LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
LUCIO LUCIOTTI – Presidente –
GIANCARLO TRISCARI – Consigliere –
GIAN ANDREA CHIESI – Rel. Consigliere –
ANDREA ANTONIO SALEMME – Consigliere –
ANNACHIARA MASSAFRA – Consigliere –
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 16713-2019, proposto da:
(omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t. e (omissis) (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t. (omissis) (omissis) rapp.te e dif.se, dall’avv.to (omissis) (omissis) in virtù di procura speciale a margine del ricorso:
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. (omissis) in persona del Direttore p.t., legale rappresentante, dom.to in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1577 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LIGURIA, depositata il 22/11/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/05/2023 dal Consigliere Dott. GIAN ANDREA CHIESI;
Rilevato:
che l’AGENZIA DELLE DOGANE notificò alla (omissis) S.R.L. ed alla (omissis) (omissis) S.R.L. alcuni avvisi di accertamento ed atti di irrogazione di sanzioni, relativamente all’importazione di tubi dichiarati sotto una voce doganale poi rettificata dall’Ufficio con altra implicante il pagamento di ulteriori diritti di confine e dazi antidumping;
che le contribuenti impugnarono detti provvedimenti innanzi alla C.T.P. di Genova che, con sentenza n. 2278/2016, accolse i ricorsi;
che l’AGENZIA DELLE DOGANE – UFFICI DI GENOVA 1 E 2 propose appello innanzi alla C.T.R. della Liguria, la quale, con sentenza 1577, depositata il 22/11/2018, riformò l’impugnata decisione osservando – per quanto in questa sede ancora rileva
– che:
(a) l’atto introduttivo del giudizio di appello era validamente sottoscritto;
(b) la rettifica operata dall’Ufficio, sulla base delle risultanze di indagini svolte presso laboratori pubblici su campioni scelti in contraddittorio con le contribuenti, non può essere superata dalle opposte risultanze della perizia svolta da queste ultime presso laboratori privati;
(c) non rilevanti si appalesano, nella specie, le I.T.V. invocate dalle contribuenti, siccome rilasciate successivamente alle dichiarazioni doganali per cui è causa “ed essendo [altresì] fatto ignoto, allo stato attuale, se le merci valutate siano le medesime” (cfr. p. 2 della motivazione);
(d) l’I.V.A. all’importazione ha natura di diritto di confine, la cui riscossione spetta all’Ufficio dele Dogane e rispetto alla quale il (omissis) deve ritenersi coobbligato passivo con l’importatore;
(e) alcuna irregolarità è riscontrabile quanto all’applicazione delle sanzioni, difettando qualsivoglia incertezza sull’applicazione della normativa sottesa alle riprese per cui è causa; (f) non sussistono i presupposti applicativi per l’esimente ex art. 220 C.D.C. né per lo sgravio ex art. 239 C.D.C., quale atto discrezionale dell’amministrazione “concesso solo per eventi eccezionali“;
che avverso tale decisione la (omissis) S.R.L. e la (omissis) (omissis) S.R.L. hanno proposto separati ricorsi per cassazione, rispettivamente affidati a sette e sei motivi; si è costituita con controricorso l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI;
che la Procura Generale, in persona del DOTT. MAURO VITIELLO ha depositato, altresì, proprie conclusioni scritte, ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ., instando, da un lato, per il rigetto del ricorso della (omissis) S.R.L. e, dall’altro, per l’accoglimento del ricorso della (omissis) (omissis) S.R.L. limitatamente al sesto motivo;
Considerato:
che con il primo motivo entrambe le parti ricorrenti si dolgono (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) della “violazione dell’art. 36, c. 2, n. 4, D.Lgs. n. 546/1992” (cfr. p. 11 del ricorso (omissis) e p. 10 del ricorso(omissis) per avere la C.T.R. rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello all’epoca proposto dall’Ufficio delle (omissis) per carenza di valida sottoscrizione, con una motivazione meramente apparente;
che i motivi sono infondati;
che è noto che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. 1, 3.3.2022, n. 7090, Rv. 664120-01; Cass., Sez. U, 7.4.2014, n. 8053, Rv. 629830-01);
che, in particolare:
a) ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture (Cass., Sez. 6-1, 1.3.2022, n. 6758, Rv. 664061- 01; Cass., Sez. 1, 30.6.2020, n. 13248, Rv. 658088-01);
b) sotto altro profilo, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass., Sez. L, 14.2.2020, n. 3819, Rv. 656925-02);
