Sì all’estradizione di soggetto sospettato di omicidio (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 5 giugno 2020, n. 17225).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente –

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – rel. Consigliere –

Dott. GIORGI Maria Silvia – Consigliere –

Dott. ROSATI Martino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso presentato da:

Hughes Christopher John, nato a Glasgow Strathclyde (GB) il 12/01/1989,

alias

Rustanovs Aleksejs, nato in Lettonia il 16/03/1989;

avverso la sentenza del 21/02/2020 della Corte di appello di Torino;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Antonietta Picardi, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Torino dichiarava sussistenti le condizioni per l’accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto europeo processuale emesso il 6 marzo 2019 dall’autorità giudiziaria del Regno Unito nei confronti del cittadino scozzese Christopher John Hughes, avente anche le generalità del cittadino lettone Aleksejs Rustanovs, tratto in arresto in Italia il 7 gennaio 2020 e, dopo la convalida, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere.

Rilevava la Corte territoriale come il mandato europeo fosse stato emesso per dare esecuzione al provvedimento del 5 marzo 2019 con il quale la Sheriff Court di Lothian and Borders di Glasgow aveva disposto l’arresto nei confronti dello Hughes in quanto soggetto in quel Paese ad indagini in relazione ai reati di partecipazione e direzione di una organizzazione criminale internazionale, commesso in Scozia e varia altri Paesi tra il dicembre del 2011 e il gennaio del 2018, di cui alle sez. 28 e 30 del Criminal Justice and Licensis Act del 2010 (capi di accusa nn. 1 e 2);

ai reati di approvvigionamento e importazione in Scozia e Inghilterra di droghe, in particolare cocaina, commessi nello stesso arco temporale, di cui alle sez. 4.3 del Misure of Drug Act del 1971, e 170 del Customs and Excises Management Act del 1979 (capi di accusa nn. 3, 4 e 5);

ai reati di occultamento, conversione e trasferimento di beni di provenienza criminale, commessi sempre nel medesimo arco temporale, di cui alla sez. 327 del Proceeds Crime Act del 2002 (capo di accusa n. 6); nonché al delitto di omicidio commesso in Laren, Paesi Bassi, 1’8 dicembre 2018 (capo di accusa n. 7);

come tali reati, corrispondenti a quelli previsti dagli artt. 73 e 74 del d.P.R. n. 309 del 1990 e 575 cod. pen., rientrino nel novero di quelli per i quali, sussistendo il requisito della doppia punibilità, la legge 22 aprile 2005, n. 69 (contenente le “Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri”) consente la consegna obbligatoria;

e come non vi fossero ragioni per rifiutare tale consegna, considerate le informazioni trasmesse dall’autorità giudiziaria scozzese e rilevato che per il reato di omicidio, consumato in altro Paese, sarebbe stato possibile procedere a norma delle disposizioni del nostro ordinamento anche nei riguardi di un cittadino italiano.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso lo Hughes, con atto sottoscritto dal suo difensore avv. Enrico Moschini, il quale ha dedotto i seguenti due motivi.

2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 6, comma 1, lett. e) e g), e comma 4, lett. a), legge n. 69 del 2005, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello ingiustificatamente disatteso l’eccezione difensiva con la quale era stato evidenziato come il mandato di arresto fosse carente della “descrizione dei fatti addebitati alla persona… con l’indicazione delle fonti di prova, del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica”, con riferimento ai capi di accusa nn. 4) e 5), per i quali in quel mandato era stata operato un mero ‘copia e incolla’ dell’elenco delle prove già indicate in relazione ai capi di accusa nn. 1) e 2), senza alcun richiamo alle fonti di prova concernenti la commissione di quei reati in altri paesi stranieri, pure menzionati nelle imputazioni e senza l’indicazione delle conseguenze dei reati contestati.

2.2. Violazione di legge, in relazione all’art. 18, lett. p), legge n. 69 del 2005, e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale erroneamente rigettato la questione che era stata posta dalla difesa con riferimento al reato di omicidio contestato nel capo di accusa n. 7, che risulta essere stato commesso nei Paesi Bassi, paese la cui autorità giudiziaria non ha adottato alcuna iniziativa giudiziaria; senza considerare che lo Hughes ha anche la nazionalità lettone e che la Lettonia, paese nel quale il prevenuto risiede, non è stata coinvolta in tale vicenda giudiziaria.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Ritiene la Corte che il ricorso sia inammissibile.

2. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale il requisito della motivazione del provvedimento cautelare in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso, cui è subordinato l’accoglimento della domanda di consegna, non può essere parametrato alla nozione ricavabile dalla tradizione giuridica italiana, che richiede l’esposizione logico-argomentativa del significato e delle implicazioni del materiale probatorio, ma è sufficiente che l’autorità giudiziaria emittente abbia dato “ragione” del provvedimento adottato; il che può realizzarsi anche attraverso la puntuale allegazione delle evidenze fattuali a carico della persona di cui si chiede la consegna (Sez. U, n. 4614 del 30/01/2007, Ramoci, Rv. 235349; conf. in seguito, tra le altre, Sez. 6, n. 45668 del 29/12/2010, Chaoui, Rv. 248971).

