Il ‘conto gioco’ online mette a rischio il reddito di cittadinanza. Confermato il sequestro di una somma di danaro (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 29 luglio 2021, n. 29706).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARINI Luigi – Presidente – 

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere –

Dott. GALTERIO Donatella – Rel. Consigliere –

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere –

Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) ROBERTO, nato a (OMISSIS) il 16.5.19xx;

avverso la ordinanza in data 26.2.2021 del Tribunale di Bolzano;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Donatella Galterio;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.ssa Paola Mastroberardino, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore, avv. Stefano (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 26.2.2021 il Tribunale di Bolzano, adito in sede di riesame, ha confermato il sequestro preventivo della somma di €. 10.345,50 disposto nei confronti di Roberto (OMISSIS), indagato per il reato di cui all’art. 7, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, per false indicazioni od omissioni di informazioni dovute nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del “reddito di cittadinanza”, ritenendo che la titolarità in capo a costui di un conto gioco, necessariamente collegato ad una carta di credito, acceso presso una società di gioco online evidenziante movimentazioni per gli anni 2017 e 2018 sia per le ricariche, destinate cioè alle singole poste di gioco, che per i prelievi di gran lunga superiori al reddito mobiliare di €. 6.000 annui dichiarato con riferimento all’annualità 2017 e di €. 11.000 riferimento all’annualità 2018 costituisse omissione rilevante ai fini della configurabilità del reato provvisoriamente contestato.

2. Avverso il suddetto provvedimento l’indagato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando tre motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp.att. cod.proc.pen.

2.1. Con il primo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 7 primo comma d.l. 4/2019, che l’indicazione del conto gioco nella dichiarazione sostitutiva unica prevista per l’accesso al sussidio non costituisca informazione dovuta trattandosi di voce non prevista nella modulistica prestampata che il richiedente è tenuto a compilare e che in ogni caso quand’anche si volesse far rientrare la suddetta informazione nella voce “conto corrente” non sarebbe stato possibile l’informazione richiesta, ovverosia la giacenza media annua, che nessuna società di scommesse sarebbe stata in grado di indicare.

Lamenta, inoltre, che nessuna adeguata risposta fosse stata fornita dal Tribunale del Riesame in ordine alla specifica contestazione difensiva sulla provenienza delle somme sul conto da vincite al gioco realizzate dall’indagato.

2.2. Con il secondo motivo lamenta la mancanza di motivazione circa la sussistenza di un pericolo di aggravamento del reato o protrazione delle sue conseguenze.

2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all’art. 47, terzo comma, l’esistenza di un errore scusabile sulla legge extrapenale, errore su cui non era spesa alcuna motivazione.

Con successiva memoria redatta in data 1.6.2021 la difesa ha ulteriormente illustrato il ricorso sostenendo, quanto al primo motivo, che le informazioni dovute per l’accesso al sussidio sono quelle indicate dall’art. 2 d.l. 4/2019 corrispondenti agli indicatori della dichiarazione ISEE, ovverosia il reddito, il patrimonio immobiliare ed il patrimonio mobiliare, in nessuna delle quali è ricompreso il cd. conto-gioco e che, disattendendo tale norma, si incorrerebbe necessariamente nella violazione del principio di tassatività dei comportamenti penalmente rilevanti sancito dall’art. 25 Cost., che impone al giudice di non applicare la norma al di fuori dei casi dalla stessa previsti; quanto al terzo motivo evidenzia che l’errore sulla norma extrapenale è dato dal fatto che l’indagato non poteva sapere cosa dovesse essere dichiarato ai fini del calcolo ISEE, essendosi basato sui quesiti contenuti nel modulo per l’autocertificazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è inammissibile, compendiandosi in censure di mero stampo motivazionale precluse dal divieto sancito dall’art. 325 cod. proc. pen. per la ricorribilità innanzi a questa Corte avverso i provvedimenti di sequestro e che comunque non si confrontano con i rilievi svolti dall’ordinanza impugnata.

