Si deve rispettare la distanza minima di dieci metri fra due edifici anche quando la finestra di una parete non fronteggia l’altra parete (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 27 settembre 2022, n. 28147).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CAPONI Remo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 23365/2018, proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) IMMOBILIARE LOMBARDA s.p.a., elettivamente domiciliata in Roma, Via (OMISSIS) 142, presso lo studio dell’avv. GIUSEPPE FRANCO (OMISSIS), che la rappresenta e difende;

-ricorrente-

contro

(OMISSIS) EMMANUEL JEAN PAUL, elettivamente domiciliato in Roma, Via (OMISSIS) 7, presso lo studio dell’avv. RODOLFO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, unitamente agli avv. BARBARA (OMISSIS) e FRANCESCA FRIDA (OMISSIS);

-controricorrente-

nonché

(OMISSIS) ITALIA s.c.a.r.l, elettivamente domiciliata in Roma, Viale (OMISSIS) 14 A-4, presso lo studio dell’avv. GABRIELE (OMISSIS) che la rappresenta e difende unitamente all’avv. MAURO (OMISSIS);

-controricorrente-

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO DI MILANO n. 2056/2018, depositata il27/4/2018, notificata il 9/5/2018.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/6/2022 dal Cons. Dott. REMO CAPONI.

FATTI DI CAUSA

1. – Nel 2013 (OMISSIS) Italia s.c.a.r.l, uno dei due odierni controricorrenti in cassazione, convenne in giudizio Emmanuel Jean Paul (OMISSIS) per l’accertamento della violazione della distanza di dieci metri, prescritta dall’art. 9 d.m. 1444/1968, tra la proiezione in altezza del proprio edificio e la parete finestrata dell’appartamento del convenuto, per la demolizione delle parti costruite in violazione, nonché per il risarcimento del danno.

2. – Gli antefatti risalgono al 2009, quando (OMISSIS) s.p.a., odierna ricorrente in cassazione, stipulò con il Comune di Corsico (Milano) una convenzione relativa a un piano di recupero di un complesso edilizio di sua proprietà.

All’esito dei lavori, l’edificio raggiunse 17 metri di altezza e il lato est, cieco, fu costruito fino all’altezza di 8,70 metri in aderenza allo stabile di proprietà di (OMISSIS) Italia s.c.a.r.l., mentre oltre detta quota non fronteggiava alcun edificio ed era a piombo sul fondo limitrofo.

Nel 2012 (OMISSIS) vendette l’appartamento all’ultimo piano a Emmanuel Jean Paul (OMISSIS).

3. – Dopo aver vanamente contestato a (OMISSIS) la violazione della distanza tra edifici, (OMISSIS) Italia intraprese l’iniziativa giudiziaria delineata in esordio.

In tale contesto, il convenuto (OMISSIS) – per l’ipotesi di accoglimento della domanda dell’attrice – chiamò in causa (OMISSIS), domandando l’accertamento della responsabilità di quest’ultima, la risoluzione del contratto di compravendita per evizione o inadempimento e la restituzione del prezzo.

Espletata la c.t.u., il giudizio di primo grado si concluse – discostandosi dai risultati della perizia – con l’accoglimento della domanda attorea.

La ragione della decisione riposava nella considerazione che l’appartamento di proprietà di (OMISSIS) era ubicato più in alto di circa 6 metri rispetto all’immobile di (OMISSIS) Italia e quindi non era perfettamente aderente a quest’ultimo.

4. – In secondo grado è rigettato l’appello principale di (OMISSIS) ed è accolto l’appello incidentale di (OMISSIS) avente ad oggetto la mancata pronuncia sulla domanda che l’obbligo di demolizione gravi su (OMISSIS).

5. -Ricorre in cassazione (OMISSIS) con due motivi, illustrati da memoria.

Resistono con controricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS) Italia, che ha altresì depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, proposto ex art. 360, n. 3 c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 9 d.m. 1444/1968, relativo a distanze minime tra fabbricati, per avere la Corte d’appello applicato tale disposizione anche ad edifici che non si fronteggiano perfettamente sul piano orizzontale e che per la loro conformazione non sono idonei a compromettere la salubrità e le condizioni igienico sanitarie degli spazi intercorrenti tra i medesimi fabbricati (motivo argomentato anche sulla base del principio di proporzionalità).

2. – Con il secondo motivo, proposto ex art. 360, n. 5 c. p.c., si deduce omesso esame circa un fatto decisivo, per non avere la Corte d’appello tenuto conto della situazione di fatto così come accertata dalla c.t.u. in primo grado.

