Il profitto derivante dalla vendita di mascherine contraffatte è pari alla differenza tra ricavi e spese per l’acquisto (Corte di Cassazione, Sezione III Penale, Sentenza 3 novembre 2021, n. 39356).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAMACCI Luca – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Rel. Consigliere

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Rel. Consigliere

Dott. REYNAUD Gianni Filippo – Consigliere

Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sui ricorsi proposti da:

SER.COM. S.R.L.

(OMISSIS) MANUEL nato a PIACENZA il 12/08/19xx;

avverso l’ordinanza del 17/12/2020 del TRIB. LIBERTA’ di PIACENZA;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI;

lette le conclusioni del PG PASQUALE FIMIANI: “Rigetto del ricorso”;

lette le conclusioni dell’Avv. Walter (OMISSIS): “Accoglimento del ricorso”.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Piacenza, in sede di riesame, con ordinanza 17 dicembre 2020, ha rigettato l’istanza di riesame proposta da SER.COM s.r.l. e personalmente da (OMISSIS) Manuel avverso il decreto di sequestro preventivo, della somma di € 250.813,70 nei confronti della Sercom s.r.I., del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Piacenza notificato il 1/12/2020, relativamente ai reati in accertamento di cui agli art. 515 e 517 cod. pen. (vendita di mascherine di tipo chirurgico con marchio CE contraffatto, senza la prescritta certificazione di conformità).

2. Ricorrono in cassazione l’indagato Manuel (OMISSIS) e la SER.COM s.r.I., deducendo i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., c.p.p.

2.1. Violazione di legge (art. 125, 318, comma 1, 322, comma 1, 324, commi 5 e 7, cod. proc. pen., 515 cod. pen., 8, 12 e 16 lettera A, cod. proc. pen.), relativamente alla competenza territoriale.

Per il Tribunale del riesame la competenza territoriale doveva essere valutata solo relativamente al provvisorio capo di imputazione e non su tutta la documentazione in atti.

Sulla base degli atti di indagini risultava che la società ricorrente aveva acquistato dalla milanese SIPEC s.p.a. N. 299.600 mascherine.

La SIPEC aveva sdoganato la merce importata dalla Cina presso l’aeroporto di Malpensa e ceduto poi le mascherine anche alla società ricorrente.

Era onere della società importatrice controllare la conformità della merce alla normativa interna (veridicità del marchio CE), non della società SER.Com . s.r.l.

Il luogo del commesso reato deve ritenersi pacificamente Milano, dove sono stati immesse in commercio le merci in oggetto.

A Milano si è conclusa la prima compravendita delle mascherine.

Anche ove fosse ritenuto il concorso tra le varie società nella commissione del reato la competenza territoriale sarebbe sempre del Tribunale di Milano; la commercializzazione delle mascherine è una condotta unitaria, in concorso tra le varie società che hanno poi distribuito le stesse.

Anche per l’art. 12, lettera A, cod. proc. pen. la competenza sarebbe sempre del Tribunale di Milano, in quanto il primo reato sarebbe stato commesso proprio a Milano.

2.2. Violazione di legge (art. 324, comma 7 e 309 commi 5 e 9, 325, comma 1, cod. proc. pen.).

Il fatto non integra il reato contestato; nessuna diversità di oggetto risulta tra quanto pattuito e quanto consegnato agli acquirenti.

La SIPEC s.p.a. quale importatore della merce aveva pubblicizzato le mascherine come dotate di marchio CE e garantiva, alla SER.COM s.r.I., la regolarità della documentazione con il rispetto delle normative italiane e comunitarie.

Il packaging e l’etichettatura delle mascherine sono stati effettuati dalla venditrice SIPEC s.p.a. senza alcuna modifica da parte della società ricorrente.

La SIPEC ha richiesto indietro le mascherine dopo i controlli della Guardia di Finanza, con spese a suo carico.