che, alla luce dei principi che precedono (e rilevato, in ogni caso e per mera completezza di trattazione, che è validamente apposta la sottoscrizione dell’appello dell’ufficio finanziario da parte del preposto al reparto competente, anche ove non sia esibita in giudizio una corrispondente specifica delega, salvo che non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’ufficio appellante o, comunque, l’usurpazione decisione impugnata affronta – per motivatamente superarla – la questione relativa alla dedotta carenza di una valida sottoscrizione dell’atto di gravame, rilevandone espressamente l’infondatezza (cfr. p. 1 della motivazione, quartultimo e terzultimo cpv.) per effetto dell’avvenuta dimostrazione della “validità della firma apposta al ricorso“, quale conseguenza della contestazione, da parte delle contribuenti, non già della mancata allegazione della delega di firma all’atto quanto, piuttosto, della mancanza di informativa relativa al firmatario e della sanabilità di tale omissione in udienza (altra e diversa questione è se la C.T.R. abbia correttamente inteso il senso dell’eccezione sollevata in appello dalle contribuenti, come pure solo adombrato alla p. 12, terzultimo cpv., primo periodo, del ricorso: tale doglianza, tuttavia, avrebbe dovuto essere veicolata innanzi a questa Corte – ma ciò non è avvenuto, né la censura in esame è in tal guisa complessivamente riqualificabile – in termini di dedotta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato);
che con il secondo motivo di entrambi i ricorsi le parti ricorrenti lamentano (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) la “violazione dell’art. 36, c. 2, n. 4, D.Lgs. n. 546/1992” (cfr. p. 13 del ricorso (omissis) e p. 12 del ricorso (omissis) per avere la C.T.R. reso una motivazione meramente apparente in relazione al valore probatorio – nella specie negato – della perizia di parte prodotta dalle contribuenti per dimostrare la correttezza della dichiarazione doganale;
che con la prima parte del terzo motivo di entrambi i ricorsi, la difesa della (omissis) e del (omissis) lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la “violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2700 c.c. e degli artt. 4, n. 5), 12, c. 2 del Reg. CEE n. 2913/1992 e 11, Reg. CEE n. 2454/1993, ratione temporis applicabili” (cfr. p. 16 del ricorso (omissis) e p. 15 del ricorso(omissis) per avere la C.T.R. confermato la legittimità della rettifica operata dall’Ufficio, quale conseguenza dei risultati delle analisi svolte presso pubblici laboratori, senza conferire rilievo alla perizia di parte prodotta da esse contribuenti;
che con il quarto motivo di entrambi i ricorsi, la difesa delle contribuenti si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.) dell'”omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (cfr. p. 19 del ricorso (omissis) e p. 18 del ricorso(omissis) per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto legittima l’applicazione del dazio antidumping per cui è causa, senza considerare che lo stesso non riguarda i tubi – quali quelli di specie, come confermato dalla perizia giurata versata in atti – di precisione;
che i motivi – suscettibili di trattazione congiunta, per identità delle questioni agli stessi sottese – sono in parte infondati, in parte inammissibili;
che, premesso che non è dato registrare, anche rispetto alle doglianze svolte con il secondo motivo, alcuna motivazione apparente, avendo la C.T.R. espressamente e congruamente chiarito tanto le ragioni (i.e.: campioni raccolti in contraddittorio; fidefacenza delle analisi, trattandosi di struttura pubblica) per le quali ha inteso dare prevalenza alle risultanze delle analisi disposte dall’Ufficio, anziché a quelle emergenti dalla perizia di parte, quanto le motivazioni sottese alla mancata valorizzazione dell’I.T.V. invocata dalle contribuenti (siccome rilasciata successivamente rispetto ai fatti per cui è causa), avuto riguardo alle residue censure osserva il Collegio che, pur vero che nel processo tributario, nel quale esiste un maggiore spazio per le prove cosiddette atipiche, anche la perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (Cass., Sez. 5, 23.2.2022, n. 6038, Rv. 663978-01), cionondimeno è altrettanto consolidato il principio per cui la perizia stragiudiziale, che costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico (Cass., Sez. U, 3.6.2013, n. 13902, Rv. 626469-01), non ha valore di prova nemmeno rispetto ai fatti che il consulente asserisce di aver accertato, ma solo di indizio (in tal senso dovendosi evidentemente intendere quell’inciso, contenuto in sentenza, per cui essa costituirebbe “al limite una presunzione“), al pari di ogni documento proveniente da un terzo, ovvero di mero argomento di prova (Cass., Sez. 6-5, 9.4.2018, n. 8621, Rv. 647730-01), con la conseguenza che la valutazione della stessa è rimessa all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito che, peraltro, non è obbligato in nessun caso a tenerne conto (Cass., Sez. 5, 27.12.2018, n. 33503, Rv. 651998-02. Cfr. anche Cass., Sez. 5, 23.11.2022, n. 34450, Rv. 666397- 02).
