Inammissibile il ricorso per Cassazione se manca il deposito del mandato a impugnare per l’assente (Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza 11 ottobre 2023, n. 41309).

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo italiano

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SESTA SEZIONE PENALE

Composta da

Dott. Massimo Ricciarelli -Presidente-

Dott. Angelo Capozzi -Consigliere-

Dott. Ersilia Calvanese -Relatore-

Dott. Giuseppina Anna Rosaria Pacilli -Consigliere-

Dott. Benedetto Paternò Raddusa -Consigliere-

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

(omissis) (omissis) nato a (omissis) il xx/xx/19xx;

avverso la sentenza del 14/02/2023 della Corte di appello di Torino

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott.ssa Ersilia Calvanese;

lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. Vincenzo Senatore, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;

lette le conclusioni della parte civile, avv. (omissis) (omissis) per la declaratoria di inammissibilità o rigetto del ricorso e condanna del ricorrente alla rifusione delle spese, coma da nota allegata;

lette le conclusioni della difesa del ricorrente, avv. (omissis) (omissis) che insiste per l’accoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

  1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Torino confermava parzialmente la sentenza del Tribunale di Torino del 21 dicembre 2020 che aveva condannato l’imputato (omissis) (omissis) 570, commi primo e secondo n. 2 cod. pen. (per aver fatto mancare ai due figli i mezzi di sussistenza “dall’aprile 2006 ad oggi”) (capo a) e 3 I. n. 54 del 2006, 12- sexies I. n. 989 del 1970 per aver violato nel medesimo periodo gli obblighi di natura economica imposti nei confronti dei due figli dal Tribunale di Torino in sede di separazione coniugale e poi di divorzio.

In particolare, la Corte di appello assolveva l’imputato, perché il fatto non sussiste, dal reato sub a)  limitatamente al periodo successivo al raggiungimento della maggiore età dei figli e dal reato sub b) limitatamente all’omissione relativa alla figlia (omissis)l per il periodo successivo al 2018, anno in cui quest’ultima aveva raggiunto la sua indipendenza economica; inoltre escludeva l’aggravante ex art. 61 n. 2 cod. pen. e rideterminava quindi la pena inflitta, confermando nel resto la sentenza appellata.

  1. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando i motivi di annullamento, come sintetizzati conformemente al disposto dell’art. 173 disp. cod. proc. pen.

2.1. Vizio di motivazione in relazione alla penale responsabilità del ri La Corte di appello ha malgovernato i principi di diritto affermati con riferimento al reato di cui all’art. 570 cod. pen. (con riferimento alla condotta, non identificabile con la mera omissione dell’adempimento della obbligazione civilistica, al dolo e all’accertamento della capacità economica dell’obbligato ad adempiere), motivando in maniera illogica.

2.2. Violazione di legge in relazione all’assorbimento del reato sub b) in quello di cui al capo a) e conseguente riduzione della pena.

Sull’assorbimento tra le due fattispecie di reato (la seconda strumentale alla commissione del primo reato) è intervenuta la Corte di cassazione con la recente pronuncia n. 9065 del 2023, le cui motivazioni sono fatte proprie dal ricorrente.

2.3. Vizio di motivazione sul beneficio sospensivo della pena.

Sul punto, oggetto di appello, la Corte di appello ha omesso di pronunciarsi e la Corte di cassazione in tal evenienza può direttamente concedere il beneficio.

  1. Disposta la trattazione scritta del procedimento, ai sensi dell’art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, 137, conv. dalla I. 18 dicembre 2020, e succ. modd., in mancanza di richiesta nei termini ivi previsti di discussione orale, le parti hanno depositato conclusioni scritte, come in epigrafe indicate.

CONSIDERATO IN DIRITTO

  1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

2. Preliminarmente, ed in via assorbente, viene in considerazione il profilo di inammissibilità del ricorso segnalato dalla parte civile nelle conclusioni scritte per non aver il difensore dell’imputato depositato con l’atto di impugnazione lo specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza impugnata, come richiesto dalla novella introdotta dal decreto legislativo n. 150 del 2022 all’art. 581, comma 1-quater proc. pen..

