REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –
Dott. CANDIA Ugo – Consigliere –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Rel. Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 568/2020 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, rappresentato e difeso in giudizio dall’Avvocatura Generale dello Stato presso la quale è ex lege domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
-ricorrente-
contro
(OMISSIS) Maria Cristina, notaio in Roma, ivi el. dom.ta in Via (OMISSIS) 91 presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) Beatrice che la rappresenta e difende in giudizio come da procura speciale in atti;
-controricorrente-
Ricorso avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale Lazio n. 5955/18 del 17.9.18;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott. Giacomo Maria Stalla;
udito il Procuratore Generale che ha chiesto il rigetto del ricorso;
uditi i difensori delle parti presenti all’udienza dell’11 gennaio 2023.
Rilevato che:
§ 1. L’Agenzia delle Entrate propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale, in riforma della prima decisione, ha ritenuto illegittimo l’avviso di liquidazione notificato al notaio (OMISSIS) in recupero, ex art. 34 d.P.R. 131/86, della maggiore imposta di registro dovuta sull’atto di divisione di comunione ereditaria (eredità (OMISSIS)) da lei rogato il 7.4.2014 e già sottoposto ad auto-liquidazione telematica.
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:
– correttamente il notaio aveva proceduto al versamento dell’imposta di registro con aliquota dell’1% e non con la maggiore aliquota dovuta, ex art.34, co. 2^ cit., in caso di conguaglio superiore del 5% del valore della quota di diritto divergente da quella di fatto, dal momento che alla base imponibile per l’imposta di registro concorreva anche il valore del bene donato in vita dal de cuius ad uno dei condividenti (Marcella (OMISSIS)), e come tale sottoposto al regime civilistico della collazione;
– per contro, diversamente ragionando (cioè determinando la base imponibile sul solo relictum oggetto di divisione) si determinava una tassazione indebita facendo emergere dei conguagli eccedenti (nella specie a favore, non a carico, della donataria) in forza di un’operazione non rispondente né al principio di capacità contributiva né alla disciplina civilistica della collazione, con stravolgimento a fini esclusivamente fiscali degli effetti propri della divisione.
Resiste con controricorso e memoria la (OMISSIS).
§ 2.1 Con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle Entrate lamenta – ex art. 360, co. 1^ n. 3, cod.proc.civ. – violazione e falsa applicazione degli artt. 34 d.P.R. 131/86, 8, co. 4^, d.lgs. 546/90, nonché 737, 747, 750 e 751 cod.civ..
Per non avere la Commissione Tributaria Regionale considerato che, per le comunioni ereditarie, la massa comune ai fini dell’articolo 34 cit. (co. 1^) è costituita ex lege dall’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione la quale, appunto (art.8 cit.), fa esclusivo riferimento al relictum non anche al donatum oggetto di collazione (invece rilevante ai diversi fini della franchigia); inoltre, la donazione del bene oggetto di collazione (la cui esclusione dalla base imponibile è stata già affermata dalla giurisprudenza della S.C.) integra un’attribuzione di ricchezza esulante dalla divisione, nella quale rientra soltanto come imputazione di quota e calcolo fittizio.
Nel caso di specie, si osserva, “la divisione tra i coeredi interessati è avvenuta proprio mediante l’imputazione alla quota a sé spettante ad opera della condividente donataria, signora Marcella (OMISSIS), dei beni da lei ricevuti a titolo di donazione, con prelievo, ad opera dei restanti condividenti, di quote superiori a quelle di diritto del relictum” (ric. pag.13).
§ 2.2 Già assegnato a decisione con rito camerale non partecipato ex art. 380 bis 1 cod.proc.civ., il ricorso è stato rinviato a nuovo ruolo per la trattazione in udienza pubblica, stante la rilevanza nomofilattica della decisione (ordinanza interlocutoria 26.5.2022).
§ 2.3 L’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, come opposta dalla controricorrente, è infondata.
Si osserva in proposito che, in base all’art. 6, co. 11, d.l. 119/18 conv. in l. 136/18: “Per le controversie definibili sono sospesi per nove mesi i termini di impugnazione, anche incidentale, delle pronunce giurisdizionali e di riassunzione, nonché per la proposizione del controricorso in Cassazione che scadono tra la data di entrata in vigore del presente decreto e il 31 luglio 2019”.
