Dare del “povero ebete”, sulla piattaforma Facebook, è diffamazione (Corte di Cassazione, Sezione V Penale, Sentenza 11 marzo 2021, n. 9790).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PALLA Stefano – Presidente – 

Dott. GUARDIANO Alfredo – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. MICHELI Paolo – Rel. Consigliere –

Dott. BORRELLI Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di:

(OMISSIS) Girolamo, nato a (OMISSIS) il 14/09/19xx;

avverso la sentenza emessa il 07/02/2019 dalla Corte di appello di Ancona;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giovanni Di Leo, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

letti gli scritti difensivi presentati:

– per la parte civile (Avv. Mauro (OMISSIS)), che ha richiesto dichiararsi l’inammissibilità, ovvero il rigetto, del ricorso del (OMISSIS);

– per l’imputato (Avv. Giacomo Francesco (OMISSIS)), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. Il difensore di Girolamo (OMISSIS) ricorre per cassazione avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 04/05/2017, dal Tribunale di Ascoli Piceno, nei confronti del suo assistito.

La declaratoria di penale responsabilità del (OMISSIS) riguarda un addebito di diffamazione: secondo l’assunto accusatorio, egli avrebbe utilizzato frasi offensive della reputazione di Orlando (OMISSIS) pubblicando un commento sulla piattaforma Facebook.

La difesa deduce violazione di legge processuale in quanto, all’udienza del 16/01/2017, il giudice di primo grado aveva preso atto di un suo legittimo impedimento, rinviando la trattazione del processo al successivo 9 marzo e ordinando che la Cancelleria notificasse il relativo verbale all’imputato; quella notifica non si era poi perfezionata per un errore nel nominativo del destinatario, ma il Tribunale aveva comunque disposto che si procedesse oltre.

In vista della stessa udienza del 09/03/2017, in ogni caso, era stato tempestivamente documentato anche un impedimento del difensore del (OMISSIS), impegnato presso altra sede giudiziaria: malgrado fosse stata rappresentata l’impossibilità di nominare sostituti processuali, l’impedimento era stato erroneamente disconosciuto dal giudicante.

La difesa lamenta altresì la violazione dell’art. 131-bis cod. pen., nonché correlati vizi della motivazione della sentenza impugnata: nella fattispecie, sarebbe stato doveroso riconoscere in favore del (OMISSIS) la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, essendo egli – esercente la professione di medico – del tutto incensurato, oltre ad avere rivolto alla controparte le presunte frasi offensive solo reagendo ad una chiara provocazione.

La Corte di merito non ha invece ritenuto di applicare al caso in esame l’istituto de quo, a dispetto della rituale istanza difensiva in sede di discussione nel giudizio di secondo grado; né ha ravvisato l’esimente di cui all’art. 599, comma 2, cod. pen.

Viene infine dedotta l’eccessività del trattamento sanzionatorio.

2. Le parti, in vista dell’odierna udienza, sono state ritualmente invitate a formulare le proprie conclusioni per atto scritto, in ragione delle speciali disposizioni normative correlate alla pandemia da Covid-19.

Il Procuratore generale in sede ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, rilevando fra l’altro che all’imputato legittimamente impedito non sarebbe comunque spettato l’avviso della nuova udienza, come da plurimi riferimenti giurisprudenziali.

Il difensore della parte civile, che ha instato anche per la condanna del (OMISSIS) alla rifusione delle spese di costituzione dinanzi a questa Corte, deduce:

– l’inammissibilità della censura inerente l’omessa comunicazione del rinvio dell’udienza all’imputato impedito, mai eccepita in precedenza;

– la manifesta infondatezza del motivo correlato al presunto, legittimo impedimento del difensore all’udienza del 09/03/2017, non risultando adeguatamente illustrate le ragioni della segnalata impossibilità di nominare sostituti (nel processo indicato quale ragione del contestuale impegno, peraltro, il difensore del Giannotta assisteva le parti civili);

– l’ineccepibilità della determinazione dei giudici di merito circa la non configurabilità di una ipotesi di particolare tenuità del fatto, visto che il post diffamatorio era rimasto visibile a lungo e conteneva gravi offese all’indirizzo di un soggetto avente una immagine pubblica (il (OMISSIS) esercitava la professione di avvocato);

– che il primo ad avere assunto una condotta provocatoria era stato proprio il (OMISSIS), con un post precedente offensivo per la generalità dei soggetti che avevano mostrato di non condividere il suo pensiero (da cui erano derivati commenti puramente sarcastici e correttamente ritenuti non tali da giustificare il ricorso dell’imputato alle pesanti espressioni indicate in rubrica);

– l’inammissibilità di una doglianza rivolta al giudice di legittimità in punto di dosimetria della pena.

