Incertezza sulla causa della cessazione del rapporto di lavoro: quando le dimissioni sono valide? (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 26 settembre 2023, n. 27331)

L A    C O R T E    S U P R E M A    D I    C A S S A Z I O N E

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADRIANA DORONZO – Presidente –

Dott. FABRIZIA GARRI – Consigliere –

Dott. CARLA PONTERIO – Consigliere –

Dott. FRANCESCO GIUSEPPE LUIGI CASO – Consigliere –

Dott. ELENA BOGHETICH – Rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso 31590-2020 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS) (OMISSIS), in persona del suo titolare, domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) (OMISSIS);

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 559/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 13/10/2020 R.G.N. 1262/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2023 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Dott. PAOLA FILIPPI ha depositato conclusioni scritte.

RILEVATO CHE

1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Catania, confermando la sentenza del Tribunale della medesima sede, ha accertato la legittimità delle dimissioni rese da (omissis) (omissis) in data 14.6.2018 nei confronti del proprio datore di lavoro (omissis) (omissis) (omissis).

2. La Corte territoriale, richiamando la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3822 del 2019) emessa in materia di applicazione della regola residuale dettata dall’art. 2697 cod.civ. ove si controverta sulla riconducibilità, della cessazione del rapporto di lavoro, al lavoratore (dimissioni) piuttosto che al datore di lavoro (licenziamento orale), ha ritenuto sprovvista di prova la domanda proposta dal lavoratore di accertamento di un provvedimento espulsivo del datore di lavoro.

3. Avverso tale sentenza, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un motivo. Il datore di lavoro ha resistito con controricorso e ha deposito memoria.

4. La Procura generale ha depositato la propria requisitoria chiedendo il rigetto del ricorso.

5. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.

CONSIDERATO CHE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 cod.proc.civ., primo comma, n. 3, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 26 del d.lgs. 14.9.2015, n. 151 e dell’art. 2697 cod.civ, avendo, la Corte territoriale trascurato che la fattispecie era regolata dalla norma del 2015 che impone la forma scritta alle dimissioni rese dal lavoratore.

2. Il ricorso merita accoglimento.

3. La fattispecie in esame si è verificata (nel giugno 2018) durante il periodo di vigenza dell’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2015, il quale prevedeva (e prevede):

“1. Al di fuori delle ipotesi di cui all’articolo 55, comma 4, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, le dimissioni e la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro sono fatte, a pena di inefficacia, esclusivamente con modalità telematiche su appositi moduli resi disponibili dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso il sito www.lavoro.gov.it e trasmessi al datore di lavoro e alla Direzione territoriale del lavoro competente con le modalità individuate con il decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di cui al comma 3.” (seguono numerosi diversi altri commi che regolano la facoltà di revoca delle dimissioni, le caratteristiche del modulo di dimissioni, le sanzioni penali in caso di alterazione del modulo, le sedi “protette” ove dette modalità formali non sono applicate, l’esclusione del lavoro domestico).

4. La Corte territoriale ha richiamato consolidata giurisprudenza di questa Corte la quale – nella vigenza del criterio, dettato dall’art. 2118 cod.civ. della libertà delle forme per il recesso del lavoratore – ha espresso un principio di diritto necessario per risolvere i profili di incertezza sulla effettiva causa di estinzione del rapporto di lavoro, con particolare riguardo al criterio di riparto dell’onere probatorio ove, a fronte dell’intervenuta cessazione del rapporto di lavoro senza formalità scritte, una parte (il lavoratore) deduca un sopravvenuto provvedimento di espulsione dall’azienda e l’altra parte (il datore di lavoro) eccepisca l’intervenuta determinazione di dimissioni (Cass. n. 3822 del 2019; nello stesso senso, Cass. n. 13195 del 2019; da ultimo, Cass. n. 16013 del 2022); la sentenza impugnata non si è, peraltro, avveduta della circostanza che le ipotesi esaminate dalla Suprema Corte erano sottratte alla più incisiva normativa introdotta, dapprima, con l’art. 1 della legge n. 188 del 2007 (abrogato subito dopo con l’art. 39 del d.l. n. 112 del 2008, convertito con legge n. 133 del 2008; su tale disposizione, cfr. Cass. n. 24750 del 2017) e, successivamente, (con l’art. 4, comma 16, della legge n. 92 del 2012 e poi) con l’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2015, che – a pena di nullità, ex legge n. 188 citata, e a pena di inefficacia, ex d.lgs. n. 151 citato – ha introdotto per le dimissioni (e per la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro) l’onere della forma scritta.

L’applicazione dei principi di diritto innanzi richiamati non si attaglia, pertanto, al caso di specie, che ricade nel campo di applicazione del d.lgs. n. 151 del 2015.

5. La normativa (preceduta, nel tempo, da alcune previsioni di determinati contratti collettivi; cfr. sul punto Cass. n. 9554 del 2001, Cass. n. 5454 del 2011 e Cass. n. 29329 del 2022) che ha imposto, per le dimissioni, una determinata forma non altera la natura dell’atto di dimissioni come negozio unilaterale recettizio, ma richiede – ai fini dell’efficacia dell’atto – il rispetto di determinate forme (di natura telematica), salvo che le dimissioni (e la risoluzione consensuale) intervengano in sede assistita o avanti alla Commissione di certificazione.

Tali procedure mirano a soddisfare, contestualmente, un duplice obiettivo: da un lato, conferire data certa alle dimissioni al fine di rendere impossibile il fenomeno delle dimissioni in bianco; dall’altro, fornire la garanzia che la volontà del lavoratore di risolvere il contratto di lavoro (espressa tramite le dimissioni o l’accordo di risoluzione consensuale) si sia formata e sia stata espressa liberamente e genuinamente dal lavoratore medesimo, in assenza di qualunque costrizione esercitata dal datore di lavoro.

6. La sentenza impugnata va, pertanto, cassata, dovendosi esprimere il seguente principio di diritto: ai sensi dell’art. 26 del d.lgs. n. 151 del 2015, il rapporto di lavoro subordinato può essere risolto per dimissioni o per accordo consensuale delle parti solamente previa adozione di specifiche modalità formali oppure presso le sedi assistite, a pena di inefficacia dell’atto.

7. In conclusione, va accolto il ricorso, la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, che prendendo atto della normativa applicabile al caso di specie, valuterà l’efficacia dell’atto di dimissioni e l’eventuale successivo regime sanzionatorio applicabile, provvedendo, altresì, sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Catania, in diversa composizione, che provvederà altresì sulle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso nella camera di consiglio il 12 settembre 2023.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2023.

SENTENZA – copia non ufficiale -.