Come si evince dalla chiara lettera di legge, a differenza dell’ipotesi di sospensione del giudizio, che presuppone l’istanza del contribuente (co.10), la sospensione dei termini di impugnazione opera automaticamente per il solo fatto che la lite pendente rientri tra quelle definibili, e che i termini in questione vengano a scadere entro l’arco temporale indicato dalla norma.
Sul punto si è già affermato da parte di questa Corte di legittimità (con riguardo ad un diverso provvedimento di condono ma disciplinato, sul punto, in identica maniera) che (Cass.n. 11913/19): “in tema di definizione agevolata delle controversie tributarie ai sensi dell’art. 11 del d.l. n. 50 del 2017, conv. in l. n. 96 del 2017, ai fini dell’accesso al beneficio è necessaria la domanda del contribuente, trattandosi di scelta insindacabile dell’interessato, mentre ai fini della proposizione del ricorso, la sospensione semestrale dei termini di impugnazione (in via principale o incidentale) ovvero per riassumere la causa a seguito di rinvio, prevista dal comma 9 del cit. art. 11, opera automaticamente, purché la lite rientri tra quelle definibili e il termine spiri tra il 24 aprile 2017 e il 30 settembre 2017 (v. Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 22/E del 28luglio 2017)”.
Quanto alla (astratta) definibilità della presente lite, si ritiene che non sia ostativo il nomen (avviso di liquidazione) assegnato all’atto impugnato, rilevando piuttosto come quest’ultimo, nella sua portata sostanziale, esprima appieno una pretesa impositiva che muove, se non dalla rettifica dei valori dedotti nell’atto presentato alla registrazione, dalla diversa determinazione della base imponibile ed anche dalla maggiore aliquota ritenuta applicabile dall’amministrazione finanziaria all’atto divisionale medesimo.
Dunque la lite verte proprio sul recupero di una maggiore imposta proporzionale di registro preceduta, non già da una diversa e già palesata richiesta, quanto soltanto dall’auto-liquidazione e versamento telematico dell’imposta dovuta secondo la valutazione datane dal notaio rogante.
Ricorre anche in proposito l’orientamento di legittimità, in termini, secondo cui, ai fini della inclusione della lite tra quelle definibili, occorre considerare la natura sostanziale, non nominalistica, dell’atto; non potendosi a priori escludere efficacia prettamente impositiva anche ad atti che, per la prima volta, portino a conoscenza del contribuente la liquidazione di una maggiore imposta in ragione della ritenuta diversità di taluni elementi costitutivi del rapporto tributario: “in tema di condono fiscale, ai fini della qualificazione dell’atto come impositivo, e della conseguente inclusione della relativa controversia nell’ambito applicativo dell’art. 16 della l. n. 289 del 2002, rileva la sua effettiva funzione, a prescindere dalla sua qualificazione formale, sicché, con specifico riferimento agli avvisi di liquidazione dell’imposta di registro, non può escludersene la natura di atto impositivo quando essi siano destinati ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, potendosi considerare sufficiente, a tal fine, che la contestazione del contribuente sia idonea ad integrare una controversia effettiva, e non apparente, sui presupposti e sui contenuti dell’obbligazione tributaria” (Cass. nn. 13136/16; 20683/21 ed altre).
Orbene, nel caso di specie il ricorso per cassazione è stato notificato a mezzo Pec il 17 dicembre 2019 e, dunque, l’ultimo giorno utile, tenuto conto della sospensione legale di 9 mesi (vertendosi di sentenza di appello, non notificata, pubblicata il 17 settembre 2018), in dovuta applicazione del criterio di calcolo, non ‘ex numero’, ma ‘ex nominatione dierum’ (Cass.n. 17640/20 e molte altre).
§ 3.1 Il ricorso è infondato.
La lite ha ad oggetto l’individuazione del regime impositivo di registro applicabile – segnatamente sotto il profilo dell’esatta determinazione della base imponibile – ad un atto di divisione di comunione ereditaria posto in essere in presenza di donazioni effettuate in vita dal de cuius a favore di taluno dei condividenti, e civilisticamente tenute a collazione.
