Tentato omicidio: le modalità operative, usato dal commando, fa propendere per il cd. “metodo mafioso” (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 29 ottobre 2021, n. 39194).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe – Presidente –

Dott. BIANCHI Michele – Rel. Consigliere –

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere –

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere –

Dott. CALVANESE Ersilia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

APREA LUIGI nato a NAPOLI il 31/12/19xx;

APREA VINCENZO nato a NAPOLI il 06/07/19xx;

APREA GIOVANNI nato a NAPOLI il 17/02/19xx;

FALCO FABIO nato a NAPOLI il 01/04/19xx;

avverso l’ordinanza del 13/05/2021 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICHELE BIANCHI;

lette le conclusioni del PG, Dott.ssa ELISABETTA CENICCOLA che ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 23 aprile 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, all’esito dell’udienza, non ha convalidato il fermo di polizia giudiziaria operato nei confronti di Luigi, Vincenzo e Giovanni Aprea e Fabio Falco – rilevando l’assenza del pericolo di fuga – e ha applicato la misura della custodia in carcere nei confronti degli stessi, indagati nei reati di concorso in tentato omicidio di Salvatore Borriello, Renato (OMISSIS), Federica (OMISSIS) (capo 1) e in detenzione e porto illegali di due armi comuni da sparo calibro 7,65 (capo 2), fatti aggravati dalla premeditazione, avvalendosi del metodo mafioso e per agevolare il clan Aprea, commessi nel quartiere Barra di Napoli il 17 aprile 2021.

L’ordinanza genetica, dato atto del condizionamento mafioso esistente nel quartiere Barra, come accertato in numerosi procedimenti penali, e dell’attuale operatività in loco del clan camorristico facente capo alla famiglia Aprea, il cui capo Ciro Aprea è detenuto dal 2009, ha evidenziato il ruolo attivo nel clan dei più giovani esponenti della famiglia, alleata con la famiglia Cuccaro, anche in ragione dei successivi arresti dei soggetti che si erano, negli ultimi anni, succeduti alla direzione del gruppo.

Fonti dichiarative avevano indicato il pieno inserimento nel clan di Luigi Aprea classe 19xx, figlio di Ciro e genero di Raffaele Cuccaro, altro capo clan.

Fratelli di Luigi Aprea sono Giovanni Aprea, classe 19xx, e Vincenzo Aprea, classe 19xx, mentre la sorella Rita è fidanzata con Fabio Falco.

In particolare, l’ordinanza ha dato atto dei numerosi episodi di gravi intimidazioni, con utilizzo di armi da fuoco e materie esplodenti, commessi nel quartiere Barra nei dodici mesi antecedenti.

Quanto al fatto, esso era stato documentato dalle immagini di un sistema di video sorveglianza, che consentivano di riprendere, dapprima, il passaggio in via Serino di due motocicli, con a bordo quattro giovani che, a volto scoperto e senza casco, erano distintamente riconoscibili negli indagati; quindi, si notava che all’uscita del vicolo le moto incrociavano l’ingresso in via Serino di auto Lancia Y, verso la quale un passeggero puntava una pistola, l’auto proseguiva la sua marcia nel vicolo mentre i due passeggeri, scesi dalle moto, puntavano le armi in direzione dell’auto sparando diversi colpi, per poi risalire a bordo delle moto e allontanarsi.

Venivano quindi rinvenuti in loco quattro bossoli cal. 7,65; una passante nel vicolo – Federica (OMISSIS), in compagnia di Renato (OMISSIS) – era stata colpita ad una gamba.

Tramite il numero di targa della Lancia Y, veniva individuato il conducente in Borriello Salvatore; sull’auto veniva rilevato un foro di arma da fuoco sul paraurti posteriore.

Veniva ritenuta integrata la fattispecie di tentato omicidio in ragione delle armi utilizzate, del numero e della direzione dei colpi, ascritta ai due passeggeri che avevano sparato, come ai due conducenti che avevano concorso nel fatto.

L’omicidio non era stato consumato solo per la prontezza del conducente l’auto Lancia Y, che aveva accelerato inoltrandosi nel vicolo.

L’aggravante mafiosa veniva ritenuta in ragione delle modalità operative, funzionali a rendere manifesta la forza di intimidazione del clan e quindi nella prospettiva di rafforzare il sodalizio ed agevolare la sua azione.

2. Con ordinanza pronunciata in data 13 maggio 2021 il Tribunale di Napoli, quale giudice ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., ha annullato la ordinanza limitatamente al capo 1, mantenendo la misura custodiale in relazione al capo 2.

Quanto alla ricostruzione del fatto viene fatto rinvio all’ordinanza genetica che aveva fondato la gravità indiziaria sulle immagini del sistema di video sorveglianza, che avevano ripreso l’azione dei quattro giovani, identificati negli indagati.

