Condominio: il cortile è di proprietà comune (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 28 aprile 2022, n. 13317).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20022-2017 proposto da:

(OMISSIS) GINO e (OMISSIS) MARIA CARMELA, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE (OMISSIS) n. 113, presso lo studio dell’avvocato MASSIMO (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) SAVERIO e (OMISSIS) TERESA, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA (OMISSIS) n. 27, presso lo studio dell’avvocato GIOVAN (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMANO (OMISSIS);

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 532/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 23/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/12/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 5.4.2006 (OMISSIS) Saverio e (OMISSIS) Teresa evocavano in giudizio (OMISSIS) Gino e (OMISSIS) Maria Carmela innanzi il Tribunale di Catanzaro, invocando l’accertamento della proprietà comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., di un cortile posto all’interno dell’edificio in cui si collocano le proprietà delle parti, che i convenuti avevano intercluso mediante la posa in opera di un dissuasore metallico.

Nella resistenza dei convenuti, che invocavano in via riconvenzionale l’accertamento del rapporto pertinenziale esistente tra il cortile oggetto di causa e la porzione immobiliare di loro proprietà esclusiva, il Tribunale rigettava la domanda principale, qualificandola come rivendicazione e ritenendo non conseguita la prova del diritto rivendicato.

Rigettava altresì la domanda riconvenzionale, per ravvisata assenza dei relativi presupposti, in fatto e in diritto.

Interponevano appello avverso detta decisione gli originari attori, mentre i convenuti resistevano al gravame spiegando a loro volta impugnazione incidentale in relazione alla domanda riconvenzionale non accolta in prime cure.

Con la sentenza impugnata, n. 532/2017, la Corte di Appello di Catanzaro accoglieva il gravame principale, riformando la decisione del Tribunale.

Dichiarava invece inammissibile l’appello incidentale degli odierni ricorrenti, perché tardivamente proposto.

Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione (OMISSIS) Gino e (OMISSIS) Maria Carmela, affidandosi ad un unico motivo.

Resistono con controricorso (OMISSIS) Saverio e (OMISSIS) Teresa.

In prossimità dell’adunanza camerale la parte ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso, (OMISSIS) e (OMISSIS) lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente qualificato la domanda proposta dagli attori in prime cure, ravvisando la proprietà comune del cortile, senza considerare che lo stesso sarebbe, in realtà, stato destinato soltanto a servizio della proprietà degli odierni ricorrenti.

Questi ultimi, in particolare, deducono che soltanto la loro proprietà ha un accesso al cortile; su di esso, invece, insisterebbero soltanto aperture con inferriate, qualificabili dunque come luci, a servizio della proprietà (OMISSIS) e (OMISSIS).

Deducono inoltre che prima dell’inizio dell’azione petitoria lo (OMISSIS) avrebbe proposto domanda di reintegrazione nel possesso di una servitù di passaggio sul cortile di cui è causa, in tal modo riconoscendo, implicitamente, di non esserne proprietario o comproprietario.

Non sussisterebbero, dunque, in concreto, i presupposti per la configurazione della comproprietà mediante il ricorso all’istituto di cui all’art. 1117 c.c., in quanto il cortile non sarebbe accessibile da parte dei vari comproprietari, ma sarebbe destinato, per le sue caratteristiche strutturali, soltanto a servizio della proprietà di parte ricorrente.

La censura è infondata.

Occorre premettere che, secondo l’insegnamento di questa Corte, “In tema di condominio negli edifici, l’individuazione delle parti comuni, come le terrazze di copertura, risultante dall’art. 1117 cod. civ. –il quale non si limita a formulare una mera presunzione di comune appartenenza a tutti i condomini, vincibile con qualsiasi prova contraria– può essere superata soltanto dalle opposte risultanze di un determinato titolo e non opera con riguardo a cose che, per le loro caratteristiche strutturali, risultino destinate oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7449 del 07/07/1993, Rv. 483033; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24189 del 08/09/2021, Rv. 662169).