La buona fede della società ricorrente risulta, quindi, in maniera evidente; responsabile risulta solo l’importatore (ex art. 162, del Regolamento UE 9 ottobre 2013 n. 952).

Inoltre, i controlli doganali sono obbligatori e avendo la società ricorrente acquistato merce regolarmente sdoganata era in perfetta buona fede, con un ragionevole affidamento della regolarità delle merci sdoganate.

Inoltre, in tutta Italia all’epoca dei fatti vigeva una confusione sulla certificazione dei dispositivi di protezione.

La COROFAR apponeva in via del tutto autonoma una nuova etichetta alle mascherine vendute dalla SER.COM s.r.l.

L’ordinanza impugnata evidenzia (al fine dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato) che la società ricorrente non aveva proceduto al controllo sul sito web di Accredia per verificare la regolarità delle mascherine.

Sul sito web di Accredia la Sezione per riconoscere le attestazioni valide risulta aperta solo dal 29 maggio 2020, come si legge sul sito; quindi, solo successivamente al 9/14 aprile 2020 date dell’acquisto delle mascherine da SIPEC s.p.a.

2.3. Violazione di legge (art. 321, comma 1, 325 cod. proc. pen. e 11comma 5, d. Igs. N. 46 del 1997).

Nell’annotazione della P.G. di riepilogo del proc. penale n. 1350/2020 viene riferito che per le mascherine chirurgiche, dispositivi medici di classe I, non risulta necessaria nessuna autorizzazione o certificazione prima della loro messa in commercio.

Nella consulenza tecnica fatta eseguire dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo si rileva come la certificazione CE per i dispositivi di categoria I (come quelli in oggetto, non mascherine FFP2 ma semplici mascherine monouso non costituenti dispositivo medico) è prevista su criteri autocertificativi, senza nessun intervento di enti o di certificatori esterni, ma sulla base di un’auto attestazione da parte del fabbricante o dell’importatore. Infatti, per l’art. 11, comma 5, d.Igs. n. 46/1997 non è previsto alcun intervento di enti per la messa in commercio, ma la sola auto attestazione di conformità.

L’intervento, invece, risulta necessario per i dispositivi appartenenti alle classi più elevate (2°, 2b e 3).

Inoltre, la società ricorrente forniva alla P.G. tutta la documentazione in suo possesso, in occasione della perquisizione del 23 aprile 2020.

Infine, la ricorrente aveva specificamente contestato nel riesame la sussistenza del reato, non si comprende, quindi, la motivazione dell’ordinanza impugnata che evidenzia un’assenza di contestazione specifica.

2.4. Violazione di legge (art. 321, comma 2, cod. proc. pen.) sulla quantificazione del profitto del reato.

Sul profitto del reato l’ordinanza ha omesso qualsiasi motivazione sul motivo di riesame.

Il profitto del reato era stato indicato nel sequestro in complessivi € 250.813,70, ovvero l’intera somma di vendita delle mascherine; il profitto del reato deve ritenersi al netto dei costi sostenuti per la compravendita delle mascherine.

Dalla somma ottenuta per la vendita deve detrarsi, minimo, la somma relativa all’acquisto (come emerge anche dalla stessa sentenza della Cassazione n. 4885/2019, citata nel provvedimento di sequestro).

Diversamente il sequestro sarebbe punitivo, perché disposto su somme superiori al profitto del reato.

Anche VIVA non deve essere calcolata nel profitto del reato; VIVA rappresenta una mera partita di giro, dovendo la società versarla.

Indipendentemente dal suo versamento o meno, l’imposta non può ricomprendersi nel profitto del reato, essendo ad esso completamente estranea.

L’importo complessivo dei costi di fornitura è di € 143.808,00 oltre IVA e di conseguenza l’importo da assoggettare a sequestro è, al massimo, di soli € 61.770,00 al netto dell’IVA.

