Costruzione difforme dal titolo urbanistico citato nell’atto di acquisto: l’atto resta valido (Corte di Cassazione, Sezione II Civile, Sentenza 21 ottobre 2021, n. 29317).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24378-2016 proposto da:

(OMISSIS) SALVATORE, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE (OMISSIS) (OMISSIS) 113, presso lo studio dell’avvocato PATRIZIA MARIA CONSUELO (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) CHIARA, (OMISSIS) NAZZARENA, (OMISSIS) LILIANA, elettivamente domiciliati in ROMA, C.SO (OMISSIS) 85, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA (OMISSIS), che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonché contro

(OMISSIS) NAZZARENA, (OMISSIS) SARA, (OMISSIS) MARCELLO, (OMISSIS) GIULIANA, (OMISSIS) FRANCO, (OMISSIS) MARINA, (OMISSIS) CHIARA, (OMISSIS) MARCO, (OMISSIS) LORENZO, (OMISSIS) FIAMMETTA, (OMISSIS) ROSANNA, (OMISSIS) ALVARO;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3731/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE.

FATTI DI CAUSA

1. Salvatore (OMISSIS) citava dinanzi il Tribunale di Roma Otello (OMISSIS), Domenico (OMISSIS) e Mario (OMISSIS) per accertare la nullità del contratto di compravendita stipulato il 14 dicembre 1979 tra l’attore e i convenuti con condanna di questi ultimi congiuntamente o disgiuntamente tra loro e previa restituzione degli immobili acquistati, al pagamento della somma di lire 15.000.000 oltre rivalutazione e interessi e oltre al risarcimento del danno patrimoniale riferito alla differenza di valore degli immobili oggetto del contratto in relazione all’attuale valore di mercato immobiliare.

2. Il Tribunale accoglieva la domanda e dichiarava la nullità del contratto per essere l’immobile non conforme alla disciplina urbanistica con condanna dei convenuti alla restituzione del prezzo versato di euro 7746,85 ed al risarcimento del danno liquidato complessivamente in euro 126.500 sulla base del presumibile valore commerciale di un immobile di caratteristiche simili a quello oggetto della compravendita.

3. Gli eredi dei convenuti, nelle more deceduti, (Liana (OMISSIS), in proprio e quale tutrice di Patrizia (OMISSIS), Alessandro (OMISSIS), in qualità di eredi di Otello (OMISSIS), Nazarena (OMISSIS), Sara (OMISSIS), Marcello (OMISSIS), e Giuliana (OMISSIS) in qualità di genitori esercenti la patria potestà sul minore Daniele (OMISSIS), Franco (OMISSIS), Marina (OMISSIS), nella qualità di genitori esercenti la patria potestà sul minore Matteo (OMISSIS), Chiara (OMISSIS), Marco (OMISSIS), Lorenzo (OMISSIS), Fiammetta (OMISSIS), Rosanna (OMISSIS) e Alvaro (OMISSIS) nella qualità di genitori esercenti la patria potestà sulla minore Alice (OMISSIS) in qualità di eredi di Domenico (OMISSIS)) proponevano appello avverso la suddetta sentenza.

4. La Corte d’Appello accoglieva l’impugnazione e in riforma della sentenza di primo grado rigettava la domanda proposta da Salvatore (OMISSIS).

In particolare, la Corte d’Appello evidenziava che il punto centrale della controversia era costituito dal regime giuridico della compravendita al momento della stipula del contratto avvenuta il 13 dicembre 1979.

Nel contratto si specificava che il fabbricato di cui faceva parte la porzione immobiliare compravenduta era stato costruito in base alla licenza di costruzione n. 1097 del 1968 e della successiva voltura n. 2691 del 1973.

La Corte d’Appello riteneva che alla fattispecie dovesse applicarsi l’articolo 15 della legge n. 10 del 1977 che prevedeva la sanzione della nullità esclusivamente per gli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione e laddove l’acquirente non fosse a conoscenza di tale assenza, con la conseguenza che, in caso di costruzione in difformità dalla concessione, nessuna nullità dell’atto poteva ipotizzarsi.

La sanzione della nullità di un atto di disposizione, infatti, non poteva essere interpretata estensivamente al fine di ricondurvi anche il caso di costruzione in difformità dal permesso di costruire.