Sicché, le censure in esame disvelano, in parte qua, un inammissibile vizio motivazionale, teso alla rivalutazione, mediante la considerazione della perizia stragiudiziale in questione, della natura dei tubi in questione e, in ultima analisi, degli elementi che hanno indotto la C.T.R. a ritenere corretta la ripresa operata dall’Ufficio laddove, al contrario, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (arg. da Cass., Sez. 5, 4.8.2017, n. 19547, Rv. 645292-01);
che quanto precede determina l’assorbimento del quinto motivo di entrambi i ricorsi (cfr. p. 22 del ricorso (omissis) e p. 21 del ricorso (omissis) con il quale la difesa delle contribuenti lamenta la “violazione e falsa applicazione dell’art. 1, Reg. CE 1256/2008 e dell’art. 1, Reg. UE n. 110/2015, nonché delle regole generali per l’interpretazione della Nomenclatura Combinata nn. 1 e 6, contenute nelle Disposizioni Preliminari alla Tariffa, paragrafo A, Allegato I al Reg CEE n. 2658/1987“, presupponendo esso la classificazione (smentita, come detto supra, dalla C.T.R.) dei tubi in questione in termini di “tubi di precisione”;
che con la seconda parte del terzo motivo di entrambi i ricorsi, la difesa della (omissis) e del (omissis) lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la “violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c. e 2700 c.c. e degli artt. 4, n. 5), 12, c. 2 del Reg. CEE n. 2913/1992 e 11, Reg. CEE n. 2454/1993, ratione temporis applicabili” (cfr. p. 16 del ricorso (omissis) e p. 15 del ricorso (omissis) per avere la C.T.R. confermato la legittimità della rettifica operata dall’Ufficio, quale conseguenza dei risultati delle analisi svolte presso pubblici laboratori, senza considerare la (omissis) siccome avente “validità solo successiva alla data di rilascio“;
che il motivo è infondato;
che la conclusione raggiunta dalla C.T.R. in relazione alla inutilizzabilità, nel caso di specie, dell’I.T.V. invocata dalle contribuenti, è conforme a quanto previsto dall’art. dell’art. 12, par. 2, del Reg. CEE n. 2913 del 1992 (che, nel definire l’ambito di efficacia delle I.T.V., dispone che la informazione “è obbligatoria per l’autorità doganale soltanto in relazione alle merci per le quali le formalità doganali sono state espletate in data posteriore alla comunicazione dell’informazione da parte di detta autorità”), pacificamente trattandosi – nella specie – di decisione successiva alle formalità doganali originanti la ripresa in esame (cfr. anche Cass., Sez. 5, 24.7.2019, n. 19998, Rv. 662930-01, in motivazione, alla p. 5, cpv., nonché Cass., Sez. 5, 8.10.2019, n. 25054, non massimata, in motivazione, alla p. 6, sub § 4.2);
che con il sesto motivo la difesa della (omissis) si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ.) della “nullità della sentenza per violazione dei doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c., per avere omesso di pronunciarsi sul motivo concernente la nullità dell’accertamento doganale prot. n. 2117 del 20.01.2015 e della relativa bolla di rettifica R 358F del 30- 01-2015, per violazione degli artt. 3 bis e 9, c. 3 bis, D.L. n. 16/2012.dell’art. 36, c. 4 ter, d.l. n. 248/2007. e dell’art. 7, legge n. 212/2000” (cfr. ricorso, p. 26), per avere la C.T.R. omesso di pronunziarsi sulla eccezione di nullità dell’accertamento doganale svolto dall’Ufficio delle Dogane di Genova 1, per non contenere gli atti impositivi impugnati “alcuno degli elementi indicati dall’art. 9, c. 3 bis, D.L. n. 16/2012, nonché dagli artt. 36, c. 4 ter, D.L. n. 248/2007 e 7, 2, lett. a), legge n. 212/2000” (cfr. ivi, p. 27, penult. cpv.);
che il motivo è inammissibile;