Il difensore del (OMISSIS) ha fatto pervenire una memoria con la quale insiste nelle censure già spiegate, facendo rilevare:

– che la mancata notifica all’imputato della data di rinvio dell’udienza costituisce causa di nullità assoluta e insanabile;

– l’erroneità della decisione del Tribunale di disattendere la richiesta di differimento dell’udienza del 09/03/2017 dovuta all’impedimento del difensore (cui, in quella sede, fu in concreto preclusa anche la possibilità di far presente l’omessa notifica al suo assistito del verbale dell’udienza precedente), giacché non sarebbe stato possibile instare per il rinvio del separato giudizio ove il legale del (OMISSIS) assisteva le parti civili;

– che la particolare tenuità del fatto appariva evidente, anche perché nessuno chiese la rimozione del presunto post diffamatorio e non emergeva da alcuna acquisizione istruttoria la qualità di avvocato della persona offesa;

– la pacifica provocazione posta in essere dal (OMISSIS), che ad un primo intervento su Facebook del (OMISSIS) aveva replicato in termini offensivi, giungendo financo a sostenere ingiustamente che l’autore di quel post facesse “gli interessi di qualcuno”;

– che il corretto inquadramento della fattispecie avrebbe dovuto imporre, quanto meno in ragione di quanto accaduto prima della presunta condotta diffamatoria del (OMISSIS), un trattamento sanzionatorio più mite;

– la non condivisibilità dei rilievi esposti dal Procuratore generale nella propria requisitoria, contenente richiami giurisprudenziali non pertinenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza delle doglianze.

1.1 In ordine alla mancata notifica al (OMISSIS) del verbale dell’udienza contenente l’indicazione della data a cui la trattazione del processo sia stata differita, deve rilevarsi che – nei casi di rinvio dovuto a legittimo impedimento – non è di norma dovuto alcun avviso, in quanto sia il legale che l’imputato eventualmente impediti debbono intendersi rappresentati dal sostituto del difensore, vuoi se designato dall’interessato vuoi se nominato ex art. 97, comma 4, cod. proc. pen.; si è infatti più volte affermato che «il difensore che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo impedimento a comparire ha diritto all’avviso della nuova udienza solo nel caso di rinvio “a nuovo ruolo”, poiché, nel diverso caso di rinvio ad udienza fissa, la lettura dell’ordinanza sostituisce la citazione e gli avvisi sia per l’imputato contumace, che è rappresentato dal sostituto del difensore designato in udienza, sia per il difensore impedito, atteso che il sostituto assume per conto del sostituito i doveri derivanti dalla partecipazione all’udienza» (Cass., Sez. III, n. 30466 del 13/05/2015, Calvaruso, Rv 264159; v. anche, per la prima affermazione dei principi ora richiamati, Cass., Sez. U, n. 8285 del 28/02/2006, Grassia).

Quanto, più in particolare, all’impedimento dell’imputato, un diverso indirizzo interpretativo di maggior rigore si è espresso nel senso che «in caso di rinvio del dibattimento per legittimo impedimento dell’imputato, l’omessa notifica a quest’ultimo dell’avviso di fissazione della nuova udienza determina una nullità di ordine generale a regime intermedio, come tale sanabile se non dedotta nei termini di cui agli artt. 180 e 182, comma secondo, cod. proc. pen., a condizione che all’imputato medesimo sia stata ritualmente notificata la citazione in giudizio» (Cass., Sez. VI, n. 25500 del 28/04/2017, B., Rv 270032).

A tutto voler concedere, pertanto, nel caso oggi in esame l’eventuale nullità dovrebbe intendersi comunque sanata, visto che il vizio lamentato è stato dedotto per la prima volta all’atto del ricorso per cassazione: né è revocabile in dubbio la circostanza che il (OMISSIS), per la prima udienza dinanzi al Tribunale, fosse stato regolarmente citato, atteso che il rinvio de quo fu disposto appunto per un suo impedimento (non già per non essere andata a buon fine la sua citazione a giudizio).