Hanno chiesto, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

2.5. Con successiva memoria i ricorrenti hanno ribadito la fondatezza dei ricorsi, riaffermando il difetto di competenza territoriale del Tribunale di Piacenza in favore di quello di Milano e la immediata rilevabilità dell’assenza di dolo nell’operato dei ricorrenti; sul profitto del reato ha ribadito che devono detrarsi i costi delle mascherine per € 143.808,00 oltre VIVA.

2.6. Hanno poi proposto, nella memoria, motivo nuovo sull’inapplicabilità della misura cautelare interdittiva (divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione), motivo non proposto neanche davanti al Tribunale del riesame.

E’ da escludere l’applicazione in via provvisoria delle sanzioni interdittive che non potranno essere applicate in via definitiva all’esito del giudizio di merito (Cass. Sez. 2, n. 10500, del 26 febbraio 2007, Rv235845).

L’art. 25 bis, comma 1, lettera A) d.Igs. n. 231/2001 per i delitti contestati (art. 515 e 517 cod. pen.) prevede unicamente la sanzione pecuniaria fino a 500 quote, mentre le sanzioni interdittive sono previste solo per le ipotesi di reato previsti dalla lettera B), del citato articolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso risulta fondato limitatamente all’individuazione del profitto del reato; inammissibile nel resto perché proposto per vizi della motivazione, con motivi generici e manifestamente infondati; peraltro articolato in fatto.

Il motivo sull’applicazione provvisoria della misura cautelare interdittiva nei confronti della società non risulta proposto in sede di riesame e, quindi, risulta inammissibile in sede di legittimità.

«Il disposto dell’art. 606, comma terzo, cod. proc. pen. che prevede l’inammissibilità del ricorso se proposto per violazione di legge non dedotta con i motivi di appello, è applicabile anche nel caso di mancata deduzione in sede di riesame poiché il relativo procedimento, avendo carattere sostanziale di impugnazione del merito, si presenta equiparabile all’appello (nella specie il ricorrente lamentava che il Tribunale del riesame aveva omesso di deliberare in merito alla invalidità del verbale di sequestro; la Cassazione ha ritenuto l’inammissibilità del ricorso sul rilievo che la relativa questione non risultava dedotta dinanzi al Tribunale del riesame, ed ha enunciato il principio di cui in massima)» (Sez. 4, n. 839 del 24/06/1993 – dep. 21/10/1993, Foti, Rv. 19532401).

4. Sia per il sequestro preventivo che per quello probatorio è possibile il ricorso per cassazione unicamente per violazione di legge, e non per vizio di motivazione.

Nella specie i motivi di ricorso sul fumus dei reati, risultano proposti per il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, art. 606, comma 1, lettera e, del cod. proc. pen. (sia letteralmente e sia nella valutazione sostanziale del ricorso).

Il ricorso in cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009 – dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692). Tuttavia, nella specie non ricorre una violazione di legge e nemmeno l’apparenza della motivazione.

Conseguentemente il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato.

Infatti, il provvedimento impugnato contiene adeguata motivazione, non contraddittoria e non manifestamente illogica, con corretta applicazione dei principi in materia espressi da questa Corte di Cassazione, e rileva come la società ricorrente aveva venduto mascherine chirurgiche con marchio CE contraffatto e senza la prescritta certificazione di conformità e di “conseguenza idonee ad indurre in inganno i compratori sulla qualità del prodotto”.

Infatti, “Integra il reato di frode nell’esercizio del commercio la consegna di merce – nella specie, occhiali da sole – recante la marcatura CE – indicativa della locuzione “China Export” – apposta con caratteri tali da ingenerare nel consumatore la erronea convinzione che i prodotti rechino, invece, il marchio CE – Comunità Europea -, poichè l’apposizione di quest’ultimo ha la funzione di certificare la conformità del prodotto ai requisiti essenziali di sicurezza e qualità previsti per la circolazione dei beni nel mercato europeo” (Sez. 3, Sentenza n. 45916 del 18/09/2014 Ud., dep. 06/11/2014, Rv. 260914 – 01; vedi anche Sez. 3, Sentenza n. 17686 del 14/12/2018 Ud., dep. 29/04/2019, Rv. 275932).

