Il Medico che maltratta il paziente è licenziabile (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 17 settembre 2020, n. 19408).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24560-2018 proposto da:

TAGLIALATELA ELIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IN ARCIONE, 98, presso lo studio dell’avvocato MARCO COCILOVO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MAURO DI MONACO;

– ricorrente –

contro

VILLA CHIARUGI S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI SALLUSTRI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 288/2018 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 19/06/2018 R.G.N. 87/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/02/2020 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARMELO CELENTANO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato TERMINE LUIGI per delega verbale Avvocato COCILOVO MARCO.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 19 giugno 2018, la Corte d’Appello di Salerno confermava la decisione resa dal Tribunale di Nocera Inferiore e rigettava la domanda proposta da Elio Taglialatela nei confronti della Casa dii cura “Villa Chiarugi” S.r.l. presso la quale operava quale medico con qualifica di aiuto, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimatogli per maltrattamenti nei confronti di una paziente.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto rispettato il termine di 30 giorni decorrenti dalla contestazione degli addebiti previsto dall’art. 11 del CCNL per l’intimazione del licenziamento dovendosi qualificare come lettera di comunicazione della sospensione cautelare l’atto che il Taglialatela sosteneva essere la lettera di contestazione, non ravvisabile una lesione del diritto di difesa in relazione alla mancata messa a disposizione del Taglialatela del verbale recante le dichiarazioni rese dalle dipendenti ascoltate quali testimoni oculari, sufficientemente completa l’indagine aziendale provato il fatto contestato e solo genericamente contestata la proporzionalità della sanzione.

Per la cassazione di tale decisione ricorre il Taglialatela, affidando l’impugnazione a sei motivi, cui resiste, con controricorso, la Casa di cura.

Il ricorrente ha poi presentato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e ss. I. n. 300/1970 e 11 CCNL per le Case di cura private, lamenta a carico della Corte territoriale l’erroneità del maturato convincimento circa la non sovrapponibilità tra comunicazione della sospensione cautelare e la lettera di contestazione con conseguente anticipazione della data della contestazione e violazione del termine previsto dal CCNL per l’intimazione del licenziamento.

Con il secondo motivo, posto sotto la medesima rubrica, il ricorrente censura il convincimento della Corte territoriale circa la non ravvisabilità di una lesione del diritto di difesa nella mancata consegna al ricorrente del materiale istruttorio raccolto nel corpo dell’indagine aziendale.

Il medesimo vizio è nel terzo motivo prospettato al fine di censurare il convincimento della Corte territoriale in ordine alla congruità dell’indagine aziendale.

Con il quarto motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 7 e ss. I. n. 300/1970, 11 CCNL per le Case di cura private e 2697 c.c., il ricorrente lamenta a carico della Corte territoriale l’erroneità del convincimento circa il carattere confermativo dell’istruttoria espletata in sede giudiziaria rispetto all’indagine aziendale.

Nel quinto motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 e 2119 c.c. 7 e ss. I. n. 300/1970, 11 CCNL per le Case di cura private e 329 c.c. è prospettata con riferimento alla mancata pronunzia in ordine alla proporzionalità della sanzione che si celerebbe dietro la valutazione operata dalla Corte territoriale del difetto di specifica impugnazione di quanto a riguardo motivato dal giudice di prime cure.

Con il sesto motivo, ancora rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2119 c.c., 7 e ss. I. n. 300/1970, 11 CCNL per le Case di cura private e 2697 c.c., il ricorrente lamenta a carico della corte territoriale l’omessa pronunzia in ordine alla rilevanza ai fini della giustificazione del licenziamento del richiamo operato da un “comportamento recidivante” in realtà insussistente.

A riguardo rilevata

– l’inammissibilità del primo motivo, stante l’inconferenza del vizio denunciato rispetto alla questione oggetto di censura avente natura meramente interpretativa così da involgere semmai la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c.;

– deve ritenersi infondato il secondo motivo non dando conto il ricorrente a fronte della riconosciuta insussistenza dell’obbligo di offrire in consultazione i documenti aziendali, dell’essenzialità nella specie di tale comportamento alla luce del generale dovere di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei contratti;

– inammissibili il terzo e quarto motivo che recano una mera confutazione della valutazione del materiale istruttorio operato dalla Corte territoriale senza addurre specifiche censure alle argomentazioni addotte a sostegno del pronunciamento;

– inammissibili altresì il quinto ed il sesto motivo non ravvisandosi in entrambi i casi alcuna mancata pronunzia e risultando, quindi, le censure inconferenti rispetto ad una valutazione intesa a valorizzare e ritenere sufficiente ai fini dell’impossibilità della prosecuzione del rapporto la gravità della degenerazione che ha segnato il rapporto con la degente.

Il ricorso va, dunque, rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 settembre 2020.

SENTENZA – copia non ufficiale -.