REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Maria Stefania – Presidente –
Dott. CENTONZE Alessandro – Consigliere –
Dott. CAIRO Antonio – Rel. Consigliere –
Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –
Dott. TALERICO Palma – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) Salvatore nato a Napoli il xx/xx/19xx;
avverso l’ordinanza del 26/03/2019 del GIUDICE SORVEGLIANZA di TORINO;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio CAIRO;
lette/sentite le conclusioni del PG;
letta la requisitoria della Dott.ssa Felicetta Marinelli, sostituto procuratore generale della Repubblica presso questa Corte con cui ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Magistrato di sorveglianza di Novara con decreto, emesso ex art. 666 comma 2 cod. proc. pen., dichiarava inammissibile il reclamo avverso il provvedimento dell’Amministrazione penitenziaria con cui era stata respinta la richiesta di (OMISSIS) Salvatore di acquistare un ciondolo e un profumo da regalare alla moglie, in occasione del suo compleanno.
Avverso quel provvedimento il Tribunale di sorveglianza, investito del ricorso dell’interessato, dichiarava l’insussistenza di materia per procedere a nuovo esame di merito e trasmetteva gli atti alla Corte di cassazione, osservando che unico rimedio fosse, appunto, il ricorso alla Corte anzidetta.
1.1. Riteneva il Magistrato di sorveglianza che non si versasse in materia di diritti soggettivi e che con il reclamo si richiedeva di assumere la posizione dell’Amministrazione sostituendosi ad essa, con la decisione invocata.
2. Il ricorso di (OMISSIS) Salvatore, con il ministero del difensore di fiducia, sviluppa unico motivo di ricorso lamentando, in sostanza la violazione di legge.
Il provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza non aveva richiamato alcun profilo di tutela dell’ordine e della sicurezza interna del carcere, né di pubblica tutela.
Esso si era limitato a riconoscere all’Amministrazione una discrezionalità in ambito penitenziario sull’organizzazione interna che, in definitiva, diventava insindacabile.
Era singolare che l’autorità giudiziaria si sottraesse al compito di controllo sulle azioni dell’amministrazione e sulle decisioni assunte.
OSSERVA IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per quanto si passa ad esporre.
1.1. E’ opportuno premettere che l’ordinamento costituzionale si basa sul primato della persona umana e dei suoi diritti, valori non comprimibili neppure quando vi sia restrizione e sottoposizione alla discrezionalità dell’autorità penitenziaria, essendo il detenuto destinatario dell’esecuzione della pena (Corte cost. n. 114/1979).
Ciò perché occorre contemperare la condizione detentiva e la piena ed effettiva tutela dei diritti.
Soprattutto, si deve escludere che situazioni di diritto soggettivo restino prive di una “giurisdizione” (Corte cost. nr. 97/2012).
Non basterebbe all’uopo un sistema che prevede la facoltà di proporre istanze o sollecitazioni (anche all’Autorità giudiziaria).
A un primo livello di tutela (cd. reclamo generico) deve affiancarsi un modello assistito da garanzie procedimentali, che vanno dall’osservanza del contraddittorio, alla possibilità di impugnare i provvedimenti e di attuare coattivamente quelli emessi. Diversamente i diritti diventerebbero ineffettivi (già Corte cost. nr. 204/1974).
1.2. La disciplina del procedimento di sorveglianza corrisponde a quella dettata per il procedimento di esecuzione delineato dall’art. 666 cod. proc. pen. e il modello procedimentale è costituito dalle forme dell’udienza in camera di consiglio con la partecipazione delle parti per dar modo alle stesse di interloquire innanzi al giudice; tuttavia, in forza del combinato disposto degli artt. 678, comma 1, e 666, comma 2, cod. proc. pen., è contemplata, altresì, in deroga alla regola generale, la possibilità di un epilogo decisorio anticipato della richiesta, in termini d’inammissibilità, ai sensi dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., mediante pronuncia di decreto reso con procedura de plano ed in assenza di contraddittorio, quando l’istanza sia stata già rigettata perché basata sui medesimi elementi, ovvero sia “manifestamente infondata per difetto delle condizioni di legge”.
La categoria della “manifesta inammissibilità” va esclusa in tutti i casi in cui occorre compiere una valutazione di merito.
Essa, piuttosto, ricorre in ipotesi di difetto delle condizioni normative, difetto che si apprezza ictu oculi, senza dover svolgere un sindacato di cognizione.
Si tratta della mancanza dei requisiti posti direttamente dalla legge e la presa d’atto di tale mancanza non richieda accertamenti di tipo cognitivo, né valutazioni discrezionali (Sez. 1, n. 32279 del 29/03/2018, Focoso, Rv. 273714).
La “presa d’atto” dell’assenza delle – condizioni di legge non deve, altresì, richiedere apprezzamenti discrezionali (Sez. 1, n. 876 del 16/7/2015, dep. 12/1/2016, Ruffolo, Rv. 265857; Sez. 1, n. 40974 del 14/10/2011, Cecere, Rv. 251490; Sez. 1, n. 23101 del 19/5/2005, Savarino, Rv. 232087; Sez. 1, n. 277 del 13/1/2000, Angemi, Rv. 215368).
Ciò per escludere che attraverso il richiamo ai presupposti di ammissibilità della domanda si compia un’implicita valutazione del merito, addivenendo a un rigetto in difetto della regolare instaurazione del contraddittorio.