L’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen stabili e invero che “Nel caso di imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza, con l’atto d’impugnazione del difensore è depositato, a pena d’inammissibilità, specifico mandato ad impugnare, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza e contenente la dichiarazione o l’elezione di domicilio dell’imputato, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”. L’art. 89 dello stesso decreto precisa, inoltre, che tale norma si applica “per le sole impugnazioni proposte avverso sentenze pronunciate in data successiva al 30 dicembre 2022”.

Poiché la sentenza impugnata rientra nel periodo di applicazione temporale della norma, si tratta di stabilire se la stessa riguardi anche il giudizio di cassazione.

Il Collegio ritiene di dare soluzione affermativa a tale quaestio iuris.

A favore di una siffatta interpretazione della norma delegata si pongono vari elementi: la formulazione letterale, la collocazione sistematica della norma, i principi e i criteri direttivi contenuti nella legge delega, i lavori preparatori e la normativa intertemporale.

  1. In primo luogo, viene in rilievo che la disposizione è formulata in termini generali per tutte le “impugnazioni” avanzate da imputati giudicati in assenza ed è collocata nell’ambito di una norma, a sua volta, destinata a disciplinare la “forma dell’impugnazione” in via generale (art. 581), nel cui contesto il legislatore delegato ha anche inserito norme specifiche per il solo appello (il comma 1-bis).

Peraltro, come osservato da autorevole dottrina, questi elementi formali sembrano perdere di significatività in presenza del riferimento, contenuto in disposizioni apparentemente generali quali il comma 1-ter e quello 1-quater dell’art. 581, alla “notificazione del decreto di citazione a giudizio”, quale finalità dell’ulteriore onere imposto alla parte impugnante di dichiarazione o elezione di domicilio. Formalità questa ultima applicabile solo al grado di appello e non al giudizio di cassazione, nel quale una “citazione a giudizio” non è prevista (si fa rilevare che l’avviso ex art. 613 cod. proc. pen. all’imputato, difeso di ufficio, non è ad essa equiparabile in senso tecnico).

Per superare tale argomento, è necessario ricorrere ad altri strumenti esegetici a disposizione dell’interprete: primo, tra i quali, quello costituito dalla legge delega.

Secondo i principi più volte affermati dal Giudice delle leggi in tema di rapporti tra legge delega e norma delegata, in linea generale alla legge delega va infatti attribuita rilevanza sulla seconda anche sul piano interpretativo.

In particolare, il processo ermeneutico della norma delegata va condotto in primo luogo esaminando la norma delegante, al fine di individuarne l’esatto contenuto, nel quadro dei principi e criteri direttivi e del contesto in cui questi si collocano, nonché delle ragioni e finalità della medesima, per poi interpretare la norma delegata “nel significato compatibile con i principi ed i criteri direttivi della delega” (per tutte Corte cost. n. 112 del 2008).

I principi stabiliti dal legislatore delegante costituiscono infatti non solo il fondamento ed il limite delle norme delegate, ma anche un criterio per la loro interpretazione, in quanto esse vanno lette, finché possibile, nel significato compatibile con i principi della legge di delega (Corte cost. n. 176 del 2000).

Il criterio della c.d. interpretazione “conforme” della norma delegata, per quanto risulti preminente quando si tratti di vagliarne la costituzionalità per “eccesso di delega”, risulta parimenti rilevante quando il legislatore delegato non abbia espressamente optato per l’esercizio incompleto della delega (c.d. “eccesso di delega in minus”) – scelta del Governo che non comporta di per se’ violazione degli articoli 76 e 77 della Costituzione (Corte Cost. n. 149 del 2005), salvo che ciò non determini uno stravolgimento della legge di delegazione.

  1. La legge delega.

La legge n. 132 del 2021 contiene principi e criteri direttivi di riforma del codice di rito in tema sia di notificazioni per le impugnazioni sia di processo in assenza.

Quanto alle notificazioni all’imputato la legge prevede che, nel caso di impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse “la notificazione dell’atto di citazione a giudizio” nei suoi confronti deve essere effettuata presso il domicilio dichiarato o eletto, con l’atto di impugnazione (art. 1, comma 6, lett. f); mentre sul fronte delle impugnazioni stabilisce l’introduzione dell’onere, a pena di inammissibilità, a carico dell’impugnante (non necessariamente l’imputato) di depositare con l’atto di impugnazione “dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione” (art. 1, comma 13, lett. a).