Alla luce di tale criterio interpretativo va rilevato come, a fronte di una doglianza difensiva formulata in termini molto generici, deve considerarsi adeguatamente e sufficientemente motivato il provvedimento di arresto emesso dall’autorità giudiziaria scozzese che, anche mediante il rinvio al contenuto della documentazione trasmessa in Italia e il riferimento alle dichiarazioni rese da un testimone, ai risultati delle intercettazioni telefoniche e ai risultati delle ulteriori investigazioni svolte dalla polizia, ha indicato l’odierno ricorrente come soggetto fortemente sospettato di essere l’autore dei reati innanzi elencati: elementi di prova indiziaria ritenuti dall’autorità giudiziaria emittente seriamente riferibili ai fatti attribuiti alla persona di cui è stata chiesta la consegna, senza che abbia alcuna rilevanza – così come correttamente sottolineato dai giudici di merito – la circostanza che molti di quegli elementi di prova siano comuni tanto ai reati di natura associativa quanto a quelli commessi in esecuzione del programma della considerata organizzazione criminale internazionale.

Peraltro, è pacifico che il dato formale della mancanza di alcuni dati contenuti in quelle relazioni non impedisce di poter comunque provvedere sulla richiesta proveniente dallo Stato che ha emesso il mandato di arresto europeo, in quanto si è ripetutamente affermato che l’omessa allegazione a tale mandato della relazione sui fatti addebitati alla persona di cui è richiesta la consegna, secondo la previsione dell’art. 6, comma 4, lett. a), legge cit., non costituisce di per sé causa ostativa alla consegna, quando la documentazione trasmessa dallo Stato di emissione consente all’autorità giudiziaria italiana di espletare il controllo affidatole dalla legge (così, da ultimo, Sez. 6, n. 38850 del 20/10/2011, Estrada Ortiz, Rv. 250793): ed è ovviamente onere del consegnando precisare per quale ragione questo controllo non sia stato possibile, onere che, nel caso di specie, non risulta essere stato adempiuto.

3. Anche il secondo motivo del ricorso è privo di pregio. Indeterminata è la doglianza difensiva relativa ad un’asserita violazione della norma dettata dalla lett. p) dell’art. 18 legge cit., secondo cui la consegna va rifiutata dalla nostra autorità giudiziaria laddove abbia ad oggetto “reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l’azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio”.

Di tale disposizione la Corte di appello di Torino ha fatto corretta applicazione, spiegando, con motivazione immune da qualsivoglia vizio di illogicità, che il delitto di omicidio contestato allo Hughes nel capo di accusa n. 7, commesso nel dicembre del 2018 in Olanda, e punito nel Regno Unito con la pena dell’ergastolo, è di certo reato comune commesso all’estero per il quale l’art. 9 cod. pen. avrebbe consentito di procedere nei confronti di un cittadino italiano laddove si fosse trovato nel territorio dello Stato.

Tanto in conformità con quanto al riguardo chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale, in ossequio al principio di reciprocità che qualifica i rapporti di cooperazione giudiziaria nella materia de qua, ai fini dell’applicazione del motivo di rifiuto della consegna di cui all’art. 18, lett. p), legge n. 69 del 2005, nell’ipotesi di reato commesso da un cittadino straniero fuori dal territorio dello Stato richiedente, occorre verificare la procedibilità secondo la legge italiana non con riferimento alla fattispecie concreta sub iudice, bensì in relazione alla corrispondente ipotesi di reato commesso all’estero da cittadino italiano (Sez. 6, n. 40760 del 23/06/2016, Pozdnyakov, Rv. 268092).

Con tale puntuale argomentazione il ricorrente ha sostanzialmente omesso di confrontarsi, facendo, invece, riferimento – in verità in maniera molto confusa – alla circostanza che il consegnando abbia anche la cittadinanza di un Paese, la Lettonia, che non è stato posto in condizioni di interloquire nel presente procedimento di cooperazione giudiziaria internazionale.

Si tratta, tuttavia, di dato del tutto ininfluente ai fini della operatività della richiamata disposizione dettata dall’art. 18 lett. p) legge cit.; e, comunque, di elemento irrilevante nel caso di specie, avendo la Corte territoriale sottolineato, sulla base della relazione integrativa sulle fonti di prova trasmesso dall’autorità richiedente, che l’interessato è certamente cittadino britannico e che la sua vera identità è quella di Christopher John Hughes, circostanza questa, allo stato, posta in discussione dalla difesa in termini molto generici.

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art.616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del presente procedimento e a quella di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura indicata nel dispositivo.

5. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 5 giugno 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.