Più in particolare, si pone qui il quesito se nella divisione ereditaria ex art.34 d.P.R. 131/86, al fine di stabilire la massa comune e, di conseguenza, al fine di accertare la eventuale divergenza tra quote di fatto/quote di diritto e la sussistenza di eccedenze/conguagli tra coeredi tassabili come vendita, si debba tenere conto – oppure no – del valore del bene donato in vita dal de cuius ad uno dei coeredi condividenti, ed appunto oggetto di collazione. Il dato normativo di immediato riferimento è costituito dall’art.34 d.P.R. 131/86, secondo cui:
“1. La divisione, con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, é considerata vendita limitatamente alla parte eccedente. La massa comune e’ costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione, e nelle altre comunioni, dai beni risultanti da precedente atto che abbia scontato l’imposta propria dei trasferimenti.
2. I conguagli superiori al cinque per cento del valore della quota di diritto, ancorché attuati mediante accollo di debiti della comunione, sono soggetti all’imposta con l’aliquota stabilita per i trasferimenti mobiliari fino a concorrenza del valore complessivo dei beni mobili e dei crediti compresi nella quota e con l’aliquota stabilita per i trasferimenti immobiliari per l’eccedenza. (…)”
Di speciale rilevanza ai fini di causa è la previsione contenuta nell’ultima parte del primo comma, richiamante – per la ricostruzione della massa comune dalla quale discende l’eventuale emersione di conguagli di ripiano del divario tra quote di diritto e quote di fatto assegnate ai singoli condividenti – “l’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione”.
Stabilisce l’art. 8 d.lgs 346/90 (Base imponibile ai fini dell’imposta di successione) che (co. 4^): “Il valore globale netto dell’asse ereditario e’ maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7, di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e ai legatari, comprese quelle presunte di cui all’art. 1, comma 3, ed escluse quelle indicate all’art. 1, comma 4, e quelle registrate gratuitamente o con pagamento dell’imposta in misura fissa a norma degli articoli 55 e 59; il valore delle singole quote ereditarie o dei singoli legati é maggiorato, agli stessi fini, di un importo pari al valore attuale delle donazioni fatte a ciascun erede o legatario.
Per valore attuale delle donazioni anteriori si intende’ il valore dei beni e dei diritti donati alla data dell’apertura della successione, riferito alla piena proprietà anche per i beni donati con riserva di usufrutto o altro diritto reale di godimento.”
Sul piano strettamente letterale, risulta dunque dal combinato disposto che delle donazioni fatte dal defunto agli eredi non si dovrebbe tenere conto ai fini dei conguagli, dal momento che esse rilevano ex lege solo al fine “della determinazione delle aliquote applicabili a norma dell’art. 7” e, quindi, ad uno scopo (antielusivo) del tutto estraneo alla materia ex art. 34 TUR.
Va poi ancora considerato che l’art. 9 TUS definisce l’attivo ereditario come l’insieme di “tutti i beni e i diritti che formano oggetto della successione, ad esclusione di quelli non soggetti all’imposta a norma degli articoli 2, 3, 12 e 13”, previsione che a sua volta espunge la considerazione dei beni donati in vita dal de cuius, proprio perché non tassabili con la successione.
§ 3.2 Orbene, la questione è già stata varie volte affrontata da questa Corte, la quale ha in effetti dapprima accolto la tesi anche qui propugnata dell’Amministrazione Finanziaria, affermando che il criterio di determinazione della massa comune oggetto di divisione ereditaria ex art. 34 cit. mediante richiamo all’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione non consente di considerare, ai fini delle eccedenze e dei conguagli, le donazioni.
Si tratta di tesi già sostenuta dall’Amministrazione con orientamento di prassi, come risulta dalla Risoluzione del 12/05/1987 n. 250249, secondo cui: “L’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta.
I beni donati non rientrano pertanto nelle masse ereditarie e non possono considerarsi ‘esistenti’ in data di apertura della successione. Le quote di diritto verranno calcolate sulla base del valore dell’asse ereditario netto”.
Sulla base di questo primo orientamento – premesso che la divisione, in quanto rientrante nella categoria degli ‘atti di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di qualsiasi natura’ (art. 3, Tariffa, Parte Prima, allegata al d.p.r. n. 131 del 1986 TUR), è tassata con l’imposta di registro con l’aliquota dell’1 per cento (art. 3 cit.), e che se la divisione ha ad oggetto beni immobili si applicano anche le imposte ipotecaria e catastale in misura fissa (art. 4, Tariffa, allegata al d. Lgs. n. 347 del 1990, ed art. 10, comma 2, d. Lgs. cit.) – si è in particolare affermato (v. Cass. nn. 11040/21, 25929/18; 8335/06) che la base imponibile dell’imposta di registro va raccordata con quella dell’imposta di successione e, dunque, “col valore netto dell’asse ereditario e delle singole quote e quindi col valore complessivo dei beni e diritti costituenti l’attivo ereditario, diminuito delle passività (art. 8, comma 1)”.