Accanto a tali previsioni, la legge dedica un’apposita parte alla finalità di “rendere il procedimento penale più celere ed efficiente nonché .. modificare ilcodice di procedura penale in materia di processo in assenza” (art. 1, comma 7), nella quale sono dettati una serie di principi e criteri direttivi tra i quali: “prevedere che il difensore de/l’imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo specifico mandato a impugnare l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell’imputato assente, un ampliamento del termine per impugnare” (lett. h).

La legge delega quindi, nel contesto della riforma del procedimento in assenza, ha indicato la necessità di prevedere il rilascio di un mandato specifico al difensore impugnante nell’interesse dell’imputato assente (con il connesso ampliamento del termine per impugnare); onere al quale ha aggiunto anche quello della elezione o dichiarazione di domicilio “per il giudizio di impugnazione”.

Quest’ultima formalità è tenuta distinta – quanto a finalità – dal più generale onere imposto alla parte privata impugnante di depositare “dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione”.

  1. I lavori preparatori.

I lavori preparatori per l’emanazione della legge delega hanno preso l’avvio dal DDL n. 2435, presentato in Parlamento dal Governo nel 2020 che, con riferimento alle deleghe per l’efficienza del processo penale, proponeva, tra l’altro, la riforma del sistema delle notificazioni ed in particolare quelle all’imputato nonché taluni interventi per il giudizio di appello. Quanto a questi ultimi, il disegno di legge (art. 7) prevedeva che il difensore per impugnare la sentenza (evidentemente di primo grado) dovesse munirsi di “specifico mandato a impugnare, rilasciato successivamente alla pronunzia della sentenza stessa”.

La modifica, sia pur formulata in termini generali, si rivolgeva in realtà, come si evince dalla Relazione illustrativa, al difensore dell’imputato e aveva la finalità di evitare l’inutile celebrazione di procedimenti (“in appello e in cassazione”) nei confronti di imputati incolpevolmente ignari del processo, cui poteva conseguire la rescissione del giudicato.

Come noto, il successivo Governo, nel mese di marzo 2021, ha insediato una Commissione di studio (c.d. Commissione Lattanzi) per elaborare proposte di emendamenti al suddetto disegno di legge di riforma.

Tra le proposte emendative della Commissione Lattanzi si poneva un’ampia parte nuova dedicata alla riforma del processo in assenza (art. 2-ter).

Nell’ambito di essa, la Commissione proponeva di “prevedere che il difensore de/l’imputato assente possa impugnare la sentenza solo se munito di specifico mandato, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza; prevedere che con lo mandato a impugnare l’imputato dichiari o elegga il domicilio per il giudizio di impugnazione; prevedere, per il difensore dell’imputato assente, un allungamento del termine per impugnare” (art. 2-ter, lett. h).

La ratio dell’intervento viene così spiegata dalla Relazione di accompagnamento: “Nel contesto delle innovazioni proposte, va rimarcato che l’intervento sulla legittimazione del difensore ad impugnare costituisce uno snodo essenziale, sia in chiave di effettiva garanzia dell’imputato, sia in chiave di razionale e utile impiego delle risorse giudiziarie: la misura, infatti, è volta ad assicurare la celebrazione delle impugnazioni solo quando si abbia effettiva contezza della conoscenza della sentenza emessa da parte dell’imputato giudicato in assenza e ad evitare senza alcun pregiudizio del diritto di difesa de/l’interessato, tutelato dai rimedi “restitutori” contestualmente assicurati l’inutile celebrazione di gradi di giudizio destinati ad essere travolti dalla rescissione del giudicato”.

Questa esigenza veniva ad iscriversi nella proposta di riformare il processo in assenza dell’imputato in modo che esso possa svolgersi solo in presenza di elementi idonei a dare “ragionevole certezza” della conoscenza da parte di questi della pendenza del processo e che l’assenza sia dovuta ad una scelta volontaria e consapevole, prevedendo in particolare “il diritto di impugnare ogni sentenza possa essere esercitato dall’imputato giudicato in assenza solo personalmente o a mezzo di difensore munito di mandato specifico, rilasciato dopo la pronuncia della sentenza, unitamente alla dichiarazione ed elezione di domicilio per il giudizio di impugnazione”.

È significativo che la Commissione Lattanzi abbia ripreso la proposta contenuta nell’originario disegno di legge (relativa al solo appello) per dare ad essa da un lato un’applicazione più ampia (riferendosi alle “impugnazioni” in generale) e dall’altro per ancorarla espressamente alla posizione dell’imputato assente (in linea quindi con la finalità dell’originario testo).