Anche la successiva legge n. 47 del 1985 secondo la giurisprudenza di legittimità prevedeva, prescindendo dalla regolarità sostanziale del bene sotto il profilo urbanistico, la nullità degli atti di trasferimento di diritti reali di edifici esclusivamente per l’omessa menzione degli estremi della licenza edilizia da parte dell’alienante ovvero per la mancata allegazione della relativa domanda di sanatoria con allegata la prova dell’avvenuto versamento delle prime due rate dell’oblazione.

La Corte d’Appello dava atto dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità che successivamente aveva adottato un’interpretazione sostanzialistica della nullità ma riteneva di aderire alla tesi che limitava l’ipotesi di nullità alla mancanza di concessione o alla mancata indicazione degli estremi della licenza edilizia.

Peraltro, nei caso di specie, doveva farsi applicazione della legge n. 10 del 1977 e non dell’articolo 40 della legge n. 47 del 1985.

5. Salvatore (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di quattro motivi di ricorso.

6. Nazarena (OMISSIS), Chiara (OMISSIS), Liana (OMISSIS) in proprio e quale esercente la patria potestà sulla figlia Patrizia (OMISSIS) ed Alessandro (OMISSIS) hanno resistito con controricorso.

7. Entrambe le parti con memoria depositata in prossimità dell’udienza hanno insistito nelle rispettive richieste.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 15 della I. n. 10 del 1977.

La censura attiene alla statuizione secondo la quale l’assenza di concessione edilizia prevista a pena di nullità debba differenziarsi rispetto alla difformità totale, con particolare riferimento al disposto di cui all’articolo 15 della I. n. 10 del 1977.

Il trasferimento di beni immobili viziati da incommerciabilità, secondo il ricorrente, deve essere dichiarato nullo indipendentemente dal regime giuridico applicabile.

L’articolo 15, comma 7, della I. n. 10 del 1977 sanciva la nullità dei trasferimenti degli immobili costruiti in assenza di concessione e, in tal modo, vietava il commercio di immobili abusivi.

In sostanza ciò che rileva nel caso in esame è l’incommerciabilità dei beni come accertata dal consulente tecnico d’ufficio.

Peraltro, la stessa Corte d’Appello avrebbe evidenziato che non ogni abuso edilizio determina di per sé stessa l’incommerciabilità del bene ma solo quelli di maggiore gravità.

A tal proposito il ricorrente riporta le conclusioni del consulente tecnico che aveva evidenziato la totale difformità dell’immobile costruito rispetto al titolo abilitativo, concludendo nel senso che l’irregolarità edilizia e urbanistica fosse tale da rendere impossibile l’immissione in commercio degli immobili.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che ha equiparato all’ipotesi di assenza di concessione edilizia il vizio di totale difformità.

2. Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli articoli 15 della I. n. 10 del 1977, e 17 e 40 della I. n. 47 del 1985.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di legittimità che ha interpretato le norme citate in senso sostanziale e dopo aver ricostruito la successione delle leggi ritiene di individuare una linea di continuità che caratterizza la legislazione finalizzata a garantire il prevalente interesse pubblico all’incommerciabilità delle costruzioni abusive o totalmente difformi, in conformità con il principio generale della nullità di carattere sostanziale degli atti di trasferimento di immobili non in regola con la normativa urbanistica.

Peraltro, la legge del 1985 non ha sottratto alla sua applicazione le costruzioni ultimate entro la data della sua entrata in vigore e anzi ha offerto l’opportunità di procedere ad una sanatoria per gli abusi ultimati entro la data del 10 ottobre 1983. Di conseguenza le sanzioni introdotte dalla I. n. 47 del 1985 sarebbero retroattive.

L’articolo 40 della legge citata, infatti, era riferito alle costruzioni antecedente l’entrata in vigore della legge alle quali soltanto poteva far riferimento la sanatoria.

Dunque, gli immobili di cui è causa avrebbero dovuto essere esaminati nel rispetto delle prescrizioni urbanistiche intervenute nel 1985 e, nella specie, non essendo stata attivata alcuna procedura di sanatoria o condono, doveva trovare applicazione l’articolo 40 della I. n. 47 del 1985.

2.1 I primi due motivi di ricorso, che stante la loro evidente connessione possono essere trattati congiuntamente, sono infondati.

La Corte d’Appello ha individuato il punto centrale della controversia nel regime giuridico della compravendita al momento della stipula del contratto avvenuta il 13 dicembre 1979.