Poiché il valore delle donazioni soggette a collazione viene aggiunto al valore dell’asse ereditario globale netto nonché a quello delle singole quote, secondo la richiamata formula usata dal legislatore all’art. 8, comma 4 TUS, ai soli fini della determinazione dell’aliquota applicabile (fermo restando che le aliquote così determinate si applicano al solo valore dei beni caduti in successione), “l’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta”, con conseguente sua estraneità anche ai fini ex art. 34 TUR.
E l’esclusione delle donazioni pregresse si giustificherebbe in ragione del fatto che ai fini della (richiamata) imposta di successione, la base imponibile: “è costituita esclusivamente dall’incremento patrimoniale verificatosi in favore dei successori, senza che assuma alcun rilievo il valore dei beni già appartenenti a questi ultimi, il cui assoggettamento a tassazione si tradurrebbe d’altronde in una duplicazione d’imposta, trattandosi di beni sui quali, nella normalità dei casi, è stata già pagata l’imposta sulle donazioni”; con il risultato che: “in sede di divisione ereditaria, la differenza tra la quota determinata senza tener conto del donatum e quella risultante a seguito dell’aggiunta dei beni oggetto di collazione dal donatario deve considerarsi conguaglio”.
§ 3.3 Questo indirizzo interpretativo, strettamente ancorato al rinvio di legge, è stato tuttavia ritenuto meritevole di un radicale ripensamento da parte di Cass.n. 22123/21, la quale ha stabilito che in tema di imposta di registro dovuta sugli atti di divisione ereditaria, l’art. 34 TUR, prevedendo che la massa comune sia costituita dal valore dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione, “va interpretato in accordo con la disciplina civilistica, nel senso di comprendere i beni del compendio successorio tenendo conto anche del valore delle donazioni collazionate e con imputazione dei debiti secondo quanto prescritto dall’art.724 c.c.; pertanto la base imponibile per calcolare l’imposta di registro sulla divisione deve essere determinata sulla somma del valore del bene caduto in successione e del valore del bene collazionato per imputazione”; con l’opposto risultato pratico per cui: “l’assegnazione dell’unico bene rimasto nell’asse ereditario a un condividente, se il relativo valore coincide con la sua quota di diritto sull’intera massa, non comporta l’emersione di conguagli nè tantomeno l’imposizione di alcunché secondo le regole della vendita”.
Questi i passaggi motivazionali fondamentali:
– il richiamato art. 8, co.4^ d.lgs 346/90, benchè non espressamente abrogato in sede di nuova istituzione dell’imposta, è stato, tuttavia, ritenuto implicitamente superato in quanto testualmente ed inequivocabilmente riferito (“ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili”) alla sola applicazione di un sistema progressivo di aliquote (non anche del diverso parametro della franchigia) già precedentemente eliminato (art. 69 l. 342/00) e sostituito con un prelievo ad aliquote percentuali fisse per grado di parentela, in rapporto alle quali la già richiamata funzione antielusiva del coacervo tra relictum e donatum non avrebbe ragion d’essere (risultando quindi con essa incompatibile); e neppure potrebbe sostenersi la indiretta sopravvivenza del coacervo sulla base dell’articolo 7, co. 2 quater, d.lgs 346/90 dal momento che quest’ultima disposizione è stata espressamente abrogata dal co. 52 di 262/06, conv. in L. 286/06 cit.;
– “il solo criterio letterale di interpretazione dell’art. 34 cit, in virtù del quale non era ipotizzabile unire il donatum al relictum al fine di individuare la base imponibile, non avendo per questa disposizione il legislatore richiamato il coacervo, invece espressamente previsto agli artt. 7 e 8 citati, non appare allora più in grado di sopperire ad una norma di legge che opera un mero riferimento alla massa ereditaria al netto delle passività”;
– venuto sostanzialmente meno il richiamo ex art. 34 cit. alla base imponibile dell’imposta di successione, deve soccorrere il criterio civilistico ex art.737 cod.civ. che invece “impone l’obbligo della collazione al fine di riequilibrare in sede di apertura della successione gli assetti patrimoniali alterati dalle donazioni poste in vita dal de cuius (…)”;