Rilevante, ai fini che qui interessano, è la finalità della proposta, che ben si coniugava con la prima delle suddette modifiche: “l’inutile celebrazione di gradi di giudizio destinati ad essere travolti dalla rescissione del giudicato”. Esigenza che veniva a riguardare infatti non solo l’appello, ma, come aveva anche osservato la Relazione del disegno di legge, anche il giudizio di cassazione, destinato anch’esso a poter essere travolto dai rimedi restitutori accordati all’imputato giudicato in assenza.

E’ altrettanto significativo per la ricostruzione dell’iter normativo che ha portato alla approvazione della legge delega che questa proposta della Commissione Lattanzi sia rifluita nel testo degli emendamenti presentati dai Governo il 14 luglio 2021 al disegno di legge e approvati dal Parlamento.

Va inoltre rilevato che tra le proposte della Commissione Lattanzi vi erano anche disposizioni emendative delle parti del disegno di legge dedicate alle notificazioni (il testo originario semplificava le notifiche all’imputato anche per le impugnazioni da lui proposte con la consegna di copia al difensore; la Commissione prevedeva invece di escludere la notifica al difensore per la “citazione a giudizio” anche nel caso di impugnazione, limitando tale forma semplificata ad ogni altro atto “diretto all’imputato”) e all’appello (l’articolato veniva esteso al ricorso per cassazione e alle impugnazioni straordinarie).

Gli emendamenti presentati dal Governo contenevano proposte ulteriori e diverse per le impugnazioni, tra le quali la generale previsione di imporre con l’atto di impugnazione il deposito, a pena di inammissibilità, della “dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione”; la modalità di notificazione dell’atto di “citazione a giudizio” dell’imputato per le impugnazioni da lui proposte o nel suo interesse (ovvero presso il domicilio dichiarato o eletto di cui sopra).

Entrambe queste proposte sono rifluite nel testo approvato dal Parlamento.

In sintesi, anche alla luce dei lavori preparatori, può concludersi che la legge delega ha inteso da un lato riformare il giudizio di assenza anche con riferimento ai singoli gradi di impugnazione per evitarne la celebrazione nell’inconsapevole assenza dell’imputato (e quindi il possibile successivo travolgimento a mezzo dei rimedi restitutori) – attraverso il duplice onere imposto all’imputato in caso di impugnazione proposta nel suo interesse di rilasciare al difensore il mandato specifico e dell’elezione o dichiarazione di domicilio, presso il quale in ogni caso effettuare la sua citazione a giudizio (così da rendere effettiva e non formale la conoscenza degli atti introduttivi del giudizio) – e dall’altro facilitare la celebrazione dei giudizi di impugnazione, semplificando sia in via generale la “notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione” attraverso l’onere imposto all’impugnante di dichiarare o eleggere domicilio, sia in modo specifico “la notificazione dell’atto di citazione a giudizio” per l’impugnazione proposta dall’imputato o nel suo interesse, utilizzando la dichiarazione o elezione di cui sopra.

  1. La legge delegata.

Il decreto legislativo n. 150 del 2022, rispetto ai criteri direttivi contenuti nella legge delega che sono state fino ad ora esaminati, non sembra aver voluto operarne una attuazione “in minus” (la Relazione di accompagnamento non offre argomentati espliciti per sostenere la scelta del Governo di un adempimento della delega).

Le norme contenute nel decreto legislativo rilevanti per la questione in esame sono le seguenti.

Nell’ambito del sistema delle notificazioni nei confronti dell’imputato, il decreto ha introdotto l’art. 157-ter cod. proc. pen. per disciplinare le notifiche “degli atti introduttivi del giudizio” all’imputato non detenuto, il cui terzo comma, dedicato alle impugnazioni proposte dall’imputato o nel suo interesse, ha recepito il criterio della legge delega, stabilendo che “la notificazione dell’atto di citazione a giudizio” nei suoi confronti sia eseguita esclusivamente presso il domicilio dichiarato o eletto con l’atto di impugnazione.