Nella specie, ha ritenuto di fare applicazione dell’articolo 15 della legge n. 10 del 1977 che prevedeva la sanzione della nullità esclusivamente per gli atti relativi ad immobili costruiti senza concessione e laddove l’acquirente non fosse a conoscenza di tale assenza, con la conseguenza che in caso di costruzione in difformità dalla concessione nessuna nullità dell’atto poteva ipotizzarsi.

Nel contratto, infatti, si specificava che il fabbricato di cui faceva parte la porzione immobiliare compravenduta era stato costruito in base alla licenza di costruzione n. 1097 del 1968 e della successiva voltura n. 2691 del 1973.

La statuizione della Corte d’Appello di Roma è conforme alla giurisprudenza di legittimità ed è immune dalle censure sollevate dal ricorrente.

Questa Corte, infatti, ha già avuto modo di affermare che: «Il regime di nullità degli atti tra vivi aventi ad oggetto diritti reali, previsto dall’art. 40 I. n. 47 del 1985, è inapplicabile per il principio della irretroattività, ai contratti stipulati anteriormente alla sua entrata in vigore; per essi trova applicazione il sistema di sanzioni civili previsto dall’art. 10, comma 4, I. n. 765 del 1967 e, in termini pressoché identici, dall’art. 15, comma 7, I. n. 10 del 1977, che subordina la nullità dell’atto alla mancata conoscenza da parte dell’acquirente della carenza di concessione edilizia (nella specie, si è esclusa la nullità del contratto di compravendita posto che la conoscenza da parte dell’acquirente della carenza della concessione edilizia emergeva inequivocabilmente dalla presenza di un patto aggiunto nel quale la parte venditrice aveva assunto l’obbligazione di tenere indenni gli acquirenti dalle conseguenze economiche della costruzione abusiva)» Sez. II, n. 3350 del 1992).

Inoltre, quanto all’interpretazione dell’art. 15 della I. n. 10 del 1977 deve darsi continuità al seguente principio di diritto:: «L’art. 15, 70 comma, I. n. 10 del 1977 relativo alla nullità degli atti giuridici aventi ad oggetto costruzioni abusive va interpretato nel senso che ai fini della validità dell’atto occorre il duplice requisito che l’acquirente sapeva della mancanza della concessione al momento della stipulazione e che tale conoscenza fu espressa nell’atto medesimo anche implicitamente in modo che si possa dire egli vi manifestò la volontà di acquistare un’unità edilizia costruita senza la necessaria concessione – manifestazione di volontà che – è bene precisare – non può desumersi aliunde»(Sez. II, n. 6466 del 1990).

3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli articoli 1418 e 1346 c.c.

Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe dovuto in ogni caso individuare il fondamento della nullità sostanziale del contratto del dicembre 1979 nel sistema codicistico ed in particolare nella disciplina generale della nullità di cui agli articoli 1418 e 1346 c.c..

In sostanza, nella specie il contratto sarebbe nullo per contrarietà a norme imperative e per impossibilità e illiceità dell’oggetto.

3.1 Il terzo motivo di ricorso è infondato.

In primo luogo, la censura è del tutto generica perché non indica quali siano le norme urbanistiche violate, facendo riferimento genericamente ad abusi edilizi.

Ad ogni modo deve richiamarsi la recente pronuncia delle Sezioni Unite con la quale si è ritenuto che: «La nullità comminata dall’art. 46 del d.P.R. n. 380 del 2001 e dagli artt. 17 e 40 della I. n. 47 del 1985 va ricondotta nell’ambito del comma 3 dell’art 1418 c.c., di cui costituisce una specifica declinazione, e deve qualificarsi come nullità “testuale”, con tale espressione dovendo intendersi, in stretta adesione al dato normativo, un’unica fattispecie di nullità che colpisce gli atti tra vivi ad effetti reali elencati nelle norme che la prevedono, volta a sanzionare la mancata inclusione in detti atti degli estremi del titolo abilitativo dell’immobile, titolo che, tuttavia, deve esistere realmente e deve esser riferibile, proprio, a quell’immobile.

Pertanto, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo menzionato» (Sez. U, Sent. n. 8230 del 2019).

In tale pronuncia si è precisato che la nullità comminata dalle disposizioni in esame non può esser sussunta nell’orbita della nullità c.d. virtuale di cui al comma 1 dell’art. 1418 c.c., che presupporrebbe l’esistenza di una norma imperativa ed il generale divieto di stipulazione di atti aventi ad oggetto immobili abusivi al fine di renderli giuridicamente non utilizzabili, e tale divieto non trova riscontro in seno allo jus positum, che, piuttosto, enuncia specifiche ipotesi di nullità.

