Bancarotta semplice documentale: l’obbligo di scritture viene meno solo con la cancellazione della società dal registro imprese (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 24 marzo 2023, n. 12499).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SABEONE Gerardo – Presidente –

Dott. PEZZULLO Rosa – Consigliere –

Dott. CATENA Rossella – Consigliere –

Dott. GUARDIANO Alfredo – Rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Pierangelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS) nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/04/2022 della CORTE APPELLO di FIRENZE;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere dott. ALFREDO GUARDIANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.ssa KATE TASSONE che ha concluso chiedendo

udito il difensore.

IN FATTO E IN DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Firenze confermava la sentenza con cui il tribunale di Firenze, in data 27.2.2019, aveva condannato (OMISSIS) (OMISSIS) in qualità di amministratore della s.r.l. (OMISSIS) (OMISSIS) dichiarata fallita dal tribunale di Firenze il (OMISSIS), alle pene, principale e accessorie, ritenute di giustizia, in relazione al reato di bancarotta semplice in rubrica ascrittogli.

2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede l’annullamento, ha proposto ricorso per cassazione il (OMISSIS) lamentando:

1) violazione di legge e vizio di motivazione, in quanto la corte territoriale ha omesso di fornire risposta al rilievo difensivo, volto a far valere l’insussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui si discute, in ragione dell’errore di diritto in cui è caduto l’imputato, il quale non ha adempiuto ai propri doveri di imprenditore, omettendo, negli ultimi tre anni antecedenti alla dichiarazione di fallimento, la tenuta delle scritture contabili obbligatorie per legge, nell’erronea convinzione di non doversi più considerare tale, a partire dal momento della chiusura dell’esercizio commerciale gestito dalla società fallita;

2) violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 47, ultimo comma, c.p., laddove la corte di appello ha considerato l’errore su una legge diversa dalla legge penale commesso dall’imputato, inescusabile per legge;

3) vizio di motivazione con riferimento alla mancata applicazione in favore dell’imputato della causa di non punibilità, di cui all’art. 131 bis, c.p.;

4) omessa motivazione in punto di determinazione della durata delle pene accessorie della inabilitazione all’esercizio di un’impresa commerciale e all’incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa per la durata di mesi dieci.

3. Con requisitoria scritta dell’11.11.2022, depositata sulla base della previsione dell’art. 23, co. 8, l. 28 ottobre 2020, n. 137, che consente la trattazione orale in udienza pubblica solo dei ricorsi per i quali tale modalità di celebrazione è stata specificament8 richiesta da una delle parti, il sostituto procuratore generale della Repubblica presso la Corte di cassazione, chiede che il ricorso venga accolto con riferimento all’ultimo motivo di impugnazione e rigettato nel resto.

Con note scritte il difensore di fiducia dell’imputato, avv. (OMISSIS) nel replicare alla requisitoria del pubblico  ministero, insiste per l’accoglimento del ricorso, reiterando le proprie doglianze.

4. Il ricorso appare parzialmente fondato e va accolto nei seguenti termini.

5. Con riferimento ai primi due motivi di ricorso, ne va rilevata l’infondatezza.

La tesi difensiva, come si è detto, è incentrata sull’assunto che, incontestato l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta semplice, difetterebbe la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in presenza di un errore sulla legge extrapenale da ritenere del tutto scusabile, ai sensi dell’art. 47, co. 3, c.p., posto che l’imputato era convinto di non essere obbligato alla tenuta delle scritture contabili obbligatorie per legge, nel convincimento, per l’appunto erroneo, che la società di cui era amministratore si fosse estinta con la cessazione di ogni attività dell’esercizio commerciale (un bar) da essa gestito, circostanza, rileva il ricorrente, “che lo ha indotto a ritenere di non dover più essere tenuto all’adempimento di alcun obbligo legato alla inattiva, ancorché formalmente esistente, (OMISSIS) (OMISSIS) s.r.l.

Si tratta di una tesi non condivisibile.

Come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, deve essere considerato errore sulla legge penale, come tale inescusabile, sia quello che cade sulla struttura del reato, sia quello che incide su norme, nozioni e termini propri di altre branche del diritto, introdotte nella norma penale ad integrazione della fattispecie criminosa, dovendosi intendere per “legge diversa dalla legge penale”, ai sensi dell’art. 47, c.p., quella destinata in origine a regolare rapporti giuridici di carattere non penale e non esplicitamente incorporata in una norma penale, o da questa non richiamata neppure implicitamente (cfr., ex plurimis, Sez. 6, n. 25941 del 31/03/2015, Rv. 263808).

Da tempo, inoltre, è stato inoltre chiarito come l’errata interpretazione di una legge diversa da quella penale, cui fa riferimento l’art. 47, ultimo comma, c.p., ai fini dell’esclusione della punibilità, deve essere sempre originata da errore scusabile (cfr. Sez. 2, n. 43309 del 08/10/2015, Rv. 264978).

