Guida in stato di ebbrezza e lavori socialmente utili: gli adempimenti che spettano al PM (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 3 novembre 2021, n. 39330).

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TARDIO Angela – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. ROCCHI Giacomo – Consigliere –

Dott. FIORDALISI Domenico – Rel. Consigliere –

Dott. TALERICO Palma – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) FABIO nato a NARDO’ il 10/12/19xx;

avverso l’ordinanza del 15/12/2020 del TRIBUNALE di LECCE;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DOMENICO FIORDALISI;

lette le conclusioni del PG

Il Procuratore generale, Dott. Fulvio Troncone, chiede l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) Fabio ricorre avverso l’ordinanza del 15 dicembre 2020 del Tribunale di Lecce che, quale giudice dell’esecuzione, a seguito di comunicazione dell’Ufficio Distrettuale di Esecuzione Penale Esterna di Lecce (U.D.E.P.E.) ha revocato la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, precedentemente concessa ex art. 186, comma 9-bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, dal Tribunale di Lecce con sentenza divenuta definitiva il 27 maggio 2018, in ordine al reato di guida sotto l’influenza dell’alcool, ripristinando la pena sostituita di tre mesi di arresto ed euro 1.200,00 di ammenda.

Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che il Tribunale aveva sostituito la pena detentiva con l’obbligo di presentarsi presso l’associazione Farsi Solidali di Nardò entro quattro mesi dall’irrevocabilità della sentenza di condanna, al fine di svolgere i lavori di pubblica utilità per novantaquattro giorni;

che (OMISSIS) non aveva mai svolto tali lavori;

che il condannato, infatti, si era limitato a depositare in sede di udienza una nota inviata il 2 ottobre 2020 alla citata associazione, nella quale aveva chiesto di accedere ai lavori di pubblica utilità;

che tale richiesta era tardiva e, comunque, priva di risposta da parte dell’associazione interpellata;

che il condannato, pur avendone avuto la possibilità, per oltre due anni non aveva contattato né l’associazione né l’U.D.E.P.E.

2. Il ricorrente lamenta inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che il pubblico ministero non aveva emesso l’ordine di esecuzione della sentenza e che, quindi, l’organo di polizia non aveva potuto notificare tale atto al condannato, come invece previsto dall’art. 43 d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, avente a oggetto la disciplina dell’esecuzione della pena del lavoro di pubblica utilità ex art. 54 stesso decreto legislativo, richiamato dall’art. 186, comma 9-bis, cod. strada.

Nel ricorso, inoltre, si evidenzia che l’art. 3 del decreto del Ministero della Giustizia del 26 marzo 2001 (avente ad oggetto le norme per la determinazione della modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base all’art. 54, comma 6, d.lgs. n. 274 del 2000) demanda al giudice della cognizione il potere di comminare la sanzione sostitutiva e di individuarne le modalità attuative, senza imporre oneri al condannato, il quale ha solo il potere di sollecitare il giudice all’assunzione di tale scelta, ma non quello di attivarsi per indicare l’ente o la struttura presso la quale svolgere il lavoro di pubblica utilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato.

1.1. Giova premettere che l’art. 186, comma 9-bis, cod. strada stabilisce che «al di fuori dei casi previsti dal comma 2-bis del presente articolo, la pena detentiva e pecuniaria può essere sostituita, anche con il decreto penale di condanna, se non vi è opposizione da parte dell’imputato, con quella del lavoro di pubblica utilità di cui all’articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, secondo le modalità ivi previste e consistente nella prestazione di un’attività non retribuita a favore della collettività da svolgere, in via prioritaria, nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni o presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato, o presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze».

Pertanto, quando procede per talune delle fattispecie previste dall’art. 186 cod. strada, il giudice della cognizione può sostituire la pena inflitta con il lavoro di pubblica utilità, senza che l’imputato — il quale può sollecitare il giudice in tal senso o anche dichiarare soltanto di non opporsi (Sez. 4, n. 4927 del 2/2/2012, Ambrosi, Rv. 251956; Sez. 4, n. 37997 del 19/07/2012, Dossetto, Rv. 254370) — sia tenuto ad attivarsi per indicare l’ente o la struttura presso la quale svolgere la relativa prestazione.

Ai fini dell’applicazione della pena sostitutiva, infatti, non è richiesto dalla legge che l’imputato indichi l’istituzione presso cui intende svolgere l’attività e le modalità di esecuzione della misura, gravando tale obbligo sul giudice che si determini a disporre il predetto beneficio (Sez. 4, n. 36779 del 03/12/2020, Terzoli, Rv. 280085).

A quest’ultimo riguardo, si evidenzia che l’art. 54, comma 6, d.lgs. n. 274 del 2000 stabilisce che «le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità sono determinate dal Ministro della giustizia con decreto d’intesa con la Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281».

