Fornitura di mobili pagata con l’assegno inutilizzabile del fratello: condannato per truffa (Corte di Cassazione, Sezione II Penale, Sentenza 25 gennaio 2022, n. 2846).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGO Geppino – Presidente –

Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –

Dott. PERROTTI Massimo – Consigliere –

Dott. BELTRANI Sergio – Consigliere –

Dott. DI PISA Fabio – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CAMPIONE GIOVANNI nato a ENNA il 22/05/19xx;

avverso la sentenza del 15/10/2019 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. FABIO DI PISA;

lette le conclusioni scritte ai sensi dell’art. 23 co.8 D.L. n. 137/2020 formulate dal Sostituto Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione, nella persona della Dott.ssa ASSUNTA COCOMELLO, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso;

letta la memoria ai sensi della citata norma del legale del Campione il quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 15/10/2019 la Corte di Appello di Caltanissetta confermava la sentenza del Tribunale di Enna in data 26/02/2018 in forza della quale Campione Giovanni era stato condannato alla pena di anni uno e mesi tre di reclusione ed euro 200,00 di multa per il reato di truffa in danno (OMISSIS) Maria titolare della ditta “(OMISSIS) Mobili” oltre al risarcimento del danno ed al pagamento delle spese processuali in favore della parte civile.

2. Contro la suddetta sentenza Campione Giovanni, a mezzo del proprio difensore di fiducia, propone ricorso per cassazione deducendo due motivi.

2.1. Con il primo motivo lamenta, ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p., violazione di legge e difetto di motivazione in ordine all’ affermazione della penale responsabilità dell’imputato.

Assume che mancavano gli elementi costituitivi del reato di truffa, specie sotto il profilo psicologico, potendosi, al più, parlare di un mero inadempimento contrattuale.

2.2. Con il secondo motivo lamenta, ex art. 606 comma 1 lett. c) c.p.p., violazione dell’ art. 99 c.p.

Osserva che la corte di appello aveva ritenuto corretto l’aumento della pena dei 2/3 non considerando che, come era dato desumere dalla stessa motivazione, non risultavano i presupposti per l’applicazione della recidiva reiterata ed aggravata e che la corte di appello ben avrebbe potuto riconoscere le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto alla recidiva.

Deduce che la corte di appello non aveva tenuto conto della circostanza che l’imputato aveva tentato di risarcire il danno mediante pagamenti dilazionati interrotti per le proprie precarie condizioni di salute e che, in generale, la pena appariva eccessiva anche in considerazione del carattere facoltativo dell’aumento per la recidiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni appresso chiarite.

2. Il primo motivo è manifestamente infondato.

Occorre osservare che il sindacato di legittimità non ha per oggetto la revisione del giudizio di merito, bensì la verifica della struttura logica del provvedimento e non può quindi estendersi all’esame ed alla valutazione degli elementi di fatto acquisiti al processo, riservati alla competenza del giudice di merito, rispetto alla quale la Suprema Corte non ha alcun potere di sostituzione al fine della ricerca di una diversa ricostruzione dei fatti in vista di una decisione alternativa.

Orbene la corte di merito ha dato conto, con motivazione logica ed adeguata, non censurabile in questa sede, delle ragioni in base alle quali ha affermato la responsabilità dell’imputato ritenendo che lo stesso era stato individuato quale autore della condotta truffaldina contestata in danno di (OMISSIS) Maria, titolare della ditta “(OMISSIS) Mobili”, sulla scorta delle complessive emergenze processuali, escludendo l’ ipotesi di un mero inadempimento civilistico e ritenendo ravvisabili, gli estremi oggetti e soggettivi del reato di truffa contestato.

I giudici di merito hanno correttamente evidenziato i profili integranti una condotta decettiva dell’ imputato il quale, dopo avere garantito di onorare gli impegni di tipo economico assunti, aveva consegnato un titolo emesso dal fratello – il quale aveva subito il blocco CAI a causa di un protesto – senza nulla chiarire inizialmente in ordine alla circostanza che l’assegno non sarebbe stato emesso da lui personalmente, simulando una urgenza nella consegna dei mobili non fondata su ragioni concrete e chiedendo agli operai della ditta fornitrice di lasciare i beni acquistati sotto l’ abitazione (e, poi, in parte trafugati), elementi tutti ritenuti sintomatici dei raggiri posti in essere al fine di celare l’ intento dell’ imputato di non adempiere.