Va anche segnalata, ad abundantiam, la palese strumentalità della prospettazione difensiva: la notifica all’imputato del verbale dell’udienza del 16/01/2017 non fu possibile per un errore nell’indicazione del suo nominativo, che tuttavia appare a dir poco grossolano e tutt’altro che fuorviante (il nome di battesimo dell’odierno ricorrente, (OMISSIS), era stato sbagliato risultandovi “(OMISSIS)”).

Ergo, non vi fu di certo un’impossibilità oggettiva di recapitare l’atto alla persona cui era destinato.

1.2 L’impedimento del difensore dell’imputato, all’udienza del 09/03/2017, fu del tutto ragionevolmente escluso, atteso che era stata invocata la necessità del legale di presenziare a un processo dove era impegnato nel patrocinio di parti non necessarie;

– è assolutamente consolidato, infatti, l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «in tema di legittimo impedimento a comparire, il concomitante impegno del difensore dell’imputato per l’esercizio del patrocinio in un processo civile o per la rappresentanza e l’assistenza di una parte civile non costituisce situazione idonea a determinare l’obbligo per il giudice di differire la trattazione dell’udienza» (Cass., Sez. II, n. 36097 del 14/05/2014, Diodato, Rv 260353).

Nel ricorso, peraltro, non si evidenzia alcunché al fine di illustrare le effettive ragioni che avrebbero reso a suo tempo impossibile designare sostituti, sia nel presente processo che in quello di cui era prevista la contemporanea trattazione.

1.3 Nell’atto di impugnazione si sottolinea che l’istanza di applicazione dell’art. 131-bis cod. pen. venne formalizzata all’atto della discussione nel giudizio di secondo grado, in quanto ciò non sarebbe stato possibile nel momento della proposizione dell’appello.

Al contrario, la sentenza di primo grado intervenne ben due anni dopo l’entrata in vigore della norma. In ogni caso, la motivazione licenziata dalla Corte territoriale appare immune da vizi di sorta, essendo stata sottolineata la gravità e diffusività del mezzo utilizzato dal (OMISSIS) per ledere la reputazione del (OMISSIS).

1.4 Altrettanto ineccepibili risultano le argomentazioni dei giudici di merito in punto di esclusione dell’esimente della provocazione, ove solo si consideri – lo stesso ricorrente non ne fa mistero, nell’ultima memoria difensiva – che il primo intervento su Facebook fu proprio del (OMISSIS), con tanto di specificazione che trattavasi di un avviso a “poveri ebeti”; parimenti, sempre lui era stato ad accusare i destinatari dei suoi rilievi di essere “al soldo delle multinazionali”.

1.5 Infine, va qui ribadito che la graduazione della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità del trattamento sanzionatorio (v. Cass., Sez. III, n. 1182/2008 del 17/10/2007, Cilia, nonché Cass., Sez. V, n. 5582/2014 del 30/09/2013, Ferrario).

Nella fattispecie concreta, peraltro, la doglianza formulata nel ricorso («la pena applicata appare eccessiva e dunque palese è la violazione di legge in tema di applicazione dell’art. 133 cod. pen.») risulta ictu oculi generica; lo stesso è a dirsi dell’apodittica indicazione del (OMISSIS) quale soggetto meritevole delle circostanze attenuanti generiche in ragione del suo stato di incensuratezza (elemento che lo stesso dettato normativo considera invece irrilevante).

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dell’imputato al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – a versare in favore della Cassa delle Ammende la somma di € 3.000,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti e del quadro di riferimento normativo conseguente all’entrata in vigore della legge n. 103/2017.

3. Il ricorrente deve essere altresì condannato a rifondere alla parte civile le spese sostenute nel presente giudizio di legittimità, che il Collegio reputa equo liquidare – atteso l’impegno defensionale richiesto al difensore del (OMISSIS) – nella misura di cui al dispositivo.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel presente giudizio, che liquida in complessivi euro 1.500,00 oltre accessori di legge.

Così deciso il 03/12/2020.

Depositata in Cancelleria l’11 marzo 2021.

SENTENZA – copia ufficiale -.