Quanto al giudizio in assenza, il decreto legislativo ha dato attuazione alla delega per il giudizio di impugnazione sia riformando la disciplina dell’assenza nella fase dell’appello (art. 598-ter cod. proc. pen.) sia prevedendo con l’art. 581 cod. proc. pen. specifiche formalità per la presentazione della impugnazione da parte dell’imputato giudicato in assenza (depositare con l’atto d’impugnazione congiuntamente lo specifico mandato conferito al difensore ad impugnare e la dichiarazione o l’elezione di domicilio “ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”).

Quanto al primo aspetto, il decreto legislativo ha tenuto distinti il rito cosiddetto cartolare (art. 598-bis cod. proc. pen.) da quello a trattazione orale in pubblica udienza (602 cod. proc. pen.) o “in camera di consiglio con la partecipazione delle parti” (art. 599 cod. proc. pen.), dettando una specifica disciplina a seconda della parte appellante.

In sintesi, se l’imputato non è presente alle udienze a trattazione orale si procede “sempre” in assenza, verificata la sola regolarità delle notificazioni, se è appellante; se l’imputato non è appellante, alle medesime udienze per giudicarlo in assenza occorre che siano soddisfatte anche le più stringenti condizioni previste per procedere in assenza di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen.; nel rito non partecipato (nel quale evidentemente non può farsi riferimento alla “presenza” dell’imputato), se l’imputato è appellante, il giudice si limita a controllare la regolarità delle notificazioni, mentre se non è appellante, il giudice è tenuto a verificare anche “le condizioni per procedere in assenza”.

Questa disciplina dell’assenza in appello – a seconda che l’imputato sia appellante o meno – è giustificata dalla Relazione illustrativa in ragione di quanto è stato previsto dall’art. 581 cod. proc. pen.: imponendo all’appellante l’onere di depositare procura speciale e elezione di domicilio successivi alla sentenza si è fornita per le udienze che si svolgono in presenza la “certezza circa la conoscenza del processo e della sentenza”.

La stessa Relazione ha evidenziato che laddove l’imputato non sia appellante, anche nel caso di udienze “non partecipate”, sussiste invece la necessità di garantire l’effettiva conoscenza del processo da parte dell’imputato non appellante (in tale prospettiva la verifica delle condizioni per procedere in assenza).

La Relazione illustrativa non fornisce invece elementi per chiarire la portata generale o meno dell’art. 581, comma 1-quater cod. proc. pen. ed in particolare del riferimento al “decreto di citazione a giudizio”.

Sul fronte della disciplina delle impugnazioni, il decreto delegato, nel dare attuazione ai principi in tema di semplificazione delle notificazioni, ha previsto all’art. 581, comma 1-ter cod. proc. pen_.uno specifico onere imposto a tutte le parti private impugnanti di depositare con l’atto d’impugnazione, a pena d’inammissibilità, “la dichiarazione o elezione di domicilio, ai fini della notificazione del decreto di citazione a giudizio”.

Anche in tal caso la Relazione illustrativa non chiarisce la lettura della novella rispetto alla legge delega che fa riferimento piuttosto alla “notificazione dell’atto introduttivo del giudizio di impugnazione” (art. 1, comma 13, lett. a).

  1. Venendo alla questione in esame, deve ritenersi che nella disciplina riformata del giudizio in assenza, nella sua formulazione a “regime”, l’esigenza di assicurare la celebrazione del giudizio nei confronti dell’imputato assente “consapevole” mantenga la sua concretezza anche per il grado di cassazione.

E ciò si verifica in primo luogo nella ipotesi in cui l’imputato non era appellante ed è stato giudicato in appello in assenza (compresi i casi di rito non partecipato, secondo quanto prescrive il quarto comma dell’art. 598-ter cod. proc. pen.).

Va osservato, per inciso, che anche laddove l’imputato sia appellante la previsione di un mandato specifico conferito dall’imputato per impugnare la sentenza di primo grado in cui era stato dichiarato assente congiuntamente alle modalità di notificazione dell’atto introduttivo del giudizio attenuano ma non eliminano del tutto le possibilità della celebrazione inconsapevole del grado (posto che la conoscenza del procedimento di appello è acquisita solo con la notificazione della relativa citazione a giudizio).

Viene in considerazione, inoltre, il caso in cui manchi il giudizio di appello: è il caso del ricorso per cassazione proposto dall’imputato, assente in primo grado, che intenda impugnare una sentenza non appellabile o per saltum.

