Sanzione amministrativa e morte sopravvenuta dell’opponente nel corso del giudizio: come vanno regolate le spese di lite? (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 24 maggio 2022, n. 16747).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Rel. Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. CAVALLARI Dario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 17078/2018 R.G. proposto da:

(OMISSIS) Domenico e (OMISSIS) Giuseppina, rappresentati e difesi dall’avv. LUIGI (OMISSIS), con domicilio eletto in ROMA, P.ZA (OMISSIS) 6, presso lo studio dell’Avv. GERARDO (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

ENTE PARCO NAZIONALE DEL VESUVIO, in persona del suo legale rappresentante;

– intimato –

avverso la sentenza ella Corte d’appello di Napoli n. 4959/17 depositata l’1.12.2017.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 03/02/2022 dal Presidente.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso del 12.1.2009 Vincenza (OMISSIS) proponeva innanzi al Tribunale di Nola opposizione all’ordinanza d’ingiunzione n. 257/08, emessa dal Direttore dell’Ente Parco Nazionale del Vesuvio per violazioni edilizie.

Il Tribunale accoglieva l’opposizione e annullava l’ordinanza di ingiunzione per essere prescritto, ai sensi dell’art. 28, primo comma, legge n. 689/81, il diritto di riscuotere le somme dovute per l’infrazione.

Proposto appello, il processo di secondo grado era interrotto per la morte di Vincenza (OMISSIS).

Riassunto il processo nei confronti degli eredi di quest’ultima, si costituiva in giudizio, in detta qualità, Domenico (OMISSIS).

Quindi, la causa era definita dalla Corte d’appello di Napoli con sentenza n. 4959/17, che dichiarava cessata la materia del contendere per la morte dell’opponente, condannava gli eredi di lei alle spese di primo grado e il solo Domenico (OMISSIS) alle spese del giudizio d’appello.

In particolare, e per quanto ancora rileva in questa sede di legittimità, la Corte distrettuale regolava le spese in base al criterio della soccombenza virtuale, poiché riteneva infondata l’eccezione di prescrizione dato il carattere permanente, e non già istantaneo, della violazione edilizia contestata.

Avverso detta pronuncia Domenico e Giuseppina (OMISSIS), entrambi quali eredi di Vincenza (OMISSIS), propongono ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’Ente Parco Nazionale del Vesuvio è rimasto intimato.

Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380- bis.1. c.p.c.

I ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità dell’adunanza in camera di consiglio.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 7 legge n. 689/81, in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c., poiché l’intrasmissibilità agli eredi dell’obbligo di pagare la sanzione è corollario del carattere personale dell’illecito amministrativo ed importa l’inefficacia sopravvenuta dell’ordinanza ingiuntiva, ostando, così, alla pronuncia sui motivi d’opposizione, anche solo ai fini della soccombenza virtuale.

2. – Il secondo mezzo espone la violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., per carenza d’interesse ad agire, e dell’art. 112 c.p.c.

L’Ente opposto, si sostiene, proprio a cagione dell’intrasmissibilità dell’obbligazione in oggetto, non aveva interesse a riassumere il giudizio nei confronti dell’erede dell’originaria opponente; sicché, cessata la materia del contendere – soluzione, questa, pacifica nella giurisprudenza di legittimità – l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per sopravvenuto difetto dell’interesse dell’appellante.

3. – Il terzo motivo lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e, ancora, dell’art. 7 legge n. 689/81, in relazione al n. 4 dell’art. 360 c.p.c.

Parte ricorrente afferma che, estinguendosi l’illecito amministrativo con la morte del suo autore, viene meno l’oggetto stesso della giurisdizione, per cui non può neppure configurarsi una soccombenza dell’erede del trasgressore.

4. – Tutti e tre i motivi, da esaminarsi congiuntamente per il loro carattere complementare, sono fondati nel senso e nei termini che seguono.