che, premesso che, nella specie, appare ravvisabile una ipotesi di rigetto implicito della questione in commento, superata e travolta – benché non espressamente trattata – dalla incompatibile soluzione della questione – “a valle” – concernente la legittimità degli atti impositivi impugnati, il cui solo esame presupponga e comporti, come necessario antecedente logico-giuridico, la irrilevanza o infondatezza della prima (con conseguente censurabilità della relativa statuizione mediante ricorso per cassazione non già per omessa pronunzia, bensì in termini di violazione di legge o come difetto di motivazione – arg., da ultimo, da Cass., Sez. 3, 8.5.2023, n. 12131, Rv. 667614-01), osserva in ogni caso il Collegio come la censura pecca di specificità (cfr. l’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ.) sotto diversi profili e, in specie, (a) per non essere stati trascritti gli atti impositivi in commento (così precludendo al Collegio qualsivoglia possibilità di valutazione circa il relativo effettivo contenuto) e (b) per non essere stato chiarito in che termini la questione oggi sottoposta al vaglio di questa Corte fu comunque effettivamente veicolata in prime cure, considerato che il ricorso, silente sulle difese di prime cure (salvo un generico riferimento contenuto alla p. 5: “eccependo: 1) l’illegittimità dell’accertamento doganale per assenza delle informazioni poste a garanzia del diritto di difesa del contribuente“), contiene, alla p. 27, solo una parziale trascrizione delle controdeduzioni della (omissis) in appello, senza che – per altro verso – neppure risulti chiaro se tali argomentazioni difensive effettivamente dovevano intendersi alla stregua di una riproposizione di una questione rimasta assorbita;
che la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., postula, infatti, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi.
Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di specificità del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi (Cass., Sez. 2, 14.10.2021, n. 28072, Rv. 662554-01);
che con il settimo motivo del proprio ricorso, la (omissis) si duole (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) della “nullità della sentenza per violazione dei doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c., per avere omesso di pronunciarsi sul motivo concernete l’illegittimità delle sanzioni irrogate, per violazione dell’art. 11, nonché degli artt. 2, 4, 5, 6, 7, 16 e 17, D. Lgs. n. 472/1997 [per non avere essa ricorrente effettuato né sottoscritto alcuna delle dichiarazioni di importazione sottese alle riprese per cui è causa]” (cfr. ricorso, p. 28), doglianza rimasta assorbita in prime cure, riproposta innanzi alla C.T.R. e – si opina – da questa non esaminato;
che il motivo è infondato;
che, sia pure sinteticamente, la decisione impugnata si pronuncia espressamente sull’aspetto relativo alla legittimità delle sanzioni irrogate, chiarendo che le stesse “appaiono applicate correttamente” (cfr. ult. p. della motivazione, primo rigo), con conseguente insussistenza della lamentata omissione di pronunzia (altra questione è se una tale motivazione sia apparente: trattasi, però, di censura non veicolata innanzi a questa (omissis) né in siffatti termini riqualificabile);
che, anche a voler diversamente opinare (e, dunque, ritenere integrato il lamentato vizio), la doglianza (in tesi, comunque esaminabile nel merito da questa Corte, senza dover procedere a cassazione con rinvio della gravata decisione, stante l’esito della decisione su di essa. Cfr. Cass., Sez. 5, 28.6.2017, n. 16171, Rv. 644892-01) è comunque infondata, giacché l’importatore (quale, nella specie, la (omissis), in caso di ripresa conseguente a rettifica della dichiarazione doganale, il primo destinatario del provvedimento sanzionatorio, ex art. 303 del T.U.L.D., ponendosi la questione della sussistenza di una eventuale responsabilità solidale solamente con riferimento al rappresentante che cura la detta dichiarazione in dogana, a seconda della natura (diretta o indiretta) di tale rappresentanza (cfr. anche Cass., 16.3.2020, n. 7264;
