Cassazione: reato non dare le generalità anche se si è estranei al fatto (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 6 maggio 2020, n. 13731).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente

Dott. FIORDALISI Domenico – Consigliere

Dott. SANATALUCIA Giuseppe – Consigliere

Dott. CENTOFANTI Francesco – Consigliere

Dott. SARACENO Rosa Anna – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI BRESCIA;

nel procedimento a carico di:

NEYFE VIKTORIA nato il xx/xx/xxxx;

avverso la sentenza del 06/03/2019 del TRIBUNALE di BRESCIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ROSA ANNA SARACENO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa FRANCA ZACCO che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata alla Corte di Appello di Brescia;

udito il difensore.

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Brescia ha assolto l’imputata Viktoria Neyfe, con la formula perché il fatto non costituisce reato, dalla contravvenzione di cui all’art. 651 cod. pen., contestatale per essersi rifiutata di dare indicazioni sulla propria identità personale agli agenti di polizia locale nell’esercizio delle loro funzioni. Fatto commesso il 10 giugno 2015.

1.1 Secondo la ricostruzione esposta in sentenza i vigili erano intervenuti a seguito di una segnalazione di disturbo alla quiete pubblica e stavano procedendo all’identificazione dei presenti.

L’imputata, estranea ai fatti che avevano determinato l’intervento, aveva cominciato ad inveire nei confronti delle persone presenti. Richiesta di declinare le proprie generalità, si era rifiutata allontanandosi, ma subito dopo era ritornata sui suoi passi e aveva ripreso “l’azione di disturbo”.

Gli operanti le avevano nuovamente e ripetutamente richiesto di fornire indicazioni sulla propria identità, ma la donna aveva opposto un ostinato rifiuto, assumendo “un atteggiamento di sfida”.

1.2. Tanto precisato e incontroversa la condotta omissiva della prevenuta alla insistita richiesta di dichiarare le generalità, il Tribunale ha osservato che la fattispecie penale contestata non poteva ritenersi integrata, non sussistendo nel caso di specie nessuna necessità di tutela dell’ordine pubblico; che gli agenti erano impegnati in attività che non interessava direttamente l’imputata e che la donna non aveva commesso alcunché di illecito; che, anzi, la circostanza che ella, estranea ai fatti, avesse inveito contro le persone che gli agenti stavano controllando, portava ragionevolmente ad escludere consapevolezza e volontà di intralciare l’attività della pubblica autorità.

2. Ricorre il Procuratore generale presso la Corte di appello di Brescia, denunziando inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 651 cod. pen. e vizio di motivazione.

Stando alla ricostruzione in fatto operata dallo stesso Tribunale, l’intervento degli agenti era stato necessitato dalla segnalazione di condotte di disturbo alla quiete pubblica, sicché era affatto erronea l’affermazione che, nel caso in esame “non vi era la necessità di tutela dell’ordine pubblico”; l’atteggiamento dell’imputata e le sue ripetute invettive avevano sortito l’effetto di creare ulteriore confusione, donde la piena legittimità della richiesta di fornire le generalità, avanzata e reiterata dagli operanti; il rifiuto opposto con le segnalate modalità di sfida dava ragione, infine, di una condotta omissiva consapevole e volontaria, pur essendo sufficiente la sola colpa ad integrare l’elemento soggettivo del reato.

3. Osserva il Collegio che il ricorso appare fondato.

3.1 Secondo la costante lezione interpretativa di questa Corte, la ratio della fattispecie incriminatrice in esame è quella di salvaguardare l’esigenza di consentire al pubblico ufficiale una pronta e compiuta identificazione del soggetto in circostanze d’interesse generale, e allo scopo precipuo di evitare intralci all’attività di soggetti istituzionalmente preposti all’assolvimento di compiti di prevenzione, di accertamento o repressione dei reati, o di semplice garanzia della quiete pubblica (Sez. 1, n. 3764 del 27/02/1998, Soldani, Rv. 210123, e molte altre successive conformi); per la configurazione del reato è poi necessario che il soggetto che richieda ad altri di fornire le sue generalità, eserciti in concreto le pubbliche funzioni; la potestà del pubblico ufficiale di richiedere indicazioni sulla identità personale, sullo stato o su altre qualità personali, non è circoscritta alla ipotesi che il soggetto attivo della contravvenzione sia responsabile di un reato o di un illecito amministrativo (Sez. 1, n. 18592 del 29/04/2011, De Angelis, Rv. 250269); la norma non richiede, poi, nessun presupposto di necessità della richiesta di indicazione, ma solo la contingenza dell’esercizio delle pubbliche funzioni e il sindacato del giudice sulla legittimità della richiesta può e deve investire la sussistenza della qualifica soggettiva e della competenza del richiedente e l’effettivo e concreto esercizio delle funzioni, ma non la discrezionalità della concreta iniziativa del pubblico ufficiale in relazione alla causa della richiesta.

3.2 A tali principi il provvedimento impugnato non si è attenuto, laddove ha escluso: che nel frangente fossero configurabili esigenze di ordine pubblico; che l’imputata fosse tenuta a fornire le proprie generalità, in quanto gli operanti erano impegnati in un’attività che non l’interessava direttamente; che la richiesta fosse legittima siccome non connessa alla contestazione di nessuna infrazione, non avendo l’imputata “commesso nulla di illecito”, mentre non è dato di poter cogliere il ragionamento giudiziale in base al quale è stato escluso l’elemento soggettivo del reato – per il quale, trattandosi di contravvenzione, è sufficiente la colpa – a fronte degli enunciati dati fattuali (l’azione di disturbo; il rifiuto opposto alla richiesta con atteggiamento di sfida) non in linea, se non all’evidenza incompatibili, con le conclusioni raggiunte.

4. La sentenza deve essere, pertanto annullata, con rinvio al Tribunale di Brescia, in diversa persona fisica, perché proceda a nuovo giudizio attenendosi ai superiori principi e fornendo una motivazione immune dalle illogicità evidenziate.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Brescia, in diversa persona fisica.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2020

Depositato in Cancelleria il 6 maggio 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.