3. – Il primo motivo è fondato.

Con riferimento ai nuovi edifici costruiti nelle parti di territorio non interessate da agglomerati urbani di carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale, l’art. 9 d.m. 1444/1968 prescrive una distanza minima assoluta di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.

Nel presente caso di specie, la c.t.u. in primo grado aveva escluso che i due edifici si fronteggiassero, poiché l’appartamento di (OMISSIS) dispone di un terrazzo che ha come limite la prosecuzione verticale per circa due metri del fronte, non finestrato, dell’edificio medesimo, costruito sul confine con l’edificio di (OMISSIS) Italia, per cui il fronte arretrato, su cui si apre la porta finestra d’accesso al terrazzo prospetta non l’edificio (OMISSIS) Italia, bensì tale prosecuzione verticale del muro perimetrale dell’edificio di cui l’appartamento fa parte.

Il giudice di primo grado si è discostato dai risultati della perizia, e, sulla premessa che il muro in prosecuzione fosse irrilevante nel calcolo della distanza minima legale (in quanto di altezza non superiore a tre metri: cfr. art. 878 c.c.), ha accertato che i due edifici non sono costruiti in aderenza, poiché l’edificio di (OMISSIS) è più alto di quello di (OMISSIS) Italia, condannando (OMISSIS) ad arretrare l’appartamento di sette metri.

Il giudice d’appello conferma sul punto la sentenza di primo grado mostrando di interpretare l’art. 9 d.m. 1444/1968 in modo conforme alla giurisprudenza di legittimità, in particolare a Cass. 23495/2006.

4. – Per verificare la correttezza dell’argomentazione della Corte d’appello, occorre analizzarla passo dopo passo, tenendo conto che le massime della giurisprudenza di legittimità stanno ai relativi casi di specie come la scocca di un’autovettura sta al motore: viaggiano insieme.

Nel caso di specie in cui intervenne Cass. 23495/2006, cit., vi era un progetto di sopraelevazione, con annessa costruzione di una scala e realizzazione di finestre verso un edificio con muro perimetrale finestrato sito sul confine (edificio che, anche all’esito della sopraelevazione dell’edificio antistante, avrebbe conservato un’altezza superiore).

In seguito alla costruzione, la distanza fra gli edifici era di poco meno di 1,5 metri nel punto più distante, riducendosi poi sensibilmente, senza annullarsi del tutto, nel punto in cui era stata costruita la scala, tanto che una delle (vane) difese della costruttrice era di aver costruito almeno parzialmente in aderenza.

Sulla premessa che il d.m. 1444/1968 prevede la distanza minima assoluta e inderogabile di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, Cass. 23495/2006 statuì che, in un caso siffatto, il proprietario dell’area confinante che intenda costruire deve mantenere il proprio edificio ad almeno dieci metri dal muro altrui, senza facoltà di costruire in aderenza (possibile soltanto nell’ipotesi di preesistenza sul confine di parete priva di finestre), anche qualora la nuova costruzione si sia mantenuta ad una altezza inferiore a quel la delle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste ultime conforme alle previsioni dell’art. 907, co. 3 c.c.

5. – Nel presente caso di specie, la Corte di appello di Milano filtra l’applicazione dell’art. 9 d.m. 1444/1968 attraverso una sottile estensione analogica della massima giurisprudenziale riassunta sul finire del paragrafo precedente al caso che le sta dinanzi: «così [come nel caso di Cass. 23495/2006] specularmente, chi voglia costruire in aderenza all’edificio confinante non può aprire pareti finestrate sul nuovo edificio a distanza inferiore di dieci metri dal confine, mentre è irrilevante nella presente materia – trattandosi di norme inderogabili – il principio della prevenzione» (così, sentenza in epigrafe, p. 7).

6. – Ora, la necessità di verificare la persuasività dell’operazione ermeneutica compiuta dalla sentenza d’appello e testé riassunta sollecita la formulazione del seguente quesito di diritto (i cui contorni sono tracciati dalla proiezione della fattispecie de qua sul parametro normativo ex art. 9 d.m. 1444/1968): ai fini dell’applicazione della distanza minima assoluta di dieci metri, la nozione di edifici antistanti comprende sempre anche il caso in cui la parete finestrata dell’uno non fronteggi la parete dell’altro, bensì prospetti uno spazio libero (poiché quest’ultima rimane ad un’altezza inferiore)?.