Ciò posto, si osserva che, sul punto aggredito con i primi due motivi di impugnazione, la sentenza oggetto di ricorso non è affatto priva di motivazione, ché, anzi, il giudice di appello ha correttamente evide:nziato come l’errore in cui sarebbe caduto il ricorrente, nei sensi indicati in precedenza, sia un errore di diritto inescusabile per legge.

E invero non può non considerarsi tale l’errore sulla natura di precetto integrante la fattispecie penale di cui all’art. 217, legge fallimentare, dell’art. 2214, e.e., in tema di obbligo di tenuta delle scritture contabili dell’imprenditore che esercita un’attività commerciale, posto che, come evidenziato dall’orientamento  conforme negli anni della giurisprudenza di questa Corte, l’oggetto del reato di bancarotta semplice documentale é rappresentato da qualsiasi scrittura la cui tenuta è obbligatoria, dovendosi ricomprendere tra queste anche quelle richiamate dal comma secondo dell’art. 2214 cod. civ., e cioè tutte le scritture che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell’impresa (cfr., ex p/urimis, Sez.  5,  n.  5461 del 25/11/2016,  Rv.  269094;  Sez.  5,  n.  33878 del 03/05/2017, Rv. 271608).

Sicché la condanna del (OMISSIS) per il reato di cui si discute appare del tutto conforme ai principi affermato con orientamento dominante dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di bancarotta semplice documentale, l’obbligo di tenere le scritture contabili, la cui violazione integra il reato, viene meno solo quando la cessazione dell’attività commerciale sia formalizzata con la cancellazione dal registro delle imprese, indipendentemente dal fatto che manchino passività insolute, trattandosi di reato di pericolo presunto posto a tutela dell’esatta conoscenza della consistenza patrimoniale dell’impresa, a prescindere dal concreto pregiudizio per le ragioni creditorie (cfr. Sez. 5, 4727 del 15/03/2000, Rv. 215985; Sez. 5, n. 20514 del 22/01/2019, Rv. 275261).

6. Fondato, invece, appare il secondo motivo di ricorso, in esso assorbita anche la censura articolata con il terzo motivo di impugnazione.

Va preliminarmente chiarito che la natura di reato di pericolo del delitto di bancarotta semplice, se da un lato, non esclude di per sé l’offensività della condotta, dall’altro, non è affatto da ostacolo al riconoscimento della causa di non punibilità di cui si discute (cfr. Sez. 3, n. 23184 del 23/06/2020, Rv. 280158), con la conseguenza che sarebbe erroneo escludere dall’ambito di applicazione del disposto dell’art. 131 bis, c.p., il reato di bancarotta semplice, sol perché reato di pericolo.

Vero è che la corte territoriale fa anche riferimento, nel giustificare il rigetto della richiesta difensiva sul punto, alla circostanza che la condotta si è protratta per tre anni e non si è interrotta spontaneamente.

Si tratta, tuttavia, di motivazione, ad avviso del Collegio, tale dia non rispondere, se non in maniera insoddisfacente, stante la genericità del relativo argomentare, ai criteri fissati in tale materia dal Supremo Collegio, secondo cui ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131 bis, c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, c.p., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell’entità del danno o del pericolo (cfr. Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Rv. 266590).

Si impone, pertanto, un annullamento della sentenza oggetto di ricorso, con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Firenze, che provvederà a colmare l’evidenziata lacuna motivazionale, attraverso una nuova e più analitica valutazione della fattispecie concreta, da condurre alla luce dei richiamati principi di diritto, che  tenga conto, ovviamente.·,· dei  contributi  che  potranno  essere  forniti  al riguardo  dalle  parti, valutazione che, richiedendo accertamenti di natura fattuale, non può essere svolta nel presente giudizio di legittimità (cfr. Sez. 2, n. 35033 del 12/11/2020, Rv. 279971).

Va precisato, per completezza espositiva, che non può essere rilevata dal giudice del rinvio la prescrizione maturata il 17.12.2022, posto che, come affermato dall’orientamento dominante nella giurisprudenza di legittimità, nel caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, limitatamente alla verifica della sussistenza dei presupposti per l’applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, il giudice di rinvio non può dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, maturata, come nel caso in esame, successivamente alla sentenza di annullamento parziale (cfr., ex plurimis, Sez. 3, n. 30383 del 30/03/2016, Rv. 267590).

La non completa soccombenza dell’imputato, implica che, nonostante il rigetto dei primi due motivi di ricorso, egli non sia condannato al pagamento delle spese processuali del grado.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’applicazione dell’art. 131 bis, c.p., con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della corte di appello di Firenze. Rigetta il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma il 13.12.2022.

Depositato in Cancelleria Roma, lì 24 marzo 2023.

SENTENZA – originale -.