Nella specie, la decisione del Magistrato di sorveglianza è avvenuta senza fissare l’udienza camerale e, quindi, eludendo il procedimento in contraddittorio, previsto dall’art. 666 commi 3 e 4 cod. proc. pen., interamente richiamato dall’art. 35 bis L. 26 luglio 1975, n. 354.
Ciò determina la nullità del provvedimento emesso fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge.
Si tratta di una nullità di ordine generale e assoluto, rilevabile di ufficio in ogni stato e grado del procedimento, (Sez. 1, n. 41754 del 16/09/2014, Cherni, Rv. 260524; Sez. 3, n. 11421 del 29/01/2013, Prediletto, Rv. 254939; Sez. 1, n. 37527 del 07/10/2010, Casile, Rv. 248694).
2. La decisione adottata dal Magistrato di Sorveglianza in adesione alla linea interpretativa enunciata e dal Tribunale di sorveglianza che ha dichiarato la sua incompetenza funzionale soffre vistosamente degli effetti della mancanza di contraddittorio sull’oggetto della cognizione.
Il Magistrato di sorveglianza non si è confrontato con queste premesse ed è giunto, attraverso la declaratoria d’inammissibilità, a una conclusione di merito, sull’assenza di una situazione di diritto soggettivo, che avrebbe potuto assumere solo a contraddittorio instaurato (artt. 666, comma 3 e 4, cod. proc. pen. cui rinvia l’art 35-bis L. 26 luglio 1975, n. 354).
Il provvedimento, assunto, del resto, non considera l’art. 26 della L. 26 luglio 1975, n. 354, norma che prevede che sia riservata particolare cura a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie.
La disposizione è finalizzata, invero, a evitare che l’esperienza carceraria incida anche sulle relazioni familiari.
La famiglia costituisce un valore affettivo di importanza primaria da tutelare nel contesto penitenziario.
Diversamente, il detenuto subirebbe un’emarginazione non giustificabile e un’afflizione aggiuntiva non connaturata allo scopo della pena. In questa prospettiva rileva anche l’art. 45 L. 26 luglio 1975, n. 354.
L’assistenza delle famiglie è in realtà un aspetto indefettibile del trattamento penitenziario ed è funzionale al riadattamento sociale e alla rieducazione, proprio perché permette che il soggetto in vinculis non interrompa il rapporto con una formazione sociale di base che gli assicura un supporto materiale e psicologico.
La restrizione, infatti, rischia di mettere in crisi il rapporto familiare, senza comprometterne l’unità.
Né si tiene presente il disposto dell’art. 94 reg. es. secondo cui la stessa amministrazione penitenziaria deve dedicare particolare cura ai rapporti familiari, favorendone il dispiegarsi.
Non può esservi dubbio che, in astratto, le previsioni anzidette realizzano obblighi in capo all’Amministrazione penitenziaria e una posizione di diritto soggettivo in capo al detenuto.
Ragionando diversamente il relativo dovere di assistenza risulterebbe una posizione giuridica strutturalmente fievole.
Il sistema, al contrario, è ispirato a un criterio di favor verso la famiglia, e tende ad assicurare l’attuazione di strumenti e comportamenti finalizzati al mantenimento del rapporto tra detenuto e nucleo di convivenza.
Anche l’acquisto di oggettistica o altri regali destinati ai componenti la famiglia può, pertanto, costituire oggetto di diritto soggettivo del detenuto. Con l’oggetto di cui fa dono può rivolgere il pensiero ad un membro del nucleo familiare e così attestare il persistere di un sentimento d’affettività anche in regime di restrizione.
2.3. A prescindere dalla fondatezza nel merito della domanda il Magistrato di sorveglianza avrebbe dovuto, trattandosi di giurisdizione sui diritti, verificare la ricorrenza dei presupposti indicati e accertare se il diritto soggettivo, cui si è fatto cenno, potesse trovare attuazione nel caso specifico, in un contesto procedimentale ordinario ovvero se risultassero fattori ostativi o impedienti la sua concretizzazione.
Ciò sarebbe stato possibile solo attraverso la preventiva e corretta instaurazione del contraddittorio camerale.
Non sussisteva, invero, alcuna delle condizioni che avrebbero permesso di assumere una decisione improntata alla regola di “semplificazione procedimentale”, assumendo il provvedimento de plano.
Da tanto discende che il provvedimento assunto dal giudice dell’esecuzione de plano, senza fissazione dell’udienza in camera di consiglio, fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, ricorribile per cassazione ai sensi dell’ultimo inciso dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen., è affetto da nullità di ordine generale e a carattere assoluto, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ai sensi degli artt. 178 e 179 cod. proc. pen., per effetto della estensiva applicazione delle previsioni della «omessa citazione dell’imputato e dell’assenza del suo difensore nei casi in cui ne è obbligatoria la presenza» (Sez. 3, n. 1730 del 29/5/1998, Viscione, Rv. n. 211550).
Il provvedimento impugnato va, pertanto, annullato con rinvio per nuovo giudizio al Magistrato di Sorveglianza di Novara per l’ulteriore corso (celebrazione dell’udienza nel contraddittorio delle parti).
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Magistrato di Sorveglianza di Novara.
Così deciso il 30 settembre 2020.
Depositato in Cancelleria il 14 gennaio 2021.