Formulando il quesito in termini più specifici, che «fotografano» la fattispecie di causa: vale l’obbligo di rispettare tale distanza anche quando le parenti siano aderenti l’una all’altra lungo tutto il fronte comune (cioè, senza intercapedini residue) e l’una si arresti in altezza al di sotto della soglia inferiore della/e finestra/e (con conseguente e corrispondente obbligo di arretrare il fronte della parete superiore finestrata)?

Il quesito si arricchisce d’un tratto finale di ordine negativo: il rispetto della distanza minima di tre metri dalla predetta soglia inferiore non rileva se non nel caso di acquisto del diritto di avere vedute (argomento ex art. 907, co. 3 c.c.).

7. – Il quesito delineato nel paragrafo precedente è quello a cui la Corte d’appello di Milano ha dato risposta positiva.

Tale risposta è erronea proprio alla luce della giurisprudenza di legittimità che la Corte d’appello pretende di invocare a suo sostegno, ove si abbia l’accortezza (sulla quale si è già richiamata l’attenzione) di far circolare le rationes decidendi condensate nelle massime giurisprudenziali saldamente agganciate ai relativi casi di specie.

Nei tempi recenti, per il quadro sistematico della giurisprudenza nella materia del rispetto della distanza fra edifici antistanti, il punto di riferimento può essere segnato da Cass. 24471/2019, il cui dictum saliente ed esplicitamente consapevole dei precedenti si riprende nel capoverso successivo, sintetizzato e profilato nei suoi termini generali.

La finalità dell’art. 9 d.m. 1444/1968 è di salva guardare l’interesse pubblico sanitario (cfr. Cass. 20574/1997) alla salubrità dell’affacciarsi di esseri viventi agli spazi intercorrenti fra gli edifici che si fronteggiano , quando almeno uno dei due abbia una parete finestrata (cfr. Cass. SU 1486/1997), a prescindere dal fatto che quest’ultima sia costruita prima o dopo l’altra parete (cfr. Cass. 13547/2011).

Strumento ne è il rispetto di una distanza minima, tale da garantire la circolazione d’aria e la irradiazione di luce idonee a mantenere la salubrità di affaccio.

La nozione di «antistanza» o «frontalità» (se si potesse dir così) va riferita e circoscritta a (porzioni di) pareti che si fronteggiano e pertanto presentano, ove non distanziate adeguatamente, un problema di circolazione d’aria e/o d’irradiazione di luce insufficienti, con un pericolo concreto che si crei un’intercapedine nociva.

Ove le pareti si fronteggino solo per un tratto – perché di diversa estensione orizzontale, verticale o non perfettamente parallele, il rispetto della distanza ex art. 9 d.m. 1444/1968 deve essere assicurato entro (e solo entro) le porzioni di pareti antistanti, nell’accezione predetta (cfr. Cass. 4639/1997).

In altre parole, la distanza di 10 metri – che è misurata in modo lineare (e non radiale, come accade invece rispetto alle vedute: cfr. Cass.9649/2016) – va rispettata entro il segmento delle pareti tale che l’avanzamento (ideale, meramente pensato) dell’una la porti ad incontrare l’altra, sia pure in quel segmento (cfr. Cass. 4175/2001).

Sulla scorta del principio della prevenzione, chi costruisce dopo può farlo fino ad una distanza di 5 metri dal confine, se chi ha costruito prima abbia osservato a sua volta una identica distanza dal confine nell’erigere una parete finestrata.

Ove, invece, questi abbia l’abbia edificata ad una di- stanza inferiore a 5 metri, il vicino gli può imporre di chiudere le fine- stre e costruire a sua volta una parete non finestrata rispettando la metà della distanza legale dal con fine (cfr. art. 873 c.c.), salva la facoltà di procedere all’interpello ex art. 875, co. 2 c.c. qualora ne ricorrano i presupposti (cfr. Cass. 4848/2019; 3340/2002).

8. – I principi e regole enucleati da Cass. 24471/2019 e ripresi nell’ultimo capoverso del paragrafo precedente indirizzano verso la soluzione corretta anche per la somiglianza dei tratti rilevanti del relativo caso di specie con la fattispecie attualmente sub iudice.

Quel caso era stato originato da una costruzione in aderenza alla parete di un capannone industriale.

Una volta raggiunta l’altezza del tetto del capannone, la costruzione proseguiva in modo arretrato di poco più di 5 metri rispetto al confine, arricchendosi altresì di una finestra.