Né la conclusione può fondarsi nella previsione della conferma degli atti nulli, mediante la redazione di un atto aggiuntivo, contemplata per l’ipotesi in cui la mancata indicazione dei prescritti elementi non sia dipesa dalla insussistenza del permesso di costruire al tempo in cui gli atti medesimi sono stati stipulati.

Tale conferma e l’atto aggiuntivo che la contiene presuppongono, bensì, che il titolo e la documentazione sussistano, ma, di per sé, non implicano che l’edificio oggetto del negozio ne rispecchi fedelmente il contenuto.

Le sezioni Unite hanno precisato anche che la tesi sostanzialista non può fondarsi sul disposto di cui al comma secondo dell’art. 1418 c.c.

La consentita disposizione testamentaria in ordine ad immobili non regolari urbanisticamente, e comunque la possibilità del loro trasferimento per successione mortis causa, la loro attitudine a costituire garanzie reali, la loro idoneità, inoltre, ad esser contemplati in seno agli atti inter vivos (valga per tutti la locazione) ed in seno ad atti costituenti diritti reali di servitù escludono che il loro modo di atteggiarsi possa di per sé solo valere ad integrare le vietate ipotesi d’illiceità o d’impossibilità dell’oggetto, o, ancora d’illiceità della prestazione (che, in tesi, dovrebbero colpire tutti gli atti e, dunque, anche quelli esentati) o della causa per contrarietà a norme imperative o al buon costume.

L’oggetto della compravendita, secondo la definizione data dall’art. 1470 c.c., è il trasferimento della proprietà della res, che, in sé, non è suscettibile di valutazione in termini di liceità o illiceità, attenendo l’illecito all’attività della sua produzione, e, considerato che la regolarità urbanistica del bene è estranea alla causa della compravendita, tradizionalmente definita nello scambio -cosa contro prezzo- che ne costituisce la sua funzione economica e sociale, ed altresì il suo effetto essenziale.

In costanza di una dichiarazione reale e riferibile all’immobile, il contratto sarà in conclusione valido, e tanto a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata al titolo in esso menzionato, e ciò per la decisiva ragione che tale profilo esula dal perimetro della nullità, in quanto, non è previsto dalle disposizioni che la comminano, e tenuto conto del condivisibile principio generale secondo cui le norme che, ponendo limiti all’autonomia privata e divieti alla libera circolazione dei beni, sanciscono la nullità degli atti debbono ritenersi di stretta interpretazione, sicché esse non possono essere applicate, estensivamente o per analogia, ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.

In conclusione, in presenza nell’atto della dichiarazione dell’alienante degli estremi del titolo urbanistico, reale e riferibile all’immobile, il contratto è valido a prescindere dal profilo della conformità o della difformità della costruzione realizzata rispetto al titolo menzionato.

4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione.

Secondo il ricorrente la Corte d’Appello avrebbe dovuto valutare l’inadempimento delle controparti che non avevano correttamente adempiuto la loro prestazione avendo venduto un bene abusivo e, dunque, avrebbe dovuto pronunciarsi sul risarcimento del danno. Tale richiesta sarebbe autonoma rispetto alla richiesta di risoluzione del contratto non riproposta in appello.

4.1 II quarto motivo è infondato.

La Corte d’Appello ha accolto l’appello e rigettato le domande di Salvatore Lepre, precisando che questi sebbene in primo grado avesse proposto anche una domanda di risoluzione del contratto, non aveva in sede di appello riproposto la questione, sulla quale pertanto non poteva pronunciarsi.

Risulta evidente, pertanto, che non vi sia stato alcun omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e che il ricorrente ha proposto nella sostanza una censura di omessa pronuncia che è del tutto infondata, in quanto la Corte d’Appello ha espressamente chiarito che nella specie non era stata riproposta la domanda di risoluzione e di risarcimento per inadempimento.

D’altra parte, anche con il motivo in esame, il ricorrente non indica in alcun modo di aver riproposto in sede di appello la domanda di risoluzione del contratto per inadempimento con conseguente domanda di risarcimento del danno.

Viceversa, il risarcimento del danno riconosciuto dalla sentenza di primo grado si fondava sulla presunta nullità del contratto.

5. Il ricorso è rigettato.

6. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

7. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento alla parte controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 5300 più 200.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Roma, 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 ottobre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.