In attuazione di tale disposizione è stato, quindi, emanato il decreto del Ministro della giustizia del 26 marzo 2001 (intitolato “Norme per la determinazione delle modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità applicato in base al d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, art. 54, comma 6”), il quale, dopo aver individuato il tipo di prestazioni dovute e avere richiamato le convenzioni da stipulare con il Ministro della giustizia o, su delega di quest’ultimo, con il presidente del Tribunale, all’art. 3 dispone che «con la sentenza di condanna con la quale viene applicata la pena del lavoro di pubblica utilità, il giudice individua il tipo di attività, nonché l’amministrazione, l’ente o l’organizzazione convenzionati presso il quale questa deve essere svolta. A tal fine il giudice si avvale dell’elenco degli enti convenzionati».

Ne consegue che nemmeno le disposizioni fin qui citate disciplinano la sequenza procedimentale che muove dalla sentenza di condanna e giunge all’inizio della prestazione dell’attività lavorativa.

Tale sequenza, dal punto di vista logico, deve prevedere sia la indicazione dell’ente presso cui l’attività debba essere prestata, che lo specifico calendario recante l’indicazione dei giorni e degli orari in cui il lavoro debba essere svolto; infine, deve ovviamente presupporre una specifica sollecitazione, da parte dell’Autorità giudiziaria e rivolta al condannato, affinché prenda contatto con l’ente di riferimento e si uniformi alle indicazioni del cennato calendario.

Il condannato, quindi, deve ricevere specifica comunicazione dei citati passaggi procedimentali, onde potersi configurare a suo carico un obbligo che, ove rimasto inadempiuto, consenta di attivare, legittimamente, la procedura per la revoca della pena sostitutiva e per il ripristino della pena sostituita.

Alla luce di quanto osservato, il primo passaggio procedimentale deve ravvisarsi nell’atto di impulso alla procedura esecutiva, il quale, nel vigente sistema processuale, è di competenza del pubblico ministero: tale organo, infatti, è titolare – in termini generali – della competenza sia in materia di esecuzione di tutti i provvedimenti di condanna (cfr. art. 655 cod. proc. pen.), che in materia di esecuzione delle sanzioni sostitutive della semidetenzione e della libera controllata (cfr. art. 661 cod. proc. pen., che onera il pubblico ministero a trasmettere l’estratto della sentenza di condanna al magistrato di sorveglianza territorialmente competente), che, infine, in materia di esecuzione della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità (cfr. art. 5, d.nn. 26 marzo 2001), spettando al pubblico ministero anche di formulare al giudice, ai sensi dell’art. 44, d.lgs. n. 274 del 2000, le richieste di modifica delle modalità di esecuzione in caso in cui l’amministrazione, l’organizzazione o l’ente presso il quale si debba svolgere l’attività non sia più convenzionato o abbia cessato operatività, nonché di incaricare l’autorità di polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza di verificare la regolare prestazione del lavoro.

Una prospettiva ricostruttiva, quella fin qui seguita, che appare pienamente conforme all’indirizzo giurisprudenziale di legittimità secondo cui, in tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini della sostituzione della sanzione detentiva o pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità è sufficiente la non opposizione da parte dell’imputato, mentre è onere dell’autorità giudiziaria individuare l’ente presso cui l’attività lavorativa deve essere svolta e le modalità di esecuzione della misura (Sez. 1, n. 53684 del 04/05/2016, Moscariello, Rv. 268551; Sez. 1, n. 1066 del 15/10/2019, Bellu).

1.2. Nel caso di specie, pertanto, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Lecce avrebbe dovuto mettere in esecuzione la sentenza di condanna a carico di (OMISSIS), comunicando formalmente l’avvio della relativa procedura sia al condannato, sia (anche con il coinvolgimento dell’UDEPE) all’ente presso il quale doveva svolgersi l’attività, invitando quest’ultimo a predisporre tutti gli adempimenti necessari, così da consentire al condannato di poter svolgere i lavori di pubblica utilità.

Dalla lettura del provvedimento impugnato e degli atti presenti nel fascicolo, invece, non risulta che il pubblico ministero abbia comunicato un termine entro il quale (OMISSIS) avrebbe dovuto presentarsi presso l’ente indicato, al fine di dare inizio all’esecuzione della pena sostitutiva.

Il ricorso, pertanto, deve essere accolto, posto che, in tema di guida in stato di ebbrezza, ai fini della sostituzione della sanzione detentiva o pecuniaria con quella del lavoro di pubblica utilità, il condannato non è tenuto ad avviare di propria iniziativa il procedimento per lo svolgimento in fase esecutiva dell’attività individuata, poiché tale adempimento spetta al pubblico ministero, il quale non solo deve indicare l’ente presso il quale svolgere la pena sostitutiva, ma anche comunicare il termine entro il quale l’interessato deve presentarsi presso il suddetto ente al fine di svolgere i lavori di pubblica utilità.

2. Alla luce dei principi sopra indicati, la Corte ritiene che l’ordinanza impugnata debba essere annullata con rinvio per nuovo giudizio al giudice dell’esecuzione, per accertare se sussistono altre cause di revoca della misura alternativa alla detenzione in base alla documentazione trasmessa all’ufficio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Lecce.

Così deciso il 09/06/2021.

Depositato in Cancelleria, addì 3 novembre 2021.

SENTENZA – copia non ufficiale -.