto, limitandosi a richiamare unicamente le circostanze che:
1) l’Ascolani era il custode nominato dalla curatela ed aveva in subaffitto l’hotel Neanderthal, di cui la società fallita era proprietaria ed in cui i beni erano custoditi;
2) che il teste Lucenti, guardiano dell’albergo, aveva affermato che ad appropriarsi dei beni era stato il precedente guardiano, tale Rizzi, che avrebbe agito per conto di Ascolani;
3) che il teste Rizzi, a sua volta, aveva riferito che nell’estate del 2007 si era presentato nell’hotel un certo Alberto (verosimilmente Rizzi Alberto), accompagnato da una donna che si era qualificata come signora Ascolani, pur non essendo stata identificata.
Appare veramente difficile riuscire a trarre una coerente ricostruzione da tali affermazioni, posto che non si comprende se l’Ascolani a cui si era riferito il teste Lucenti sia da individuare nell’Ascolani Emilio o nell’Ascolani Fabiola, così come non si comprende chi sia la persona indicata come Rizzi Alberto, al quale si riferisce il teste Rizzi, se, cioè, si tratti di due persone diverse o della stessa persona.
Né soccorre in alcun modo la motivazione della sentenza di primo grado che, se possibile, risulta ancora meno esaustiva e lacunosa circa la condotta specifica svolta dall’imputato.
Ne discende, quindi – anche alla luce del mancato decorso del termine di prescrizione, considerate le intervenute sospensioni della prescrizione nel corso dei giudizi di merito – che la sentenza impugnata va annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che, alla luce del principio di diritto in precedenza delineato, provvederà ad una valutazione del materiale probatorio a carico dell’Ascolani, individuandone, se ne ricorrono gli estremi, la condotta delittuosa.
P.Q.M.
Qualificato il fatto ai sensi dell’art. 314 cod. pen., annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.
Così deciso in Roma, il 16 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 26 ottobre 2020.