In assenza di una consulenza balistica finalizzata a ricostruire la direzione dei colpi, veniva escluso che l’azione fosse diretta a cagionare la morte di alcuno. Infatti, dalle immagini risultava che “i due passeggeri scendono … impugnando ciascuno un’arma … in direzione dell’auto ma verso il basso, mentre l’altro malvivente tiene la pistola puntata per terra”, e che i due passeggeri “avrebbero avuto tutto il tempo di puntare le pistole ad altezza d’uomo e in tal modo colpire gli occupanti dell’auto”.

La sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen. viene ritenuta in relazione al contesto ambientale, alla appartenenza di Luigi Aprea al clan Aprea operativo nel quartiere Barra, alle modalità esecutive (moto, volto scoperto, senza casco, in zona affollata in pieno giorno) significative della condizione di assoggettamento sociale.

3. Ha proposto ricorso per cassazione, con comune atto di impugnazione, il difensore degli indagati chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata limitatamente al giudizio sulla aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.

Quanto alla finalità di agevolazione del clan, l’ordinanza ha valorizzato dati non provati (la partecipazione di Luigi Aprea al clan del padre; la provenienza delle armi dal clan) e, nel contempo, affermato che il fatto costituiva una sorta di vendetta personale; non ha compiuto alcuna valutazione della finalità dell’azione, limitandosi a ritenere verosimile il fine di dare un avvertimento ad un avversario; non era stata compiuta alcuna considerazione in ordine all’estensione dell’aggravante a tutti i correi.

In ordine al metodo mafioso, il Tribunale non aveva verificato che fosse stato seguito un particolare modus operandi, né che lo stesso fosse applicazione di un modello evocativo del sodalizio mafioso.

Erano stati valorizzati dati, relativi al contesto del fatto, che solo in astratto potevano essere significativi di una diffusa condizione di assoggettamento omertoso, ma senza alcuna specifica verifica in concreto.

4. Procedendo alla trattazione in forma scritta ai sensi dell’art. 23 d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, il Procuratore generale ha chiesto la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi propongono motivi manifestamente infondati e ne va, perciò, dichiarata la inammissibilità.

1. Innanzitutto, si deve rilevare che l’ordinanza impugnata ha ritenuto la sussistenza dell’aggravante speciale contestata al capo 2 solo con riguardo all’utilizzo del metodo mafioso.

Con riguardo ai motivi del fatto il Tribunale, dando credito alle dichiarazioni rese da Giovanni Aprea, aveva ritenuto che fossero da individuare nella volontà di dar corso “ad una sorta di vendetta personale”, con ciò escludendo che gli indagati avessero agito per rafforzare la posizione dominante del clan Aprea nel territorio.

In parte qua, dunque, il motivo di ricorso non è sostenuto dal necessario interesse alla impugnazione.

2. Con riguardo al giudizio sulla sussistenza del metodo mafioso, che ha fondato l’accertamento in ordine all’aggravante, la censura motivazionale viene articolata con riguardo alla verifica dei connotati della condotta criminosa con specifico riferimento alla fattispecie di detenzione e porto illegali armi comuni da sparo, priva di un soggetto passivo.

Il motivo è manifestamente infondato.

Con l’espressione “metodo mafioso” ci si riferisce alla caratteristica modalità operativa di un sodalizio di stampo mafioso, i cui sodali “si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”, come precisa la relativa fattispecie incriminatrice.

La circostanza aggravante speciale di cui trattasi riguarda i delitti “commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis …”, e dunque mediante il così detto metodo mafioso.

La ratio dell’aggravante consiste nella maggiore intimidazione delle vittime del reato laddove il soggetto attivo, con la sua condotta, evochi l’esistenza di un gruppo associato capace di una maggiore forza di soggezione.

Peraltro, l’applicabilità dell’aggravante, nella forma del metodo mafioso, non è limitata ai reati con vittima ma riguarda tutte le fattispecie nelle quali la condotta del soggetto attivo presenti quella caratteristica di evocare la presenza di un Sodalizio criminoso a sostegno dell’azione del reo.

Sul punto, l’ordinanza ha dato motivazione, evidenziando che il contesto nel quale le armi erano state detenute e portate – nel corso di “un raid in puro stile camorristico a bordo di motocicli di grossa cilindrata, a volto scoperto e senza casco, … in una strada di un quartiere affollato, assolutamente incuranti di porre in pericolo la vita altrui” – era evocativo della forza di intimidazione diffusa espressa dalla operatività nel territorio di un clan di stampo mafioso.

3. Va dunque dichiarata la inammissibilità dei ricorsi, cui consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche al versamento di una somma a favore della Cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.

Così deciso il 9 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria, addì 29 ottobre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.