Sia la sentenza impugnata sia i motivi di ricorso richiamano, correttamente, la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, secondo cui la morte dell’autore della violazione comporta, quale espressione del principio di personalità della sanzione amministrativa, l’inefficacia dell’ordinanza ingiuntiva e l’estinzione dell’obbligazione di pagare la sanzione pecuniaria irrogata; la quale, ai sensi dell’art. 7 della l. n. 689 del 1981, non si trasmette agli eredi, con la conseguente inefficacia dell’ordinanza di ingiunzione e cessazione della materia del contendere nel giudizio di opposizione (la cui declaratoria può essere effettuata anche in sede di legittimità ove il decesso sia documentato ex art. 372 c.p.c.: cfr. nn. 27650/18, 6737/16, 22199/10 e 5880/07).

Meno ferma nella giurisprudenza di questa Corte la soluzione in punto di spese di lite, ora non regolate ovvero compensate perché la morte, sopravvenuta alla pronuncia del provvedimento impugnato, è stata dichiarata e documentata solo in sede di legittimità (come nelle pronunce nn. 27650/18, 6737/16, 22199/10, 13113/03 e 6048/93); ora compensate altrimenti (cfr. n. 21265/20, in ragione del rilievo officioso, da parte della Corte di cassazione, dell’inammissibilità del ricorso prodotto dall’Amministrazione; n. 5743/04, in cui pure la Corte aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli eredi dell’ingiunto, deceduto nelle more del giudizio di merito; e n. 10244/99, caso analogo, ma in cui la Corte si è limitata a pronunciare la cessazione della materia del contendere); ora, infine, poste a carico dell’Amministrazione ricorrente (v. n. 5717/11, in una fattispecie in cui la morte era avvenuta prima della notifica del ricorso per cassazione).

Solo nella recente ordinanza n. 29577/21, dichiarativa della cessazione della materia del contendere per la morte dell’autore dell’infrazione nel corso del giudizio di legittimità, il regolamento delle spese è stato espressamente escluso in quanto il decesso, impedendo di procedere oltre, non consentiva di formulare una “prognosi virtuale di sorta sull’epilogo”.

Tale pronuncia, pur nella sua concisione sul punto, richiama – ma per derogarvi – il principio generale seguito dalla costante giurisprudenza di questa Corte nelle ipotesi di cessazione della materia del contendere, allorché le spese di lite sono allocate in base al criterio della c.d. soccombenza virtuale, mediante un giudizio d’impronta delibatoria sul merito della domanda (v. per una sua recente applicazione, S.U. n. 25478/21).

Ciò posto, se si considera che tra merito e spese di lite intercede un nesso di accessorietà riconducibile, secondo la dottrina, all’art. 31 c.p.c., e che, pertanto, il principio della soccombenza di cui all’art.91 c.p.c. richiede la consequenzialità logico-giuridica tra le due pronunce, la c.d. soccombenza virtuale, lungi dal rappresentarne un continuum (sia pure soltanto ipotetico), vi deroga per ragioni di causalità (o, se si preferisce, di responsabilità preprocessuale), volte a individuare la parte la cui condotta ha provocato la lite (la soccombenza virtuale, quale criterio applicativo del principio di causalità, si conferma espressamente in alcuni precedenti di questa Corte Suprema: cfr. nn. 1005/20 e 30857/18).

Si tratta, allora, di verificare se anche nel caso delle opposizioni a sanzione amministrativa, una volta che il principio di soccombenza in senso oggettivo non possa operare, non essendovi un victor cui attribuire il victum (secondo la nota formula per cui victus victori), il principio di causalità – che ne costituisce il correttivo di natura soggettiva – ne debba prendere il posto.

4.1. – Ad avviso del Collegio la risposta è negativa per due concomitanti ragioni, una sostanziale e l’altra processuale.

4.1.1. – Quanto alla prima, deve osservarsi che, come affermato da S.U. n. 22082/17, «(n)el nostro ordinamento l’illecito amministrativo nasce e si struttura nella sua autonomia mediante successive leggi di depenalizzazione di omologhe fattispecie di reato.

La norma dell’art. 7 legge n. 689/81, in base alla quale l’obbligazione di pagare la somma dovuta per la violazione non si trasmette agli eredi, era presente tal quale nei rispettivi artt. 4 delle leggi nn. 317/67 e 706/75, e si coordina oggi con il principio della natura personale della responsabilità amministrativa (art. 3, primo comma, legge n. 689/81), al pari e a somiglianza di quella penale (art. 27, primo comma, Cost.)».