Del resto, «Nella valutazione del “fumus commissi delicti“, quale presupposto del sequestro preventivo, il giudice del riesame non può avere riguardo alla sola astratta configurabilità del reato, ma deve tener conto, in modo puntuale e coerente, delle concrete risultanze processuali e dell’effettiva situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, indicando, sia pur sommariamente, le ragioni che rendono sostenibile l’impostazione accusatoria, e plausibile un giudizio prognostico negativo per l’indagato, pur senza sindacare la fondatezza dell’accusa» (Sez. 5, n. 49596 del 16/09/2014 – dep. 27/11/2014, Armento, Rv. 26167701; vedi anche Sez. 2, n. 25320 del 05/05/2016 – dep. 17/06/2016, P.M. in proc. Bulgarella e altri, Rv. 26700701).

Nel caso in giudizio, l’analisi del Tribunale del riesame, come sopra visto, risulta adeguata alle risultanze degli atti, e sul punto le prospettazioni dei ricorrenti risultano generiche, non collegate a precisi atti di indagine, ipotetiche e, perciò, non valutabili in sede di giudizio di legittimità; relative, peraltro, al vizio di motivazione non ammesso nel caso in esame.

5. Manifestamente infondata la questione della competenza territoriale.

La competenza per territorio si determina avendo riguardo alla contestazione formulata dal pubblico ministero, a meno che la stessa non contenga rilevanti errori, macroscopici ed immediatamente percepibili (Vedi Sez. 1, n. 31335 del 23/03/2018 – dep. 10/07/2018, Confl. comp. in proc. Giugliano, Rv. 27348401; vedi anche Sez. 1, n. 11047 del 24/02/2010 – dep. 23/03/2010, Confl. comp. in proc. Guida e altri, Rv. 24678201).

Nel caso in giudizio il Tribunale del riesame ha rilevato come la contestazione provvisoria del P.M. riguardava la vendita operata da Sercom s.r.l. delle mascherine in oggetto, avvenuta in Piacenza.

Non risulta rilevante, invece, il luogo di importazione delle mascherine nel territorio italiano, nella dogana di Busto Arsizio, proprio per la contestazione in fatto della vendita e non dell’importazione.

Invece, la competenza nei reati avvinti dal vincolo della continuazione si determina ex art. 12, comma 1, lettera B e 16 cod. pen.; come correttamente fatto nel caso in giudizio.

6. Sull’elemento soggettivo dei reati in accertamento (il dolo) si deve rilevare come in sede di riesame l’elemento soggettivo del reato non risulta escluso in maniera evidente (ictu oculi): “In sede di riesame dei provvedimenti che dispongono misure cautelari reali […] al giudice è demandata una valutazione sommaria in ordine al fumus del reato ipotizzato relativamente alla sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie contestata, compreso quello soggettivo, che, nella specie, è integrato dal dolo generico, essendo sufficiente, a tal proposito, dare atto dei dati di fatto che non permettono di escludere ictu oculi la sussistenza di tale elemento” (Sez. 3, Sentenza n. 26007 del 05/04/2019 Cc., dep. 12/06/2019, Rv. 276015 – 01; vedi anche Sez. 2, Sentenza n. 18331 del 22/04/2016 Cc., dep. 03/05/2016, Rv. 266896 e Sez. 6, Sentenza n. 16153 del 06/02/2014 Cc., dep. 11/04/2014, Rv. 259337).

Nel caso in giudizio il Tribunale del riesame rileva, peraltro, la sussistenza del dolo in relazione anche alla mancata consegna da parte della società ricorrente (venditrice) della documentazione che attestava la apposizione regolare del marchio CE (vedi sul punto Sez. 3, Sentenza n. 50783 del 26/09/2019 Ud., dep. 16/12/2019, Rv. 277688).