Fermo restando che il semplice pagamento di merci effettuato mediante assegni di conto corrente privi di copertura non è sufficiente a costituire, di regola, raggiro idoneo a trarre in inganno il soggetto passivo e a indurre alla conclusione del contratto, ma concorre a realizzare la materialità del delitto di truffa quando sia accompagnato da un “quid pluris“, da un malizioso comportamento dell’agente, da fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull’apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni. (Sez. 2, Sentenza n. 46890 del 06/12/2011 Ud. (dep. 20/12/2011) Rv. 251452 – 01), va osservato che la corte territoriale ha correttamente valutato la maliziosità della condotta posta in essere dal ricorrente al momento della esecuzione del contratto, allorché ha offerto in pagamento assegni non propri e privi di copertura, sollecitando la necessità di una tempestiva consegna della merce, in realtà, ingiustificata, secondo quanto riscontrato in fatto dai giudici di merito.

Le circostanze valorizzate dalla corte territoriale integrano, invero, la natura artificiosa della condotta idonea ad indurre in errore il contraente, casualmente efficiente nella formazione della volontà.

La persona offesa ha, infatti, accettato in pagamento gli assegni bancari nel convincimento che essi sarebbero emessi da un soggetto della cui solvibilità non aveva motivo di dubitare; l’avere il soggetto agente maliziosamente taciuto la rilevante circostanza che gli assegni erano emessi dal fratello – il quale aveva subito il blocco CAI a causa di un protesto – costituisce condotta idonea ad incidere sul processo volitivo del contraente e rivela la natura ingannatoria della messa in scena posta in essere dal decipiens il quale ha palesato il suo intento decettivo sollecitando la urgente consegna dei beni, in parte, con abile manovra, trafugati.

La corte di appello ha, infatti, evidenziato che i mobili era stati fatti scaricare davanti all’ abitazione al fine di poterli destinare altrove, tant’è che la cucina consegnata non è stata più rinvenuta, dato questo ritenuto correttamente fortemente sintomatico di intenti truffaldini.

Ben può dunque ritenersi, come rilavato dal P.G., che gli elementi valorizzati dai giudici comprovano univocamente la strumentalità del comportamento dell’imputato e la sua intenzione di non adempiere, integrando il quid pluris di fatti e circostanze idonei a determinare nella vittima un ragionevole affidamento sull’apparente onestà delle intenzioni del soggetto attivo e sul pagamento degli assegni, come richiesto dalla fattispecie incriminatrice, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo del reato.

A fronte di detta ricostruzione la tesi difensiva non è diretta a contestare la logicità dell’impianto argomentativo delineato nella motivazione della decisione impugnata, ma si risolve nella contrapposizione, a fronte del giudizio espresso dai giudici di merito, di una alternativa ricostruzione dei fatti, evidentemente sottratta alla delibazione di questa Suprema Corte in ragione dei limiti posti alla cognizione di legittimità dall’art. 606 cod. proc. pen. e sopra richiamati.

Pertanto non essendo evidenziabile alcuno dei vizi motivazionali deducibili in questa sede quanto alla affermazione della penale responsabilità dell’ imputato in ordine al reato di cui sopra e non essendo configurabile, quindi, la dedotta contraddittorietà della motivazione anche tenuto conto dei poteri del giudice di merito in ordine alla valutazione della prova, tutte le censure in questione, essendo sostanzialmente tutte incentrate su una nuova rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, appaiono del tutto infondate.

3. Anche le censure di cui al secondo motivo sono prive di ogni fondamento.

3.1. Occorre rilevare che si appalesa inammissibile la censura relativa alla recidiva, reiterata specifica ed infraquinquennale, riconosciuta in primo grado e non oggetto di specifico motivo di impugnazione in appello, con la conseguenza che la questione non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità.

3.2. Con riguardo alle invocate circostanze attenuanti di cui all’art. 62-bis cod. pen. la Corte di appello ha congruamente motivato circa le ragioni del diniego del riconoscimento facendo, pure, riferimento ai precedenti penali dell’ imputato.

Va, peraltro, ribadito che la Suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento (si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/1072004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).

3.3. Anche l’ ulteriore motivo riguardante la pena è manifestamente infondato in quanto la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ipotesi che – nel caso di specie – non ricorre.

4. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

5. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in euro tremila.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2021.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2022.

SENTENZA – copia non ufficiale -.