che con il sesto motivo del ricorso del (omissis) infine, parte ricorrente lamenta (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) la “violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 9) e 10), 79 e 201 del Reg CE n. 2913/1992 ratione temporis applicabili” (cfr. ricorso, p. 25), per avere la C.T.R. erroneamente ritenuto essa ricorrente solidalmente responsabile con la (omissis) per le riprese relative all’I.V.A. all’importazione, benché (a) essa ricorrente abbia agito quale spedizioniere in rappresentanza indiretta dell’importatore e (b) l’imposta in questione non rientri nella definizione di dazio doganale o di tassa di effetto equivalente;
che il motivo è fondato;
che è sufficiente richiamare, in proposito, la recente Cass., Sez. 5, 27.7.2022, n. 23526, Rv. 665345-01 (alla cui ampia motivazione si rinvia, anche per l’illustrazione del mutato quadro normativo e giurisprudenziale) la quale, in ossequio a quanto chiarito da C.G.U.E., sentenza 12.5.2022, in causa C-714/20, (omissis) s.r.l., ha chiarito (sia pure con riferimento a quanto disposto dall’art. 5 del Regolamento UE del 9 ottobre 2013, n. 952, istitutivo del codice doganale dell’Unione) che l’I.V.A. all’importazione non fa parte dell’obbligazione doganale e, pertanto, del suo mancato pagamento (così come, all’evidenza, delle relative sanzioni ed oneri accessori) risponde unicamente l’importatore e non anche il suo rappresentante indiretto, in assenza di specifiche ed inequivoche disposizioni nazionali che ne prevedano la responsabilità solidale (cfr. anche, per le medesime conclusioni, a proposito di quanto previsto dall’art. 4, nn. 9 e 10 del Reg. n. 2913 del 1992, Cass., Sez. 5, 24.9.2019, n. 23674, massimata ad altri fini, pp. 3-6 ed ivi ulteriori riferimenti giurisprudenziali);
che, nel confermare la legittimità della ripresa dell’I.V.A. all’importazione nei confronti del (omissis) quale spedizioniere in rappresentanza indiretta obbligato solidalmente con l’importatrice (omissis) la C.T.R. ha, dunque, contravvenuto agli illustrati principi;
che ritenuto, in conclusione che:
a) il ricorso della (omissis) debba essere rigettato;
b) il ricorso del (omissis) debba essere accolto limitatamente al sesto motivo, con la conseguente cassazione della decisione impugnata. Peraltro, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, con l’accoglimento dell’originario ricorso della contribuente e l’annullamento delle riprese operate nei confronti della stessa a titolo di I.V.A. all’importazione;
che, quanto alle spese di lite:
1) la (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., va condannata al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo;
2) nei rapporti tra la (omissis) (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t. e l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., le spese di tutti i gradi di giudizio vanno integralmente compensate, considerato il mutato orientamento giurisprudenziale – di cui si è dato conto in motivazione – circa la natura dell’I.V.A. all’importazione;
P.Q.M.
La Corte:
a) rigetta il ricorso proposto dalla (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.;
b) accoglie il ricorso proposto dalla (omissis) (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., limitatamente al sesto motivo, con rigetto dei restanti.
Cassa la decisione impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso proposto dalla (omissis) (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., limitatamente all’annullamento delle riprese operate nei confronti della stessa a titolo di I.V.A. all’importazione.
Compensa integralmente le spese di tutti i gradi di giudizio nei rapporti tra la (omissis) (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t. e l’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t. e condanna la (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., al pagamento, in favore dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore p.t., delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in € 7.800,00 (settemilaottocento/00) per compenso professionale, oltre spese prenotate a debito.
Dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della (omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Tributaria, il 25.5.2023.
Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2023.
SENTENZA – copia non ufficiale -.