Di conseguenza, la finestra non fronteggiava alcuna parete, guardando sopra la sommità del capannone.

La Corte ha cassato la pronuncia della corte di merito che aveva imposto il rispetto della distanza minima di 10 metri, poiché ha riscontrato il difetto di un presupposto imprescindibile: che «fra le facciate dei due edifici sussista almeno un segmento di esse tale che l’avanzamento di una o di entrambe le facciate medesime porti al loro incontro, sia pure per quel limitato segmento», talché è stata omessa dalla corte d’appello la verifica di un’attuale situazione di frontalità fra le due facciate, costituente l’essenziale «presupposto per l’operatività dell’art. 9 d.m. 1444/1968» (così, Cass. 24471/2019, paragrafo 7, con rinnovata citazione di Cass. 4175/2001).

9. – Tale è l’orientamento costante.

Infatti, laddove la giurisprudenza di questa Corte applica l’art. 9 d.m. 1444/1968 e pretende il rispetto della distanza minima di 10 metri, pur in presenza di una parete con una finestra che si apre su uno spazio libero alla sua altezza (id est, che non fronteggia l’altra parete), al di sotto vi è un a intercapedine , non già una costruzione in aderenza sul confine, come accade nel presente caso di specie.

Vi sono ottime ragioni funzionali che così sia, giacché la disposizione non esige il rispetto di tale distanza minima in sé e per sé, bensì in funzione della salubrità di affaccio sugli spazi intercorrenti tra fabbricati antistanti.

Così ha argomentato anche (OMISSIS) nel suo ricorso, in linea con la giurisprudenza di questa Corte profilata sulla base di un’interpretazione secondo buon senso, che non ha scomodato il principio di proporzionalità (il quale negli ultimi decenni si è trasformato in un arnese buono a quasi tutti gli impieghi, e quindi a nessuno in particolare).

10. – Nei casi in cui la giurisprudenza ha applicato la distanza minima di dieci metri ex art. 9 d.m. 1444/1968 (imponendo ne il ripristino in caso di violazione), pur in presenza d’una parete con finestra che non fronteggia l’altra parete (per essere quest’ultima inferiore di altezza), al di sotto vi è quasi invariabilmente una intercapedine o un interstizio, vi sono cioè due pareti o elementi di costruzione di varia fattezza, ma pur sempre racchiudenti uno spazio vuoto tra di loro , con pericolo concreto di recare nocumento alla salubrità di affaccio: così, tra le altre, Cass. 11842/2011, 20574/2007 (avancorpo cieco); Cass. 23495/2006 (distanza inferiore a 1,5 metri: è il caso citato dalla Corte d’appello di Milano); Cass. 8383/1999 (fabbricato fronteggiante); Cass.92017/1991 (distanza prevalentemente di 6,5 metri).

Non condivisibili sono pertanto le sporadiche pronunce che hanno ritenuto di applicare la distanza minima di dieci metri rispetto ad una parete con finestra non fronteggiante l’altra parete, pur su costruzione in aderenza su tutto il fronte, che si arrestava sotto la soglia della finestra.

In una siffatta fattispecie, in un caso risalente a circa tre decenni fa, si è statuito: «Vale la pena di puntualizzare […] che stante la inderogabilità della prescrizione di distanze in discorso, resta irrilevante la […] circostanza che la nuova costruzione realizzata nel mancato rispetto di essa sia destinata ad essere mantenuta ad una quota inferiore a quella dalle finestre antistanti e a distanza dalla soglia di queste con- forme alle previsioni dell’art. 907, co. 3 c.c. ».

In quel caso di specie, Cass. 6360/1993 aveva confermato la pronuncia di merito di accoglimento di una denuncia di nuova opera. Questo lontano precedente è disatteso.

11. – In conclusione, il primo motivo di ricorso è accolto.

12. – In relazione all’accoglimento del primo motivo di ricorso, il Collegio enuncia il seguente principio di diritto:

«L’obbligo di rispettare una distanza minima di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, previsto dall’art. 9 d.m. 1444/1968, vale anche quando la finestra di una parete non fronteggi l’altra parete (per essere quest’ultima di altezza minore dell’altra), tranne che le due pareti aderiscano in basso l’una all’altra su tutto il fronte e per tutta l’altezza corrispondente, senza interstizi o intercapedini residui».

13. – In conseguenza dell’accoglimento del primo motivo, è assorbito il secondo motivo di ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo nei sensi di cui in motivazione;

dichiara assorbito il secondo motivo;

cassa in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10/6/2022.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.