Conseguentemente non è determinante la motivazione relativa al mancato controllo sul sito ACCREDIA (ente nazionale di accreditamento); sito che per i ricorrenti risulterebbe istituito successivamente al momento di consumazione dei reati.

7. Il ricorso risulta, invece, fondato relativamente alla determinazione del profitto (somma da sequestrare).

Il profitto, del reato è costituito dal lucro, e cioè dal vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato; il prezzo, invece, rappresenta il compenso dato o promesso per indurre, istigare o determinare un altro soggetto a commettere il reato e costituisce, quindi, un fattore che incide esclusivamente sui motivi che hanno spinto l’interessato a commettere il reato (Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996 – dep. 17/10/1996, Chabni Samir, Rv. 205707 – 01; vedi anche Sez. 3, Sentenza n. 30296 del 11/09/2020 Cc., dep. 02/11/2020, Rv. 280440 e Sez. U, Sentenza n. 31617 del 26/06/2015 Ud., dep. 21/07/2015, Rv. 264436 – 01).

Nel profitto del reato, pertanto, non può essere ricompreso il costo che l’imprenditore ha pagato per l’acquisto delle merci poi rivendute commettendo i reati.

Neanche l’imposta, VIVA, deve calcolarsi per la determinazione del profitto essendo entrambe le voci estranee al “vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato”.

Cosa diversa sono i costi sostenuti per la realizzazione dell’attività criminosa che non potrebbero essere detratti dal profitto del reato:

“In tema di sequestro finalizzato alla confisca, non devono essere detratti dal profitto del reato i costi sostenuti dal reo per la realizzazione dell’attività criminosa, pur intrinsecamente leciti, in quanto, ai fini della determinazione del profitto, non sono utilizzabili parametri valutativi di tipo aziendalistico, come il criterio del profitto netto, che porrebbe a carico dello Stato il rischio di esito negativo del reato e sottrarrebbe, contemporaneamente, il reo a qualunque rischio di perdita economica (Fattispecie relativa alla commercializzazione di prodotti agroalimentari non realizzati con metodo biologico, ma venduti come tali, nella quale la Corte ha ritenuto corretto quantificare il profitto nel differenziale tra il ricavato delle vendite e l’importo degli acquisti delle materie prime, senza tener conto dei costi sostenuti per commercializzare i prodotti” (Sez. 3, Sentenza n. 4885 del 04/12/2018 Cc., dep. 31/01/2019, Rv. 274851 – 02; per i costì bancari sostenuti per il delitto di aggiotaggio vedi Sez. 5, Sentenza n. 47983 del 18/12/2008 Cc., dep. 23/12/2008, Rv. 242952 – 0).

8. Conseguentemente il profitto dei reati non può essere riferito alla somma ricavata dalle vendite, ma alla somma risultante dalla differenza tra quanto ricavato e quanto speso per la fornitura delle mascherine, evidentemente escluse le imposte (IVA).

9. L’ordinanza deve, pertanto, annullarsi limitatamente alla quantificazione del profitto sequestrabile con rinvio per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Piacenza, con la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi nel resto.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla quantificazione del profitto sequestrabile e rinvia per nuovo giudizio sul punto al Tribunale di Piacenza.

Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso il 13/4/2021.

Depositato in Cancelleria, addì 3 novembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.

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Dal TGR Friuli Venezia Giulia, 4 giugno 2021 (video che non ha nulla a che vedere con la sentenza, ut supra).

Intercettati e sequestrati a Trieste 11 milioni di mascherine inefficaci

La falsa documentazione era emessa da un organismo certificato turco. Controlli quotidiani di Gdf e Agenzie delle Dogane hanno impedito che i dispositivi fossero distribuiti a sanitari e forze dell’ordine.