– il criterio della interpretazione letterale utilizzato nelle su riportate decisioni di questa Corte non solo conduce “ad una opzione ermeneutica che individua una nozione di massa ereditaria difforme da quella civilistica”, ma lo fa sulla base di “norme che non risultano sopravvissute alla legge n. 262/2006” e con esiti distorsivi nella imputazione delle singole quote dei condividenti, effetti distorsivi che vengono invece evitati affermando, anche sulla base di considerazioni di tipo costituzionale, che “la massa attiva deve comprendere necessariamente anche il valore delle donazioni collazionate e l’imputazione dei debiti secondo quanto prescritto dall’articolo 724 c.c.”;
– in modo tale che: “risulta, pertanto, evidente la fondatezza della tesi difensiva del notaio volta a far rientrare, per effetto della collazione, il bene nella massa ereditaria: di talché, in sede di divisione ereditaria, tenendo conto del donatum non si configura una differenza tra quote né una duplicazione della imposizione, tenuto conto che la collazione è funzionale alla determinazione della massa ereditaria e delle quote di diritto, mentre l’imposta di registro troverà applicazione sulla parte effettivamente caduta in successione”.
§ 3.4 Si ritiene – a superamento del precedente indirizzo – che quest’ultimo orientamento debba trovare condivisione e conferma.
Il rinvio operato dall’art. 34 TUR all’imposta di successione non può non risentire del fatto che la disciplina di quest’ultima è stata fatta oggetto, com’è noto, di varie e non sempre lineari riforme e stratificazioni normative e che, in particolare, la norma che dovrebbe fungere da parametro di riferimento (l’art.8 co. 4^ TUS) è stata privata di ogni pratica e complessiva rilevanza (implicita abrogazione) per il venir meno, a seguito del superamento normativo del regime impositivo proporzionale, della finalità prettamente antielusiva che essa perseguiva; superamento normativo che l’evoluzione giurisprudenziale di legittimità ha ritenuto di dover ravvisare con riguardo non solo alle aliquote, ma anche all’istituto del coacervo di relictum e donatum finalizzato alla franchigia massima di non imponibilità, così come ricordato nella decisione Cass.n. 22123/21 in esame (si rimanda, sul punto, agli ormai numerosi precedenti, tra i quali: Cass.nn. 24940/16; 12779/18; 758/19).
Soprattutto, il richiamo ex art. 34 cit. all’imposta di successione non può prescindere dal fatto che le donazioni effettuate in vita dal de cuius non sono assoggettate all’imposta di successione (quanto soltanto a quella di donazione al momento dell’atto), e che nel diverso ambito dell’imposta di registro sulla divisione ereditaria il medesimo risultato pratico di neutralità impositiva (ché in ciò si concreta il recepimento del regime impositivo successorio) richiede invece che di esse ‘si tenga conto’ nell’operazione di accertamento ed emersione, tra i condividenti, di eventuali divergenze tra quota di fatto e quota di diritto; evenienza nella quale la divisione viene tassata non già per i suoi effetti puramente dichiarativi, ma come vendita e trasferimento.
Come anticipato, l’Amm.ne Finanziaria, con la citata Risoluzione del 12/05/1987 n. 250249, ha ritenuto di dover escludere le donazioni dal computo della massa ex art. 34 TUR, ma ciò ha fatto disattendendo in maniera non condivisibile un esatto rilievo dell’Ispettorato dell’Ufficio di Registro, il quale aveva in quella sede configurato il seguente caso pratico: “ipotesi di un atto di divisione stipulato da due successori in linea retta i quali, dopo aver premesso di essere entrambi a conoscenza di precedenti donazioni effettuate in vita dall’ascendente a favore del figlio maggiore per un valore di L. 10.000.000, procedono di comune accordo alla divisione dei beni relitti compresi nell’asse ereditario del valore complessivo di L. 20.000.000, mediante formazione di due quote del valore rispettivamente di L. 5.000.000 e L. 15.000.000.