Tutte queste ipotesi – accumunate dalla mancanza della certa conoscenza del processo da parte dell’imputato assente – giustificano – in linea con i criteri direttivi della delega – la portata generale della disposizione contenuta nell’art. 581, comma 1-quater, non limitata al solo appello.

Per completezza argomentativa, non rilevando la questione in questa sede, può anche osservarsi come, nel contesto della disciplina del processo in assenza, possa risultare privo di rilevanza per giudizio di cassazione l’onere imposto dal difensore dell’imputato impugnante di depositare la dichiarazione o elezione di domicilio ai fini della notificazione della “citazione a giudizio dell’imputato”.

Peraltro, poiché nel giudizio di cassazione è prevista la notificazione ex art. 613, comma 4, cod. proc. pen. dell’avviso dell’udienza all’imputato difeso di ufficio, può comunque venire in rilievo l’esigenza di semplificare le notificazioni nei gradi di impugnazione, posta alla base della direttiva contenuta nel comma 13 dell’art. 1, e quindi l’onere per tutte le parti private impugnanti di dichiarare o eleggere domicilio per la “notificazione dell’atto introduttivo”.

Vero è che l’art. 581, comma 1-ter, nel dare attuazione a tale direttiva, ha anche in tal caso ancorato siffatto onere alla finalità della “notificazione del decreto di citazione a giudizio”.

Volendo tuttavia valorizzare le finalità della legge delega, che venivano a trascendere le esigenze del giudizio di merito, non sembra irrazionale un’interpretazione volta a giustificare un’applicazione estesa della norma delegata ad ogni grado di impugnazione e quindi una lettura non strettamente letterale della norma, ferma restando, nel giudizio in assenza, la preponderante rilevanza della ratio sottesa alla necessità del mandato.

  1. La normativa intertemporale (il citato art. 89) ha di fatto disallineato la riforma sulla assenza, rendendo operative soltanto alcune limitate disposizioni e riservandone l’entrata in vigore della gran parte ai soli procedimenti pendenti, in cui si è disposto procedersi in assenza dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo.

Quindi nel caso in esame, non ricorrendo tale ultima evenienza, il riferimento dell’art. 581, comma 1-quater cod. ai procedimenti in cui si è “proceduto in assenza” comporta che la definizione di assenza vada vagliata alla luce della previgente normativa.

L’imputato è stato giudicato in primo grado in assenza, mentre il grado di appello è stato celebrato, su impugnazione del difensore dell’imputato, con il rito a “trattazione scritta”, previsto dalla disciplina emergenziale per il contenimento della pandemia da Covid-19.

Quindi, benché la mancata partecipazione personale della parte al giudizio di appello che si è svolto con contraddittorio cartolare non possa essere di per sé qualificata come assenza in senso tecnico (non trovando applicazione le previsioni degli artt. 420-bis e 420-ter cod. proc. pen., Sez. 3, n. 32864 del 15/07/2022, Rv. 283415), è dirimente, ai fini dell’applicazione della norma in esame, la circostanza che il giudizio fin qui svolto sia stato caratterizzato dall’assenza dell’imputato, non compensata, diversamente da quanto previsto dalle norme «a regime», dal conferimento di apposito mandato.

Deve dunque ritenersi che, in presenza di un procedimento (come quello in esame) in cui l’appello è stato celebrato con la normativa pre-riforma, l’onere di far dotare il difensore del mandato ad impugnare per cassazione risulti tutt’altro che superfluo rispetto alla finalità della norma, nella misura che viene ad evitare la inutile celebrazione di un grado di giudizio nei confronti di un imputato inconsapevole.

  1. Conclusivamente per le ragioni sopra indicate, il ricorso va dichiarato inammissibile.

La novità della questione giustifica che il ricorrente non sia condannato alla sanzione pecuniaria.

Quanto alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità nei rapporti fra le parti, tenuto conto dell’esito del processo e della complessità delle questioni esaminate, ritiene il Collegio che ricorrano i presupposti per disporre la compensazione integrale delle stesse.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Dichiara compensate le spese tra le parti.

Così deciso il 20/09/2023.

Dispone, a norma dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, che sia apposta, a cura della cancelleria, sull’originale del provvedimento, un’annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma, l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Il 20/09/2023.

Depositato in Cancelleria oggi, 11 ottobre 2023.

SENTENZA