Vendita di Moto usata, difetto di accensione. E’ motivo di risoluzione del contratto (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 11 febbraio 2020, n. 3272).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SECONDA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23995-2015 proposto da:

VALDO MOTO DI PAOLO VALDO & C SAS, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI TORRENOVA 220/A, presso lo studio dell’avvocato Massimo DI CENSO, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio BRUNI;

– ricorrente –

contro

DI RADO Antonio;

– intimato –

avverso la sentenza n. 813/2014 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 16/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2019 dal Consigliere Dott.ssa Rossana GIANNACCARI.

FATTI DI CAUSA

1. Il giudizio trae origine dalla domanda proposta, con atto di citazione del 23.9.2005, da Antonio Di Rado nei confronti della Valdo Moto s.a.s. di Paolo Valdo & C., con la quale chiedeva dichiararsi la risoluzione del contratto del 22.2.2005, avente ad oggetto un motociclo per gravi difetti di funzionamento, che lo rendevano inidoneo all’uso cui era destinato.

1.1. La Valdo Moto s.a.s. si costituiva per resistere alla domanda; sosteneva che, trattandosi di motoveicolo usato, i vizi fossero riconducibili all’usura del mezzo, soggiungendo che erano stati effettuati interventi di sostituzione dei pezzi usurati e difettosi.

1.2. Il Tribunale di Sulmona, con sentenza del 31.3.2009, rigettava la domanda.

2. Interposto appello dal Di Rado, la Corte d’appello di L’Aquila, nel contraddittorio con la Valdo Moto s.a.s., disponeva CTU, e, in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda.

La corte di merito accertava che i vizi, preesistenti alla vendita, impedivano l’accensione ed il funzionamento del motociclo e che gli interventi di riparazione effettuati dalla ditta venditrice non erano stati effettuati a regola d’arte; conseguentemente, ritenne che la cosa era inidonea all’uso cui era stata destinata.

2. Per la cassazione della sentenza d’appello, ha proposto ricorso la Valdo Moto s.a.s. di Paolo Valdo & C. sulla base di tre motivi.

2.1. Antonio Di Rado non ha svolto attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1490 e 1492 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c.; sostiene il ricorrente che i vizi riscontrati dal CTU derivavano dalla natura del bene venduto, un veicolo usato, e dall’usura del mezzo, sicchè sarebbe erronea la conclusione della corte di merito che aveva ritenuto il bene inidoneo all’uso cui era destinato.

1.1. Il motivo è infondato.

1.2. Gli artt. 1490 e 1492 del cod. civ., in tema di azione redibitoria, al pari dell’art. 1497 cod. civ., vanno interpretati con riferimento al principio generale sancito dall’art. 1455 cod. civ., da cui consegue che l’esercizio dell’azione è legittimato soltanto da vizi concretanti un inadempimento di non scarsa importanza, i quali non sono distinti in base a ragioni strutturali, ma solo in funzione della loro capacità di rendere la cosa inidonea all’ uso cui era destinata o dì diminuirne in modo apprezzabile il valore, secondo un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito (Cass. Civ., Sez. 2, Sentenza n. 21949 del 25/09/2013).

1.2. Nella specie, la corte di merito, sulla base delle dichiarazioni testimoniali assunte in primo grado, ha accertato che il motociclo, poco dopo la vendita, aveva presentato problemi di avviamento tanto da rendere necessari interventi di riparazione.

Detti vizi, sulla base delle risultanze della CTU, erano preesistenti alla vendita ed impedivano l’accensione ed il funzionamento del mezzo (pag. 3 – 4 della sentenza impugnata), né gli interventi di riparazione erano stati effettuati a regola d’arte.

1.3. Tale accertamento di fatto è insindacabile in sede di legittimità e non risulta scalfito dal motivo di ricorso, che si sofferma su una diversa lettura delle risultanze della consulenza tecnica e sul rilievo che si trattasse di veicolo usato.

1.4. Ritiene il collegio che anche il veicolo usato deve pur sempre essere idoneo all’uso cui è destinato mentre la corte di merito ha accertato che, già nel periodo in cui il veicolo era in garanzia, il mezzo presentava problemi di accensione ed avviamento, che non furono risolti perché gli interventi di riparazione non erano stati effettuati a regola d’arte.

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c, in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., in quanto la corte territoriale avrebbe erroneamente condannato la società venditrice alla restituzione del prezzo comprensivo degli interessi dal 22.2.2005 al soddisfo, nonostante gli interessi non fossero stati chiesti in citazione ma nella comparsa conclusionale del giudizio di appello.

La decisione sarebbe pertanto viziata da extrapetizione, in relazione ad una domanda tardivamente proposta, anche in divieto dei nova in appello.

2.1. Il motivo è fondato.

2.2. La declaratoria di risoluzione del contratto, pur comportando, per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c., l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione ricevuta, non autorizza il giudice a emettere i relativi provvedimenti restitutori, in assenza di domanda della parte interessata (Cassazione civile sez. II, 01/07/2008, n.17995; Cass. 14/11/2002 n. 16021, 14/1/2002 n. 341, 3/4/1999 n. 3287).

2.3. La Corte d’appello non si è uniformata al principio consolidato affermato da questa Corte ed ha condannato la società venditrice non solo alla restituzione del prezzo ma anche agli interessi, decorrenti dalla data in cui il prezzo è stato versato all’acquirente, in assenza di domanda.

2.4. La sentenza è dunque viziata da ultrapetizione e deve essere cassata in relazione alla censura svolta; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatti, ai sensi dell’art.384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito, con la statuizione della non debenza degli interessi da parte della società ricorrente.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, perché la corte di merito non avrebbe tenuto conto di una serie di circostanze: che il compratore non aveva allegato e provato i difetti lamentati, che la società venditrice aveva effettuato interventi di riparazione e che il bene era inidoneo all’uso cui era destinato. Ribadiva che si trattava di un veicolo usato e che il componente danneggiato aveva, per sua natura, un periodo breve di vita.

3.1. Il motivo non è fondato.

3.2. A seguito della nuova formulazione dell’art.360 comma 1 n.5 c.p.c., introdotto dalla L. 134/2012, il vizio motivazionale censurabile in sede di legittimità concerne l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione, che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n.8053 ).

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

3.3. Nella specie la corte di merito ha esaminato la natura dei vizi, la loro preesistenza rispetto alla vendita, l’inidoneità del bene all’uso cui era destinato e la circostanza che gli interventi di riparazione non fossero stati effettuati a regola d’arte.

4. Le spese del giudizio di merito, ai sensi dell’art. 336 c.p.c., vanno interamente compensate tra le parti, in ragione della loro parziale soccombenza.

4.1. Non deve provvedersi sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, dichiara non dovuti gli interessi sulle somme dovute dalla Valdo Moto s.a.s. ad Antonio di Rado.

Dichiara compensate le spese del giudizio di merito.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, in data 27 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria l’11 febbraio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.