Pertanto, «la morte dell’autore della violazione determina, in base ad una libera e risalente scelta di politica legislativa, il venir meno in radice dell’interesse dello Stato ad accertare la responsabilità stessa e ad applicare il relativo trattamento sanzionatorio.

Ciò che in tal caso si estingue è lo stesso illecito, al pari dell’estinzione del reato prevista dall’art. 150 c.p. nell’ipotesi di morte del reo prima della condanna».

4.1.2. – Accomunate dalla medesima ratio legis, personalità e intrasmissibilità della sanzione predicano che in caso di morte dell’autore dell’illecito amministrativo si verifichi una radicale cesura non solo nel rapporto sanzionatorio, ma anche in quello processuale – e si passa, così, ad esporre la seconda ragione –, poiché il processo non può più pervenire ad una decisione di merito.

Per comprendere quest’ultima affermazione occorre riflettere sulla natura della successione nel processo, ai sensi dell’art. 110 c.p.c., norma che sia in dottrina che in giurisprudenza è oggetto di una duplice lettura.

4.1.2.1. – La prima considera che l’art. 110 c.p.c., secondo il quale, in caso di morte di una parte, il processo è proseguito dal successore universale o nei suoi confronti, esaurisce i propri effetti nella sfera processuale e non si estende fino alla creazione di una legittimazione sostanziale esclusa dalla specifica disciplina del rapporto in contestazione (così nn. 10065/03 e 9357/92, rispettivamente, in un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, per l’intrinseca intrasmissibilità della situazione soggettiva correlata, e riguardo ad un’azione di disconoscimento della paternità, dovendosi escludere, in forza dell’art. 246 c.c., in caso di morte del genitore, la legittimazione di soggetti diversi da ascendenti e discendenti, la mancanza dei quali rende improseguibile l’azione da parte del collaterale dell’originario attore, ancorché ne sia erede).

In senso analogo, si è affermato in altro precedente che quando oggetto della controversia sia lo scioglimento del matrimonio per divorzio, la morte di uno dei coniugi, sopravvenuta dopo la notificazione della sentenza di primo grado e durante la decorrenza del termine di cui all’art. 325 c.p.c., non dà luogo al fenomeno processuale della interruzione di tale termine, ma, determinando lo scioglimento del matrimonio per altra causa, preclude il passaggio in giudicato della pronuncia di divorzio (ancorché emessa, nell’ipotesi, su domanda congiunta dei coniugi), fa cessare la materia del contendere e rende inammissibile il gravame eventualmente proposto.

Pertanto, qualora venga in contestazione che il matrimonio non si sia sciolto per divorzio, ma per la morte di uno dei coniugi intervenuta prima del passaggio in giudicato della decisione giudiziale, dovrà essere proposta apposita domanda, in primo grado, per l’accertamento della situazione controversa, non potendo la stessa essere formulata in un atto d’impugnazione proposto nei confronti degli eredi del coniuge defunto (così, n. 5664/96; contra, n. 9592/92).

Dunque, secondo detto orientamento, l’art. 110 c.p.c. regola la fattispecie della successione a titolo universale nel processo, così come l’art. 111 c.p.c. disciplina quella della successione a titolo particolare.

Pertanto, ove la successione ereditaria non contempli il trasferimento anche del diritto controverso, per la natura personalissima del diritto, neppure la legittimazione ad agire o contraddire si trasferisce all’erede, che non può essere considerato giusta parte sol perché tale ad altri e non contesi effetti.

La conseguenza è che il giudizio diviene non proseguibile e, specularmente, insuscettibile di riassunzione, questa non potendo attingere ad altro se non, appunto, ad una declaratoria d’improseguibilità del processo.

4.1.2.2. – Il secondo indirizzo intende l’art. 110 c.p.c. come deputato essenzialmente a ripristinare la necessaria bilateralità del rapporto processuale, venuta meno a seguito della morte della persona fisica, con la conseguenza che la legitimatio ad processum si trasmette all’erede indipendentemente dalla natura del rapporto sostanziale e dal trasferimento mortis causa della posizione soggettiva inerente.

