Rompe il lucchetto della catena antifurto per portare via una bici: condanna più severa per il ladro (Corte di Cassazione, Sezione IV Penale, Sentenza 24 febbraio 2022, n. 6638).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRANTI Donatella – Presidente –

Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –

Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere –

Dott. SERRAO Eugenia – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Aldo – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) TIZIANO nato a CAMPOSAMPIERO il 21/03/19xx;

avverso la sentenza del 12/10/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ALDO ESPOSITO;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale dr.ssa OLGA MIGNOLO che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia ha confermato la sentenza del Tribunale di Padova del 17 dicembre 2015, con cui (OMISSIS) Tiziano era stato condannato alla pena di mesi sei di reclusione ed euro duecento di multa in relazione al reato di cui agli artt. 56, 99, comma quarto, 624 e 625, comma primo, n. 2, cod. pen., perché poneva in essere atti idonei, consistenti nel forzare con un’asta metallica la catena antifurto che teneva legata una bicicletta alla rastrelliera, diretti in modo non equivoco ad impossessarsi del predetto bene al fine di trarne profitto, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla propria volontà – con l’aggravante di aver usato violenza sulle cose – con recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale – in Padova il 6 ottobre 2012.

2. Il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, ricorre per Cassazione avverso la sentenza della Corte di appello, proponendo due motivi di impugnazione.

2.1. Violazione dell’art. 625, comma primo, n. 2, cod. pen..

Si deduce che non ricorrevano i presupposti per riconoscere l’aggravante dell’uso di violenza sulle cose.

2.2. Violazione dell’art. 62, n. 4, cod. pen. e vizio di motivazione.

Si osserva che l’attenuante in questione poteva essere riconosciuta alla luce del modico valore del bene oggetto di reato.

2.3. Violazione dell’art. 133 cod. pen. e vizio di motivazione.

Si rileva che la pena inferta appariva di entità eccessiva e contra legem.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, poiché, in tema di furto, l’aggravante della violenza sulle cose è configurabile tutte le volte in cui il soggetto, per commettere il fatto, manomette l’opera dell’uomo posta a difesa o a tutela del suo patrimonio in modo che per riportarla ad assolvere la sua originaria funzione sia necessaria un’attività di ripristino (Sez. 5, n. 7267 del 08/10/2014, dep. 2015, Gravina, Rv. 262547).

Tale principio è applicabile al caso in esame, perché, come emerge dalla lettura della sentenza di primo grado, il (OMISSIS) aveva chiaramente divelto il lucchetto posto a presidio della bicicletta grazie all’asta metallica in suo possesso e sarebbe stato necessario il ripristino dello stesso, al fine di ricollocarla stabilmente nel posto originario.

Sussistono, pertanto, nella fattispecie gli estremi del tentato furto aggravato dalla violenza sulle cose, fattore quest’ultimo che ha specificamente connotato le modalità dell’azione sottrattiva.

Il ricorrente si limita ad una generica doglianza circa il riconoscimento della circo- stanza aggravante contestata, senza formulare rilievi alla ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

La Corte di appello ha rilevato che la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod. pen. non poteva essere riconosciuta, tenuto conto delle condizioni normali della bicicletta. Alla luce di tale elemento, pertanto, la Corte di merito, con motivazione lineare e coerente, ha escluso che il danno patrimoniale, sebbene non quantificabile, fosse di speciale tenuità.

La pronuncia impugnata, quindi, sul punto appare correttamente allineata al costante dictum di questa Corte, secondo cui la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità, presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrisorio, avendo riguardo non solo al valore in sé della cosa sottratta, ma anche agli ulteriori effetti pregiudizievoli che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della res, senza che rilevi, invece, la capacità del soggetto passivo di sopportare il danno economico derivante dal reato (Sez. 4, n. 6635 del 19/01/2017, Sicu, Rv. 269241; Sez. U, n. 35535 del 12/07/2007, Ruggiero, Rv. 236914).

Il ricorrente si limita a censurare il logico iter motivazionale della sentenza, senza neanche illustrare adeguatamente le ragioni per le quali, nella fattispecie, il danno sarebbe di rilevanza economica minima.

3. Anche il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Relativamente alla censura sull’entità eccessiva della pena irrogata, va premesso che la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato intuitivamente e globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).

Il giudice del merito esercita la discrezionalità che la legge gli conferisce, attraverso l’enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’art. 133 cod. pen. (Sez. 2, n. 361104 del 27/04/2017, Mastro, Rv. 271243; Sez. 3, n. 6877 del 26/10/2016, dep. 2017, S., Rv. 269196; Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008, Gasparri, Rv. 239754).

La pena applicata non eccede la media edittale e, in relazione ad essa, non era dunque necessaria un’argomentazione più dettagliata da parte del giudice (Sez. 3, n. 38251 del 15/06/2016, Rignanese, Rv. 267949).

Il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisca il frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico.

Al contrario, nella fattispecie, l’entità della pena irrogata – molto vicina al minimo edittale – è stata correttamente giustificata dal Tribunale in riferimento ai numerosi e gravi precedenti specifici del (OMISSIS) e la Corte di appello ha logicamente condiviso tale valutazione.

Il ricorrente non ha indicato elementi specifici, idonei a disattendere o a superare le considerazioni dei giudici di merito sul punto.

4. Per le ragioni che precedono, il ricorso va dichiarato inammissibile con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non sussistendo ragioni di esonero – al versamento della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma il 12 ottobre 2021.

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.