Il Tribunale del riesame ravvisa il fumus del reato provvisoriamente contestato, al di là dell’obbligo di dichiarare nell’autocertificazione il conto gioco, sull’esistenza di una liquidità in capo all’istante di gran lunga maggiore del reddito da costui dichiarato per accedere al sussidio statale stante la riconducibilità a costui del conto acceso presso la società BML Group Limited on line dedicato al gioco sul quale risultano confluite ingenti somme di danaro che, lungi dall’essere virtuali, sono, secondo i giudici della cautela, collegate, invece, a pagamenti effettivi con modalità predefinite, quali carta di credito o prepagata o mezzi ad esse equipollenti e che dunque presuppongono la corrispondente provvista derivante da un conto corrente nella titolarità in capo all’indagato, direttamente o indirettamente collegato allo stesso conto gioco.

Quello che lamenta il ricorrente, che non contesta né la titolarità del conto, né le movimentazioni di somme sia in entrata che in uscita negli anni 2017 e 2018, bensì la riconducibilità delle somme ivi transitate al suo patrimonio, non facenti parte a suo avviso di quanto costituiva oggetto di autodichiarazione al fine di fruire del sussidio statale, non costituisce pertanto un vizio di violazione di legge, ma configura, a dispetto del nomen juris della rubrica, una contestazione della ricostruzione in fatto e, dunque, di natura squisitamente motivazionale sulle caratteristiche del conto gioco acceso presso una società on line, e sui collegamenti che lo stesso presenta con il proprio patrimonio mobiliare.

Non soltanto trattasi all’evidenza di una sollecitazione ad un esame del merito della questione, inequivocabilmente precluso a questa Corte di legittimità che non può verificare né la natura del conto, nè le sue fonti di alimentazione, né le sue caratteristiche, né a fortiori le modalità di compilazione della modulistica che va presentata per il conseguimento del reddito di cittadinanza, ma in ogni caso la censura svolta non evidenzia vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.

Attraverso le dispiegate doglianze si viene, invece, a censurare, né più né meno, la logicità e completezza di un percorso motivazionale al contrario contraddistinto da coerenza ed esaustività, di talché non potrebbe in nessun caso versarsi in ipotesi di motivazione apparente, che è la stessa dettagliata confutazione articolata dalla difesa ad escludere.

2. Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per il terzo motivo che attenendo alla configurabilità dell’elemento soggettivo, introduce una doglianza, logicamente preliminare al terzo motivo, che postula una valutazione in fatto afferente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, indagine questa preclusa al giudice della cautela al quale è demandata una valutazione sommaria circoscritta alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, senza doversi estendere alla più pregnante verifica dei gravi indizi di colpevolezza richiesta ai fini dell’emissione delle misure cautelari personali (ex multis Sez. 1, n. 18491 del 30/01/2018 – dep. 27/04/2018, Armeli, Rv. 273069).

3. Il secondo motivo deve essere anch’esso dichiarato inammissibile, non avendo l’elemento del periculum mai costituito oggetto delle censure articolate con l’atto di riesame.

Va infatti rilevato che nel giudizio di riesame, pur informato al principio decisorio, il quale si sostanzia nel potere per il Tribunale di annullare o riformare in senso favorevole all’imputato il provvedimento impugnato anche per motivi diversi da quelli enunciati nell’atto di impugnazione, così come di confermarlo per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dell’ordinanza cautelare (Sez. 1, n. 3769 del 21/10/2015 – dep. 28/01/2016, Lomonaco, Rv. 266003), resta ferma la regola secondo la quale la parte impugnante ha l’onere di specificare le proprie doglianze, che non necessariamente devono essere svolte contestualmente alla presentazione del gravame stante la facoltatività, prevista dal sesto comma dell’art. 309 cod. proc. pen., della indicazione dei motivi a sostegno dello stesso, ben potendo riempirsi di contenuto anche oralmente innanzi al giudice adito.

Essendo tale onere diretto a sollecitare il giudice del riesame a rendere risposte adeguate e complete, potendo altrimenti quest’ultimo fermarsi, in presenza di un decreto motivato, alla verifica dei presupposti legittimanti l’adozione della misura a condizione che dimostri di averli valutati, ne consegue che, in mancanza di tale devoluzione, incorrano nella censura di inammissibilità le contestazioni svolte innanzi alla Corte di legittimità su punti che non possono trovare risposte per mancanza di cognizione addebitabile alla mancata osservanza del predetto onere da parte di chi ha sollecitato il riesame (Sez. 6, n. 16395 del 10/01/2018 – dep. 12/04/2018, Contardo, Rv. 272982).

4. All’esito del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata come in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso l’8/06/2021.

Depositato in Cancelleria il 29 luglio 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.