Ne deriva che, escluso quest’ultimo effetto in base alle norme di diritto sostanziale che vi presiedono, il processo può essere proseguito dall’erede o riassunto nei confronti di lui, ma è destinato a concludersi in rito, con una pronuncia di cessazione della materia del contendere.

In questo senso, si è affermato che avverso la sentenza dichiarativa della cessazione degli effetti civili del matrimonio, intervenuta successivamente alla morte di una delle parti, è ammissibile l’appello della parte superstite, al fine di ottenere una pronuncia di cessazione della materia del contendere nella causa di divorzio, ormai priva di oggetto, essendo gli effetti civili del matrimonio già venuti meno, per la morte di uno dei coniugi, ai sensi dell’art. 149 c.c.; nel giudizio d’impugnazione, gli eredi della parte deceduta sono legittimati processuali ex art. 110 c.p.c., in qualità di successori universali della parte deceduta, anche se ad essi non sia trasmesso o non sia trasmissibile il diritto controverso (n. 16801/09; conforme, n. 1079/21).

Tale orientamento ha quale principale conseguenza che gli eredi della parte deceduta nel corso del processo debbono tutti partecipare al giudizio, quali litisconsorti necessari, essendo irrilevante la trasmissione all’uno o all’altro di essi per effetto di disposizioni testamentarie o di divisione, della titolarità del bene cui attiene la controversia, con la conseguenza che l’atto di prosecuzione volontaria, ancorché compiuto da alcuni soltanto degli eredi, è sufficiente a ricostituire il rapporto processuale, salvo l’obbligo del giudice di ordinare l’integrazione del contraddittorio nei riguardi degli eredi che non abbiano proseguito volontariamente il processo e nei cui confronti non sia avvenuta la riassunzione (n. 779/97; conforme, 8452/95).

4.1.3. – Quest’ultimo indirizzo è da preferire, non solo perché maggiormente conforme alla lettera dell’art. 110 c.p.c., che regola la successione nel processo e non nel diritto che ne forma l’oggetto sostanziale, ma anche in quanto presenta l’indiscutibile vantaggio di consentire alla parte che ne abbia interesse di ottenere comunque una pronuncia conclusiva del giudizio, anche nel caso in cui – come nella specie – non vi sia stata successione nella situazione soggettiva sostanziale.

Lì dove, per contro, l’improseguibilità, configurandosi quale effetto automatico non mediato dall’accertamento e dalla pronuncia dichiarativa del giudice, questa essendo essenzialmente iterativa di un effetto già prodottosi, pone la parte che, ciò non di meno, riattivi il processo, in condizioni di doverne risponderne verso l’altra, esponendosi così alla possibile condanna alle spese in applicazione del principio di causalità.

4.1.4. – Nello specifico, il giudice d’appello mostra di aver – condivisibilmente – ritenuto necessario il ripristino della bilateralità del rapporto processuale al fine di dichiarare la cessazione della materia del contendere.

Ma è incorso in errore allorché da tale effetto, derivante dall’estinzione della sanzione per la morte dell’opponente, non ha tratto la logica conseguenza, ossia che l’erede, sebbene parte processuale nei cui confronti legittimamente è stata emessa la pronuncia in rito, non può rispondere delle spese del giudizio, poiché egli non è succeduto nel lato passivo del rapporto giuridico sanzionatorio.

Ne consegue che, inapplicabile l’art. 91 c.p.c. per difetto sia di soccombenza sia di responsabilità preprocessuale, il carico delle spese resta regolato dall’art. 8, primo comma, D.P.R. n. 115/02, in base al quale ciascuna parte anticipa e sostiene le proprie.

5. – La sentenza impugnata va, dunque, cassata senza rinvio quanto al capo relativo alle spese.

6. – Sussistono giusti motivi, attesa la sia pur parziale novità della questione, per dichiarare irripetibili le spese del presente giudizio di cassazione.

P. Q. M.

La Corte accoglie il ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alle spese.

Dichiara irripetibili le spese di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3.2.2022.

Depositato in Cancelleria, addì 24 maggio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.