L’art. 1117 c.c., dunque, non introduce una presunzione di appartenenza comune di determinati beni a tutti i condomini, ma fissa un criterio di attribuzione della proprietà del bene, che è suscettibile di essere superato mediante la produzione di un titolo che dimostri la proprietà esclusiva di quel bene in capo ad un condomino, o a terzi, ovvero attraverso la dimostrazione che, per le sue caratteristiche strutturali, la res sia materialmente asservita a beneficio esclusivo di una o più unità immobiliari.

In relazione ai cortili, in particolare, si è ritenuto che “I cortili (e, successivamente all’entrata in vigore della legge n. 220 del 2012, le aree destinate a parcheggio) rientrano, salvo una espressa riserva di proprietà nel titolo originario di costituzione del condominio, tra le parti comuni dell’edificio e la loro trasformazione in un’area edificabile destinata alla installazione, con stabili opere edilizie, di autorimesse a beneficio soltanto di alcuni condomini, sebbene possa incidere sulla regolamentazione del loro uso, non ne comporta, sotto il profilo dominicale, una sottrazione al regime della condominialità” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 16070 del 14/06/2019, Rv. 654086; nella specie, questa Corte aveva evidenziato come la realizzazione delle autorimesse nel cortile condominiale, sia pure in base ad una concessione rilasciata su richiesta di alcuni condomini, ne aveva determinato, in assenza di accordo rivestente la forma scritta, l’acquisto, per accessione e pro indiviso, in favore di tutti i condomini).

Ed ancora, che “In tema di condominio, l’apertura di finestre ovvero la trasformazione di luci in vedute su un cortile comune rientra nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell’art. 1102 c.c., considerato che i cortili comuni, assolvendo alla precipua finalità di dare aria e luce agli immobili circostanti, sono utilmente fruibili a tale scopo dai condomini stessi, cui spetta la facoltà di praticare aperture che consentano di ricevere, appunto, aria e luce dal cortile comune o di affacciarsi sullo stesso, senza incontrare le limitazioni prescritte, in materia di luci e vedute, a tutela dei proprietari degli immobili di proprietà esclusiva.

In proposito, l’indagine del giudice di merito deve essere indirizzata a verificare esclusivamente se l’uso della cosa comune sia avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato art. 1102, e, quindi, se non ne sia stata alterata la destinazione e sia stato consentito agli altri condomini di farne parimenti uso secondo i loro diritti: una volta accertato che l’uso del bene comune sia risultato conforme a tali parametri deve, perciò, escludersi che si sia potuta configurare un’innovazione vietata” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 13874 del 09/06/2010, Rv. 613241).

Il cortile comune, dunque, assolve alla primaria funzione di fornire aria e luce alle varie unità immobiliari che presentano aperture su di esso.

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto, all’esito di un accertamento in punto di fatto, non implausibile e non utilmente censurabile in sede di legittimità, che lo spazio oggetto di causa avesse, per sua natura, proprio la sua funzione di dare luce ed aria agli ambienti che vi si affacciano, e sulla base di questo elemento ne ha ravvisato la proprietà comune in capo ad entrambe le parti.

In aggiunta, la Corte distrettuale ha ricostruito la storia dell’immobile, affermando che esso apparteneva in origine ad un unico proprietario ed era stato poi, nelle sue porzioni corrispondenti alle attuali proprietà delle parti in causa, oggetto di successivi atti di disposizione; ed ha evidenziato che gli odierni ricorrenti non avevano allegato l’esistenza di un titolo contrario, idoneo a dimostrare la loro proprietà esclusiva dell’area scoperta.

In tal modo, il giudice di merito ha escluso entrambe le condizioni che, ai sensi dell’art. 1117 c.c., consentono il superamento della regola di attribuzione della proprietà dei beni elencati dalla norma.

Da quanto precede discende l’infondatezza della censura proposta dagli odierni ricorrenti, con la quale questi ultimi invocano, in sostanza, una ricostruzione alternativa rispetto a quella proposta dal giudice di merito, senza considerare che l’accertamento della funzione dell’area controversa –dare luce ed aria ai locali che si affacciano con aperture su di essa– costituisce, come già detto, il frutto di una valutazione in punto di fatto. Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto –ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002– della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 4.200, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda Sezione civile, in data 6 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 28 aprile 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.