In tale evenienza, al fine di ricostruire la massa dividenda sulla quale vanno calcolate le quote di diritto, occorrerebbe sommare, ad avviso di codesto Ispettorato, il valore dell’asse ereditario con quello delle donazioni precedenti (nell’esempio L. 20.000.000 + L.10.000.000 = L. 30.000.000).
Il valore delle quote di diritto risulterebbe così di L. 15.000.000 ciascuna e corrisponderebbe a quello delle quote di fatto (il condividente A avrebbe ricevuto L. 10.000.000 con donazione e L. 5.000.000 per successione, mentre il condividente B avrebbe ugualmente ricevuto L. 15.000.000 solo per successione).
Nella predetta ipotesi, non si legittimerebbe in alcun modo, secondo codesto Ispettorato, l’applicazione dell’imposta proporzionale di trasferimento, riscontrandosi piena corrispondenza tra quote di fatto e quote di diritto”.
E’ evidente che la neutralità impositiva delle donazioni (in quanto autonomamente tassate) tanto ai fini dell’imposta di successione quanto ai fini dell’imposta di registro può – in quest’ultima – essere ottenuta solo se ed in quanto esse vengano ‘considerate’, e non estromesse, nella ricostruzione della massa comune da dividere.
E ciò appare tanto più significativo se solo si osservi che l’imposta di registro applicata sulla divisione ex art. 34 colpisce (a parte, come detto, gli effetti divisionali di tipo puramente dichiarativo) l’effettivo trapasso di ricchezza che con la divisione può realizzarsi (trapasso che la legge fiscale equipara in sostanza agli effetti prettamente traslativi ed attributivi propri della vendita); ed è solo imputando le donazioni pregresse alla massa comune che si ha modo di verificare se un simile trapasso di ricchezza imponibile si è davvero verificato, ed in che misura, in capo a taluno dei condividenti.
Al contrario, se delle donazioni non si tenesse conto, l’imposta di registro sulla divisione ereditaria verrebbe a colpire un disavanzo tra quota di fatto e quota di diritto che non è significativo né rivelatore dell’attribuzione di una ricchezza supplementare, quanto soltanto della riconduzione ad equilibrio e parità delle porzioni del patrimonio del de cuius rispettivamente e definitivamente assegnate ai condividenti.
Come correttamente osservato dalla Commissione Tributaria Regionale nella sentenza impugnata, ciò rende palese come soltanto l’opzione interpretativa che muova dalla imputazione delle donazioni alla massa comune da dividere soddisfi il cardine costituzionale di cui all’art. 53 Cost., allineando inoltre il regime fiscale a quello civilistico di obbligatoria imputazione all’asse ereditario da dividere (salva dispensa nei limiti della quota disponibile) delle donazioni eseguite in vita dal de cuius, ex art.724 cod.civ..
In tal modo il coacervo tra donatume relictum (già, come detto, escluso ai fini dell’imposta di successione) viene sì recuperato, ma:
– nell’ambito di un’operazione di riunione fittizia e per imputazione avente immediata incidenza sulla massa comune e non sulla base imponibile dell’imposta di registro applicabile all’atto di divisione;
– in forza di un istituto di portata generale (la collazione) esperibile non solo ai fini dell’azione di riduzione, ma ogniqualvolta si renda necessario ricostruire l’asse ereditario, il che supera l’obiezione dell’Amministrazione secondo cui delle donazioni in vita non potrebbe tenersi conto ai fini in esame sol perché relative a beni non ricompresi nella massa ereditaria da dividere, in quanto estranei al patrimonio del de cuius al momento della successione.
§ 4. Ne segue il rigetto del ricorso in applicazione del seguente principio di diritto:
“nella imposizione di registro della divisione ereditaria ex art. 34 d.P.R. 131/86, al fine di stabilire la massa comune e, di conseguenza, al fine di accertare la eventuale divergenza tra quota di fatto-quota di diritto e la presenza di eccedenze-conguagli tra coeredi tassabili come vendita – trasferimento, si deve tenere conto del valore del bene donato in vita dal de cuius ad uno dei coeredi condividenti e come tale oggetto di collazione ex artt. 724 e 737 cod.civ.”.
Le spese di lite vengono compensate, stante la presenza di non univoci precedenti di legittimità in materia.
P.Q.M.
La Corte
– rigetta il ricorso;
– compensa le spese.
Così deciso nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data 11 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 gennaio 2023.